kronos
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sabato 2 ottobre 2010
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interessante melodramma viscontiano
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Entusiasmi perfino eccessivi, specialmente nel mondo anglosassone, e stroncature feroci, soprattutto in Italia, hanno accompagnato l'ultima fatica di Luca Guadagnino e, come spesso capita, entrambe le fazioni eccedono.
Eccede chi vede in "Io sono l'amore" un oasi nel -presunto- deserto del cinema italiano odierno: l'opera non è esente da incongruenze e ingenuità narrative, oltre che da interpretazioni diseguali (superlativa Tilda Swinton, poco incisivi Delbono e Gabbriellini).
Ma eccede anche chi giudica fallimentare la pellicola, probabilmente accecato da provincialismo e disattenzione: Guadagnino ha allestito un elegante, curatissimo melodramma che occhieggia senza supponenza a Visconti, ottenendo un risultato evidentemente acrono e apolide.
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Entusiasmi perfino eccessivi, specialmente nel mondo anglosassone, e stroncature feroci, soprattutto in Italia, hanno accompagnato l'ultima fatica di Luca Guadagnino e, come spesso capita, entrambe le fazioni eccedono.
Eccede chi vede in "Io sono l'amore" un oasi nel -presunto- deserto del cinema italiano odierno: l'opera non è esente da incongruenze e ingenuità narrative, oltre che da interpretazioni diseguali (superlativa Tilda Swinton, poco incisivi Delbono e Gabbriellini).
Ma eccede anche chi giudica fallimentare la pellicola, probabilmente accecato da provincialismo e disattenzione: Guadagnino ha allestito un elegante, curatissimo melodramma che occhieggia senza supponenza a Visconti, ottenendo un risultato evidentemente acrono e apolide. Risultato, è bene ricordarlo, che ha permesso una capillare esportazione estera del film.
E se è vero che non mancano fasi di stanca, è doveroso anche riconoscere i momenti di sincera, intensa emozione (vedasi il pre-finale nel cimitero).
Da vedere.
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pietruzzo
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domenica 6 febbraio 2011
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isterico
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una regia che più che viscontiana, come molti hanno osato definirla, definirei isterica. una recitazione esasperata sicuramente voluta dal regista,un'esagerazione inutile e pessima. l'omosessualità trattata con la puzza sotto il naso, almeno, tentando di non averla la puzza sotto il naso, sforzo inutile per questo film, la ragazza si taglia i capelli e si capisce che è lesbica, ma per favore, tra baci gonfi di saliva, scene che guadagnino poteva risparmiarci. la passione tra Tilda Swinton e il cuocherello che inspiegabilmente è un genio della cucina, capace di creare sapori inimmaginabili, non esiste, non si sa quando e perchè nasce, durante il primo bacio tra i due, lo spettatore non è altro che sconvolto e infastidito da una trovata tanto banale e brutta da vedere.
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una regia che più che viscontiana, come molti hanno osato definirla, definirei isterica. una recitazione esasperata sicuramente voluta dal regista,un'esagerazione inutile e pessima. l'omosessualità trattata con la puzza sotto il naso, almeno, tentando di non averla la puzza sotto il naso, sforzo inutile per questo film, la ragazza si taglia i capelli e si capisce che è lesbica, ma per favore, tra baci gonfi di saliva, scene che guadagnino poteva risparmiarci. la passione tra Tilda Swinton e il cuocherello che inspiegabilmente è un genio della cucina, capace di creare sapori inimmaginabili, non esiste, non si sa quando e perchè nasce, durante il primo bacio tra i due, lo spettatore non è altro che sconvolto e infastidito da una trovata tanto banale e brutta da vedere. la scena di sesso tra i due rasenta l'orrore: mostrare il corpo cadente di Tilda Swinton non è geniale nè toccante nè commovente nè poetico, è solo brutto e inadeguato alle immagini. accostamento musica immagini pessimo: la scena a Sanremo: Tilda pedina il cuocherello, mentre lei cammina parte la musica( molto simile al tema de "la pantera rosa, tra l'altro") e quando si ferma la musica si interrompe, fornendo a un film che si definisce serio un'inadeguata comicità.
per finire: non esiste amore che regga la morte di un figlio. la trama fa acqua da tutte le parti. lei fugge con l'amante, che in qualche modo è stato la causa indiretta della morte del figlio,scusate mi ripeto, ma per favore.
