lizard_king
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mercoledì 25 novembre 2009
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los abrazos rotos
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Stralci di foto, obiettivi sempre accesi, sguardi ed abbracci sfuggenti, amori carnali e di convenienza..ritrovarsi nel silenzio, nel vento che soffia forte e perdersi di notte lungo una strada diritta..
"Gli abbracci spezzati" è un altro tassello da aggiungere al lavoro di un grande regista : Pedro Almodovar.
La ricetta è la stessa ed il risultato è sempre quello di un film asciutto, gradevole, divertente che scorre senza mai annoiare o chiedersi troppo.
Una Penelope Cruz "cariatide", sulla quale si adagia l'intero film, che a mò di sole illumina gli attori circostanti con la sua ormai riconosciuta bravura e bellezza.
Il film ci presenta la vita di Mateo Blanco o Harry Caine (Lluís Homar) che dir si voglia, uomo costretto a tirare ormai le somme della propria esistenza, schiavo della più grande disgrazia che ad un regista possa capitare : perdere la vista.
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Stralci di foto, obiettivi sempre accesi, sguardi ed abbracci sfuggenti, amori carnali e di convenienza..ritrovarsi nel silenzio, nel vento che soffia forte e perdersi di notte lungo una strada diritta..
"Gli abbracci spezzati" è un altro tassello da aggiungere al lavoro di un grande regista : Pedro Almodovar.
La ricetta è la stessa ed il risultato è sempre quello di un film asciutto, gradevole, divertente che scorre senza mai annoiare o chiedersi troppo.
Una Penelope Cruz "cariatide", sulla quale si adagia l'intero film, che a mò di sole illumina gli attori circostanti con la sua ormai riconosciuta bravura e bellezza.
Il film ci presenta la vita di Mateo Blanco o Harry Caine (Lluís Homar) che dir si voglia, uomo costretto a tirare ormai le somme della propria esistenza, schiavo della più grande disgrazia che ad un regista possa capitare : perdere la vista.
Mateo si rifugia dietro una macchina da scrivere e dietro la sua Judit (Blanca Portillo)che da anni gli nasconde un triste segreto che sarà costretta a svelare solo alla fine del film.
Ma anche una delle vite più angosciose e monotone a volte può riservare qualche sorpresa ed è così che, un bel giorno, un certo Ray X si presenta a Mateo Blanco ed inserendosi come un "parassita" nella sua vita riesce a fargli ricordare spiacevoli episodi accaduti ormai 14 anni fa.
14 anni fa Mateo ha perso non solo la vista ma anche l'amore della sua vita :Lena (Penelope Cruz) e, non potendo più dirigere i suoi film, ha deciso di assumere definitivamente lo pseudonimo di Harry Caine per convincersi che Mateo Blanco era morto in quell'incidente assieme alla sua amata.
I fotogrammi correrranno sul grande schermo contorniati dalla voce del protagonista, che racconterà l'intero "film della sua vita" a suo figlio Diego, e da numerose citazioni (Donne sull'orlo di una crisi di nervi-Viaggio in Italia) .
A voi l'inconfondibile stile "spagnolo" di Almodovar nonchè colori, sguardi e magnifiche riprese di Lanzarote.
Di certo non è uno dei migliori lavori del famoso regista, di certo non si tratta di un "colossal", ma in un panorama di horror, film catastrofici e senza senso non ci resta che godere!.
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paride86
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domenica 22 novembre 2009
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molto bello questo almodovar maturo e riflessivo
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E' un Almodovar molto diverso dal solito quello de "Gli Abbracci Spezzati", nonostante i temi di sempre e le molte citazioni autoreferenziali, come "La legge del desiderio", "Kika" (che a sua volta citava "Peeping Tom") e "Donne sull'orlo di una crisi di nervi".
La differenza sta nel modo di affrontare le emozioni: non più attingendo a piene mani nel dolore o nella passione, ma guardando il tutto con sereno distacco, come per un lutto già metabolizzato ed elaborato. In più, cosa nuova per Almodovar, c'è una certa indulgenza nei confronti dei personaggi maschili, antagonisti o no. E' il punto di vista di Mateo Blanco, il regista non vedente perno centrale degli eventi narrati e possibile alter ego dello stesso Almodovar che realizza, con "Gli Abbracci Spezzati", una dichiarazione d'amore per il cinema e le sue storie che vale sempre la pena di narrare.