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thomisticus
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martedì 28 febbraio 2012
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meno tilda e più leopardi
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Volontà di uscire dalla carraia del piccolo naturalismo paratelevisivo di casa nostra, di confrontarsi con un cinema di segno forte. Questo è quanto viene da dire in favore del film. Il limite sta invece nel non sapere organizzare coerentemente memorie cinefile e ambizioni: modello viscontiano, che richiederebbe altra sprezzatura, altra lucidità storica, altra crudeltà, nonché mano drammaturgica più salda (personaggi che parlano della propria famiglia alla terza persona, servizi d’argento, Morandi alla parete, ecc., non fanno antica dinastia industriale, quanto semmai definiscono l’orizzonte e le mitologie middle class del regista); modello rosselliniano (quello della solitaria alterità dei personaggi femminili interpretati da Ingrid Bergman) giocato sul piano puro della enunciazione, ben presto senza fiato (“Io amo Antonio”, la sventurata disse); quindi, il simbolismo (gli interni art deco come bare, le geometrie delle tavole apparecchiate, le astrazioni del paesaggio urbano sotto la neve, la dialettica interno/esterno), che rimandano allo Scorsese di L’Età dell’innocenza e Made in Milan (con lo stesso rischio di una raffinata estetica pubblicitaria); il registro informale ed erratico, al limite del poema visivo, impiegato nella parte ambientata nell’entroterra ligure (che in parte recupera precedenti materiali del documentario Cuoco contadino), ma che, non sorretto in profondità, suona velleitario (lo stesso difetto nell’ultima parte del documentario Inconscio italiano), ecc.
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Volontà di uscire dalla carraia del piccolo naturalismo paratelevisivo di casa nostra, di confrontarsi con un cinema di segno forte. Questo è quanto viene da dire in favore del film. Il limite sta invece nel non sapere organizzare coerentemente memorie cinefile e ambizioni: modello viscontiano, che richiederebbe altra sprezzatura, altra lucidità storica, altra crudeltà, nonché mano drammaturgica più salda (personaggi che parlano della propria famiglia alla terza persona, servizi d’argento, Morandi alla parete, ecc., non fanno antica dinastia industriale, quanto semmai definiscono l’orizzonte e le mitologie middle class del regista); modello rosselliniano (quello della solitaria alterità dei personaggi femminili interpretati da Ingrid Bergman) giocato sul piano puro della enunciazione, ben presto senza fiato (“Io amo Antonio”, la sventurata disse); quindi, il simbolismo (gli interni art deco come bare, le geometrie delle tavole apparecchiate, le astrazioni del paesaggio urbano sotto la neve, la dialettica interno/esterno), che rimandano allo Scorsese di L’Età dell’innocenza e Made in Milan (con lo stesso rischio di una raffinata estetica pubblicitaria); il registro informale ed erratico, al limite del poema visivo, impiegato nella parte ambientata nell’entroterra ligure (che in parte recupera precedenti materiali del documentario Cuoco contadino), ma che, non sorretto in profondità, suona velleitario (lo stesso difetto nell’ultima parte del documentario Inconscio italiano), ecc. ecc...Troppa roba, che finisce per aggredire soltanto per vie esteriori (come le musiche di Adams, con la loro urgenza quasi irrelata ) e soffocare un melodramma, il cui gracile motivo alberoniano (“l’amore è una forza rivoluzionaria”) non basta a reggerne il peso. A molti, però, farà piacere, che invece dei soliti Umberto D., finalmente l’Italia mandi in giro per il mondo gente bella e ben vestita.
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stefano capasso
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venerdì 6 marzo 2015
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l'amore che trasforma
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Alla morte del vecchio capofamiglia Edoardo, la famiglia borghese dei Ricchi si trova ad affrontare la gestione dell’impresa di famiglia. Al figlio Tancredi, Edoardo affianca come erede il nipote Edoardo, maggiore di tre fratelli che Tancredi ha avuto con Emma, donna russa emigrata per sposarlo. Gli eredi non hanno la stessa forza del capostipite e presto l’azienda viene messa in vendita mentre i tre giovani seguono le loro strade. In particolare Edoardo decide di aprire un ristorante col suo amico Antonio, cuoco raffinato. Ma da questa amicizia scaturirà un dramma familiare
Ho visto questo film di Luca Guadagnino alla rassegna Cinemente e l’ho trovato molto bello.
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Alla morte del vecchio capofamiglia Edoardo, la famiglia borghese dei Ricchi si trova ad affrontare la gestione dell’impresa di famiglia. Al figlio Tancredi, Edoardo affianca come erede il nipote Edoardo, maggiore di tre fratelli che Tancredi ha avuto con Emma, donna russa emigrata per sposarlo. Gli eredi non hanno la stessa forza del capostipite e presto l’azienda viene messa in vendita mentre i tre giovani seguono le loro strade. In particolare Edoardo decide di aprire un ristorante col suo amico Antonio, cuoco raffinato. Ma da questa amicizia scaturirà un dramma familiare
Ho visto questo film di Luca Guadagnino alla rassegna Cinemente e l’ho trovato molto bello. La regia, i movimenti di macchina, il montaggio, la fotografia parlano di cinema di grande qualità e un linguaggio comunicativo fortemente estetico. La storia è costruita come una tragedia greca classica, con un incedere di eventi che confluisce in un finale di grande drammaticità. Un film che ha il tema principale sulla potenza trasformativa dell’amore, che quando viene vissuto senza paure è capace di stravolgere l’ordine delle cose e in sostanza di ridare una identità più reale a chi lo vive.
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tuesday
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domenica 5 dicembre 2010
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io sono.... terribile....
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Pessimo film degno di un regista di videoclip che ha girato un videoclip lungo, insostenibile. Passino gli interni. E poi? Una storia che sono più storie intrecciate che sono una storia principale che alla fine non si capisce qual è la storia. Alla fine si fatica a capire chi sono i figli dei protagonisti! La trama è complicata, ma non perché la storia e gli intrecci l'hanno complicata: perché il regista ha voluto rendere complicata una storia banale, scontata, piena di stereotipi e decisamente incompleta. Una bella zuppa russa piena di ingredienti male amalgamati e poco cotti. Un disastro. Un montaggio orribile che voleva dare il senso della frenesia ma fa venire il mal di testa, con quei tagli azzardati qua e là.
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Pessimo film degno di un regista di videoclip che ha girato un videoclip lungo, insostenibile. Passino gli interni. E poi? Una storia che sono più storie intrecciate che sono una storia principale che alla fine non si capisce qual è la storia. Alla fine si fatica a capire chi sono i figli dei protagonisti! La trama è complicata, ma non perché la storia e gli intrecci l'hanno complicata: perché il regista ha voluto rendere complicata una storia banale, scontata, piena di stereotipi e decisamente incompleta. Una bella zuppa russa piena di ingredienti male amalgamati e poco cotti. Un disastro. Un montaggio orribile che voleva dare il senso della frenesia ma fa venire il mal di testa, con quei tagli azzardati qua e là. Una prova terribile di attori da cui era lecito aspettarsi di più ma la cui recitazione è pari a quella degli attori della peggior soap opera italiana. Una sceneggiatura banale, scarna, scontata, ridicola a certi tratti. E la fotografia? Ne hanno parlato tanto bene, peccato che le inquadrature che la sfruttavano alla fine erano sempre uguali. Lo sviluppo di ogni scena era scontato sin dalle prime inquadrature e scoprire che effettivamente poi la scena si svolgeva come previsto non può che far ridere lo spettatore. La trama è debole, se non fosse che ricalca mille stereotipi e ovvietà sarebbe incomprensibile perché non vengono dati strumenti per comprenderla al pubblico. Una prova terribile da cui si salvano solo la magnifica villa-museo, i paesaggi liguri, la Swinton, Gabbriellini e la Paiato. Troppi personaggi, troppo di tutto. Almeno fosse stato più breve e invece bisogna soffrire per due ore prima di poter dire: finalmente è finito!
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(di palmita)
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[+] regia viscontiana!? regia orribile! sono d'accordo
(di pietruzzo)
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domenico a
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venerdì 26 marzo 2010
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un film non è un documentario d'interni
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Nel film “ Io sono l’amore “ ci sono gli stilemi del suo cinema ma forse proprio perché è un “ suo “ film si è così innamorato della storia da diventare il David Hamilton di un melodramma borghese. Sui titoli di testa una serie di inquadrature di Milano sotto la neve che per stile ricordano il cinema italiano degli anni Sessanta, tra Zurlini e Lattuada. Invece il film inizia con la preparazione di un pranzo di compleanno del vecchio patriarca Recchi, grande industriale della seta e alto borghese, come potremmo immaginare della famiglia Agnelli o giù di lì. Splendida villa, governanti, cuochi, camerieri, grande cucina, splendido salone e meravigliosi angoli, specchi, fiori, quadri, e una famiglia perfetta nella sua freddezza quasi algida.