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E' un Almodovar molto diverso dal solito quello de "Gli Abbracci Spezzati", nonostante i temi di sempre e le molte citazioni autoreferenziali, come "La legge del desiderio", "Kika" (che a sua volta citava "Peeping Tom") e "Donne sull'orlo di una crisi di nervi".
La differenza sta nel modo di affrontare le emozioni: non più attingendo a piene mani nel dolore o nella passione, ma guardando il tutto con sereno distacco, come per un lutto già metabolizzato ed elaborato. In più, cosa nuova per Almodovar, c'è una certa indulgenza nei confronti dei personaggi maschili, antagonisti o no. E' il punto di vista di Mateo Blanco, il regista non vedente perno centrale degli eventi narrati e possibile alter ego dello stesso Almodovar che realizza, con "Gli Abbracci Spezzati", una dichiarazione d'amore per il cinema e le sue storie che vale sempre la pena di narrare.
La struttura narrativa è piuttosto complessa e ricorda un po' "La mala educacion", il meno lineare dei suoi film. Gli attori sono bravissimi e sono diretti con maestria, rendendo la storia vivida e credibile.
E' bello notare, inoltre, come Almodovar si occupi sempre con perigliosa pignoleria di tutti i particolari: accessori per non vedenti, arredi eccentrici e colorati, vestiti e, più in generale, delle musiche e di una regia originale e piacevole.
C'è posto anche per una stoccatina a "Twilight", almeno così mi è parso di capire!
In conclusione "Gli Abbracci Spezzati" non è certo un capolavoro assoluto, ma un bella storia che parla d'amore - declinato in molti modi - e di cinema.
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paolorol
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domenica 29 novembre 2009
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almodovar spezzato
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Il piatto Volver ha rappresentato l'inequivocabile segno dell'esaurimento della vena creativa dell'ad un tempo grandioso Pedro, qui impelagato in una storia non solo senza capo nè coda, inutile e farraginosa, ma anche quasi del tutto priva di momenti catturanti o divertenti. Film presuntuoso, dove molta carne viene inutilmente messa al fuoco, per sfornare alla fine una pizza molliccia ed indigesta, oltre che interminabile. Pedro non ha niente da dire e lo fa mettendoci molto, davvero troppo. Ho voluto rivedere il film, dopo averlo in gran parte dormito la prima volta, ma il caffè doppio non mi ha impedito di sbadigliare di fronte a questo interminabile pastrocchio dove c'è ben poco da salvare: salverei in effetti solo pochissimo altro e la scena finale, dove Pedro cita ampi stralci di "Donne sull'orlo", trapiantati nel "film nel film" che il protagonista non ha idea di come far finire, per concludere che "un film bisogna pur farlo finire, in un modo o nell'altro".
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Il piatto Volver ha rappresentato l'inequivocabile segno dell'esaurimento della vena creativa dell'ad un tempo grandioso Pedro, qui impelagato in una storia non solo senza capo nè coda, inutile e farraginosa, ma anche quasi del tutto priva di momenti catturanti o divertenti. Film presuntuoso, dove molta carne viene inutilmente messa al fuoco, per sfornare alla fine una pizza molliccia ed indigesta, oltre che interminabile. Pedro non ha niente da dire e lo fa mettendoci molto, davvero troppo. Ho voluto rivedere il film, dopo averlo in gran parte dormito la prima volta, ma il caffè doppio non mi ha impedito di sbadigliare di fronte a questo interminabile pastrocchio dove c'è ben poco da salvare: salverei in effetti solo pochissimo altro e la scena finale, dove Pedro cita ampi stralci di "Donne sull'orlo", trapiantati nel "film nel film" che il protagonista non ha idea di come far finire, per concludere che "un film bisogna pur farlo finire, in un modo o nell'altro".Gli interpreti sono tutti insignificanti, il protagonista è quasi insopportabile, solo la Cruz, qui in versione Audrey Hepburnizzata, si salva dal naufragio.La sceneggiatura è piatta e stanca e rende priva di qualsiasi interesse la vicenda, piena in apparenza di mirabolanti rivelazioni ma in realtà senza guizzi, la fotografia è tipicamente almodovariana ed indulge su dettagli, meglio se super colorati, di arcaiche segreterie telefoniche e di claustrofobici interni, salvo prender un'inconsueta boccata d'aria a Lanzarote.
Risparmiate due ore della vostra vita per fare qualcosa di meglio, magari per rivedere per l'ennesima volta le stupende donne sull'orlo. Pedro, cosa abbiamo fatto per meritare tutto ciò?
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francesco2
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domenica 29 novembre 2009
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una pausa di riflessione
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Quando si ha l'impressione che un artista (ri)faccia il verso a sè stesso, non siamo messi benissimo.Ancora peggio è quando si ha l'impressione, giusta o sbagliata, che non ci sia una vera e propria ispirazione.La mia prima impressione può essere argomentata vedendo come lui si autociti,a volte più spudoratamente(Quando nella seconda parte il film-nel-film ricorda "Donne sull'orlo"........, a volte meno(Chi veda l'inizio di questo film può cogliere echi di "Tacchi a spillo").Ma, pensandoci "Bene", qualcosa del film con la Maura si vede persino all'inizio,quando il protagonista torna a casa con una ragazza appena incontrata.
Quanto alla seconda considerazione, siamo diverse persone ad avere colto un omaggio al cinema come vero "Soggetto" di questo film, che nella prima parte annoia non raramente, e che anche nella seconda non incanta.
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Quando si ha l'impressione che un artista (ri)faccia il verso a sè stesso, non siamo messi benissimo.Ancora peggio è quando si ha l'impressione, giusta o sbagliata, che non ci sia una vera e propria ispirazione.La mia prima impressione può essere argomentata vedendo come lui si autociti,a volte più spudoratamente(Quando nella seconda parte il film-nel-film ricorda "Donne sull'orlo"........, a volte meno(Chi veda l'inizio di questo film può cogliere echi di "Tacchi a spillo").Ma, pensandoci "Bene", qualcosa del film con la Maura si vede persino all'inizio,quando il protagonista torna a casa con una ragazza appena incontrata.
Quanto alla seconda considerazione, siamo diverse persone ad avere colto un omaggio al cinema come vero "Soggetto" di questo film, che nella prima parte annoia non raramente, e che anche nella seconda non incanta.le "Prove" per dimostrare questa tesi possono essere , anche qui, più o meno implicite:il protagonista che si fa riprendere, la donna che torna a casa mentre la stanno proiettando e molti elementi della seconda parte, come il (Quasi) finale del fil, dove il figliastro "Presenta" il documentario sulla vita del "Nuovo" padre.
A chi dica che è un omaggio al cinema, si potrebbe rispondere che forse lo è, ma che forse è anche un pretesto per gonfiare una storia che non c'è.E' bella la scena finale, dove i film(Secondo me) potrebbero essere una metafora delle iniziative che nella vita non vanno lasciate cadere.Del resto, no era molto bello anche il finle di "Volver?"E poi, anche se certi spunti sono pretestuosi(Come quello del protagonista che cambia nome ed identità); veramente vale la pena di prendersela con qesto film quando anche "Nuovo Cinema Paradiso" è considerato un atto d'amore per il cinema?
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valeriamonti
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domenica 13 dicembre 2009
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la banalità del già detto
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Un film al quadrato, questo di Almodovar, un melodramma cioè che contiene dentro una commedia.
Alla fine lo spettatore non potrà fare a meno di fare il confronto e di scegliere ancora una volta l'Almodovar di "Donne sull'orlo di una crisi di nervi".
Già perchè l'ultima sequenza in cui il film girato dal protagonista 14 anni prima viene ripreso e montato, compensa la lunga e scontata storia che "gli abbracci spezzati" ci racconta.
Per quanto il regista spagnolo abbia avuto intenzione di omaggiare l'arte cinematografica con questo ultimo lavoro, infarcendolo di citazioni (ma soprattutto di auto-citazioni) la storia sembra già vista (anzi è come se fosse un puzzle di altre storie già viste) e per di piu' lo spettatore non fa nessuna fatica ad anticipare gli eventi; e quindi, quando accadono, risultano abbastanza scontati.
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Un film al quadrato, questo di Almodovar, un melodramma cioè che contiene dentro una commedia.
Alla fine lo spettatore non potrà fare a meno di fare il confronto e di scegliere ancora una volta l'Almodovar di "Donne sull'orlo di una crisi di nervi".
Già perchè l'ultima sequenza in cui il film girato dal protagonista 14 anni prima viene ripreso e montato, compensa la lunga e scontata storia che "gli abbracci spezzati" ci racconta.