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Nel film “ Io sono l’amore “ ci sono gli stilemi del suo cinema ma forse proprio perché è un “ suo “ film si è così innamorato della storia da diventare il David Hamilton di un melodramma borghese. Sui titoli di testa una serie di inquadrature di Milano sotto la neve che per stile ricordano il cinema italiano degli anni Sessanta, tra Zurlini e Lattuada. Invece il film inizia con la preparazione di un pranzo di compleanno del vecchio patriarca Recchi, grande industriale della seta e alto borghese, come potremmo immaginare della famiglia Agnelli o giù di lì. Splendida villa, governanti, cuochi, camerieri, grande cucina, splendido salone e meravigliosi angoli, specchi, fiori, quadri, e una famiglia perfetta nella sua freddezza quasi algida. Si parla con naturalezza in inglese, in russo e anche in italiano. Si potrebbe pensare leggendo queste righe a un film come “ Quel che resta del giorno “ o a un interno di gruppo familiare alla Visconti di Modrone. No, siamo al documentario dei dettagli, all’eleganza per l’eleganza, al piacere del regista di farci notare dettagli e contorni come scarpe, bracciali, insieme di piatti e di vivande. Più un documentario di interni, quasi un’elegia di una borghesia italiana che forse non c’è più. E non basta metterci un paio d’attori dal cognome importante ( per l’appunto, Visconti di Modrone ) per essere un emulo di cotanto regista. La preparazione e il pranzo durano quasi venti minuti, quasi ci fa sentire partecipi della festa ma con la leggerezza di non dover essere notati e dover rispettare quei riti; questo inizio potrebbe essere proiettato come didattica in una scuola alberghiera; comunque siamo contenti di ritrovare un vecchio splendido attore come Gabriele Ferzetti che il cinema italiano ha dimenticato, restiamo straniti nel constatare come il tempo passi e la “ nonna “ sia Marisa Barenson ( conturbante attrice di Visconti e di Kubrick ), non possiamo non restare affascinati dalla bellezza inconsueta di Tilda Swinton. E verso la fine del pranzo, ormai sera, si presenta con una torta, un giovane cuoco Antonio, amico di Eduardo, uno dei tre figli di Emma e Tancredi Recchi: ha portato una splendida torta in regalo per l’amico. E’ lui “ l’amore che arriva “ per l’annoiata ma ancora distratta Emma.
Il film riprende con il sole e l’estate, il vecchio Recchi è morto e l’azienda è passata agli eredi. Ci sono i passaggi di consegne, gli avvicendamenti alla guida dell'impresa le differenti strategie dei vari familiari e i consolidamenti. Il rapporto tra Emma e Tancredi prosegue esangue e formale, la giovane figlia se ne va a vivere a Londra e s’innamora di una amica lasciando il fidanzato senza risposte, Eduardo fa una società con l’amico Antonio per aprire un ristorante sulle montagne di Imperia e decide anche di sposarsi. Antonio, il giovane cuoco, prepara piatti che sono emozioni ma che non hanno diritto di cittadinanza nella trattoria di famiglia. La signora Emma assaggia un piatto di Antonio e se ne innamora, sono due creature inorganiche agli universi in cui gravitano. Scoppia la passione travolgente che li porta in diretto contatto con la natura, l’amore e la libertà. Ma il prezzo del loro amore è altissimo e qui, tra la morte del figlio-amico che ha compreso tutto vedendo un piatto preparato da Antonio e la improbabile confessione al cimitero davanti alla tomba del socialista Turati, il melodramma si trasforma in felleiton un po’ imbarazzante.
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[+] no word!
(di cphaddict)
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[+] la passione come continuità di una vita sospesa.
(di eyesandmind)
[ - ] la passione come continuità di una vita sospesa.
[+] un fotoromanzo che avrebbe disgustato liala
(di cannedcat)
[ - ] un fotoromanzo che avrebbe disgustato liala
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