Per quanto il regista spagnolo abbia avuto intenzione di omaggiare l'arte cinematografica con questo ultimo lavoro, infarcendolo di citazioni (ma soprattutto di auto-citazioni) la storia sembra già vista (anzi è come se fosse un puzzle di altre storie già viste) e per di piu' lo spettatore non fa nessuna fatica ad anticipare gli eventi; e quindi, quando accadono, risultano abbastanza scontati.
Insomma, è come se il regista avesse perso lo smalto che fino a “Volver” ha dimostrato di possedere proponendo un film ripetitivo e sempliciotto.
A partire dalla totale mancanza di carisma del protagonista, che rimane per tutta l'opera ancorato a una imperturbabilità estenuante, per continuare con quelli che dovevano essere i colpi di scena (la rivelazione della paternità, o la colpevolezza della produttrice eternamente innamorata) ma che sono così intuibili già nel corso della pellicola da renderli inefficaci.
lla rivelazione
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nino pell.
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sabato 12 dicembre 2009
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riprendere le illusioni ed i sogni del passato
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Ancora una volta il regista Almodòvar ci regala una pellicola caratterizzata da elementi diversi ed apparentemente divergenti che inevitabilmente sono destinati ad avere, prima o poi, dei punti di congiunzione. La storia del protagonista, Mateo Blanco, ha un passato fatto di ricordi, di illusioni e di un amore spezzato che necessariamente egli ha dovuto rimuovere dalla sua memoria. E per riuscire in tale intento egli decide di cambiare lavoro (scelta forzata, tra l'altro, essendo diventato cieco a seguito di un incidente stradale che gli ha strappato in un solo istante le due cose alle quali teneva maggiormente: la donna che amava e la sua professione di regista)e perfino nome. Una nuova vita dunque, nella quale adagiarsi nel cercare quelle poche cose che ancora possono rendere felice un uomo.
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Ancora una volta il regista Almodòvar ci regala una pellicola caratterizzata da elementi diversi ed apparentemente divergenti che inevitabilmente sono destinati ad avere, prima o poi, dei punti di congiunzione. La storia del protagonista, Mateo Blanco, ha un passato fatto di ricordi, di illusioni e di un amore spezzato che necessariamente egli ha dovuto rimuovere dalla sua memoria. E per riuscire in tale intento egli decide di cambiare lavoro (scelta forzata, tra l'altro, essendo diventato cieco a seguito di un incidente stradale che gli ha strappato in un solo istante le due cose alle quali teneva maggiormente: la donna che amava e la sua professione di regista)e perfino nome. Una nuova vita dunque, nella quale adagiarsi nel cercare quelle poche cose che ancora possono rendere felice un uomo. Ma un bel giorno, il passato sembra bussargli alla porta e così Mateo Blanco si accorge che forse c'è ancora qualcosa che può recuperare e magari completare tra le cose che egli credeva perdute per sempre. Il messaggio conclusivo che ci lascia Almodòvar è quello di far capire che non bisogna rinunciare a credere che i sogni e le illusioni di un passato che sembra finito per sempre, non possano essere ripresi, anche se naturalmente solo in parte dato che la sua Lena ormai non c'è più. E da una sorta di sincronismo temporale a volte nella vita può capitare che la bellezza delle ispirazioni delle cose di ieri servano ad alimentare ed a rivitalizzare la gioia del presente. E ciò indipendentemente dalla loro importanza concreta (come nel caso del protagonista, la conclusione di un film al quale egli teneva molto). Perché il loro ritorno, a volte, aiuta nel non trincerarsi in un presente amorfo nel quale ci sente morti dentro per sempre.
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dario
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martedì 24 agosto 2010
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bulimico
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Almodovar sa fare il cinema, ma è anche responsabile di melodrammi poco digeribili. Qui forse si supera con una storia da fotoromanzo, dilungandosi con insopportabile narcisismo. Non si capisce, poi, perchè debba sempre ricorrere alla trasgressione, moltiplicandola a dismisura e parteggiando per la parte decisamente più trasgressiva. C'è evidentemente qualcosa di autobriogafico nel duro cimento espressivo, che Almodovar rende molle per limiti speculativi imbarazzanti rispetto alle premesse e alle promesse. Recitazione di pancia, fotografia di lusso (da cartolina), un po' di sesso sfrenato (e talora incomprensibile), mille frustrazioni al palo, noia.
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Almodovar sa fare il cinema, ma è anche responsabile di melodrammi poco digeribili. Qui forse si supera con una storia da fotoromanzo, dilungandosi con insopportabile narcisismo. Non si capisce, poi, perchè debba sempre ricorrere alla trasgressione, moltiplicandola a dismisura e parteggiando per la parte decisamente più trasgressiva. C'è evidentemente qualcosa di autobriogafico nel duro cimento espressivo, che Almodovar rende molle per limiti speculativi imbarazzanti rispetto alle premesse e alle promesse. Recitazione di pancia, fotografia di lusso (da cartolina), un po' di sesso sfrenato (e talora incomprensibile), mille frustrazioni al palo, noia.
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rex tremendae
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mercoledì 13 gennaio 2010
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matura introspezione che solca le coscienze
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Da molti anni sono stato rapito dal "modus" di fare cinema di Pedro Almodovar...Ciò che mi affascina del Maestro nei suoi esordi é la capacità attraverso storie di ordinaria quotidianità, di persone comuni a utilizzare quel calibrato equilibrio di sagacia, ironia e sarcasmo, unito alla sua inconfondibile vena ironico-grottesco-sarcastica (in alcuni film tipo Kika siamo quasi al paradosso, ma il paradosso é tanto eccessivo da volgere al vero e concreto, come se quello fosse il vero e non il resto del mondo). Questo riuscire a capovolgere le situazioni "estreme" in qualcosa di "lieve" su cui ci si ride anche un po' addosso senza mancare di contenere in quelle azioni un senso di nostalgias è nota inconfondibile dei film almodovariani: un riverbero dell'anima per quel che si vorrebbe afferrare, ma non sempre possibile portarlo a compimento.
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Da molti anni sono stato rapito dal "modus" di fare cinema di Pedro Almodovar...Ciò che mi affascina del Maestro nei suoi esordi é la capacità attraverso storie di ordinaria quotidianità, di persone comuni a utilizzare quel calibrato equilibrio di sagacia, ironia e sarcasmo, unito alla sua inconfondibile vena ironico-grottesco-sarcastica (in alcuni film tipo Kika siamo quasi al paradosso, ma il paradosso é tanto eccessivo da volgere al vero e concreto, come se quello fosse il vero e non il resto del mondo). Questo riuscire a capovolgere le situazioni "estreme" in qualcosa di "lieve" su cui ci si ride anche un po' addosso senza mancare di contenere in quelle azioni un senso di nostalgias è nota inconfondibile dei film almodovariani: un riverbero dell'anima per quel che si vorrebbe afferrare, ma non sempre possibile portarlo a compimento. In quest'ultimo direi a mio modesto parere, che si è aggiunta una vena "epica" - da tragedia greca - dove una storia d'amori difficili sembra contrastarsi come fossero paladini messi in atto da fati inesorabili e inconciliabili....Il passato visto non come un recupero puro e semplice della memoria, ma come il meccanismo che innesca la svolta catartica fino all'immagine finale dell'autocitazione. In questo mi ha ricordato il Don Giovanni di Mozart dove nell'ultima scena l'autore cita alcuni sui brani quasi a dare un senso recuperato di "levitas" e di olimpico distacco dalle miserie umane e dalle conseguenti tragedie del fato...chi si aspetta "cliché" ne rimarrà profondamente deluso e sconcertato, ma d'altronde già in La mala educacion ci aveva parzialmente addomesticati a un nuovo porgere le problematiche anche scottanti del quotidiano con una certa durezza e inflessibilità. Come allora anche qui il gioco a specchi della narrazione nella narrazione, dell'immagine che richiama altre immagini: é un artificio di lontana memoria teatrale che riproposto con la tecnica cinematografica riesce pur nella frammentarietà degli eventi e nel susseguirsi delle vicende a ricucire a poco a poco un corpus unico e unitario: tutto sta nel comprendere le dinamiche che hanno spinto l'autore a servirsi di artifici, che non degenerano in "artificiosità" ostentata o al peggio faticosa e barocca....Il finale degno della sua propensione al sorriso che è in realtà la natura mai mutata nel tempo del Maestro, qui acquisisce un differente senso, non solo di alleggerire - come a voler forzatamente mettere un lieto fine a tutti costi -, ma a rimembrare a tutti noi che nelle disgrazie della vita abbiamo il dovere come uomini e donne di trovare e far emergere sempre il lato positivo in ogni caso. Questa é l'unica vera ragione e pulsione che porta la vita a continuare ad essere vissuta per quello che è, e cioè un continuo peregrinare di coscienze in cerca di una loro identità e collocazione nel tempo e nei ruoli. GRAZIE per l'attenzione e se per qualcuno può sembrare il contrario di quanto ho detto, beh, non se la prenda, il bello sta anche nel vedere in modi differenti le situazioni del quotidiano, non sempre così sorridente.
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[+] matura introspezione che solca le coscienze
(di chiara renda)
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simona tudisco
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sabato 13 ottobre 2012
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gli abbracci spezzati,occasione mancata
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Torno ad indossare per un giorno i miei panni da 'critico cinematografico' per stroncare un film da cui mi aspettavo tanto. Parlo di ‘Los abrazos rotos’ di Pedro Almodovar. Punto cardine della mia umile recensione è che non ho capito quale fosse il tema del film.
Una donna contesa tra due uomini? No! Una donna innamorata di due uomini che non sa decidersi? No! Un uomo ossessionato da una donna? Neanche! Due che si amano contro ogni avversità? Boh!
Di sicuro è la storia della Cruz che si trasforma grazie al trucco, alle parrucche e ai costumi; di sicuro c’è la fotografia unica e meravigliosa dei film di Almodovar.
Sarà per questo che la sensazione finale è che Pedro si sia impegnato troppo a curare i dettagli estetici e stilistici e meno quelli della struttura facendo uscire nelle sale un film dalla trama poco fluida che passa attraverso personaggi poco approfonditi e spunti lasciati a metà.
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Torno ad indossare per un giorno i miei panni da 'critico cinematografico' per stroncare un film da cui mi aspettavo tanto. Parlo di ‘Los abrazos rotos’ di Pedro Almodovar. Punto cardine della mia umile recensione è che non ho capito quale fosse il tema del film.
Una donna contesa tra due uomini? No! Una donna innamorata di due uomini che non sa decidersi? No! Un uomo ossessionato da una donna? Neanche! Due che si amano contro ogni avversità? Boh!
Di sicuro è la storia della Cruz che si trasforma grazie al trucco, alle parrucche e ai costumi; di sicuro c’è la fotografia unica e meravigliosa dei film di Almodovar.
Sarà per questo che la sensazione finale è che Pedro si sia impegnato troppo a curare i dettagli estetici e stilistici e meno quelli della struttura facendo uscire nelle sale un film dalla trama poco fluida che passa attraverso personaggi poco approfonditi e spunti lasciati a metà.
Per i primi 40 minuti ho pensato che, forse, questa confusione di elementi fosse funzionale all’intreccio ma lo sviluppo del resto della storia risulta alla fine prevedibile (oserei dire banale) e di scarsissimo mordente.
Se avrò voglia di rivederlo mi accontenterò del trailer che in questo caso è molto più bello e concreto del film!
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shiningeyes
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martedì 8 ottobre 2013
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interessante omaggio al cinema.
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“Gli abbracci spezzati” è un melodramma abbastanza convincente con una sceneggiatura iniziale al quanto intrigante che purtroppo si sfalderà nella banalità nel proseguire della storia. In un analisi più accurata risulterà comunque una visione godibile con numerosi omaggi cinefili inquadrati da Almodòvar, con tanto di autocitazione del film “Donne sull'orlo di una crisi di nervi”e con uno sguardo metacinematografico molto interessante; il merito della godibilità accennata prima è dato anche dalle buone prove di Penelope Cruz (sembra dare il meglio solo quando lavora con il suo mentore) e del navigato Lluìs Homar.
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“Gli abbracci spezzati” è un melodramma abbastanza convincente con una sceneggiatura iniziale al quanto intrigante che purtroppo si sfalderà nella banalità nel proseguire della storia. In un analisi più accurata risulterà comunque una visione godibile con numerosi omaggi cinefili inquadrati da Almodòvar, con tanto di autocitazione del film “Donne sull'orlo di una crisi di nervi”e con uno sguardo metacinematografico molto interessante; il merito della godibilità accennata prima è dato anche dalle buone prove di Penelope Cruz (sembra dare il meglio solo quando lavora con il suo mentore) e del navigato Lluìs Homar.
Proprio Lluìs Homar si dimostra all'altezza del personaggio da lui interpretato: il solitario e triste Mateo Blanco, regista di successo che perse la vista e la sua donna quattordici anni prima su un incidente stradale, i cui retroscena sono al quanto scottanti e che verranno rivelati dallo stesso regista al figlio della sua agente in un lungo flashback. Come si diceva prima, l'impianto narrativo iniziale è affascinante e sa tenere sulle spine lo spettatore, peccato che poi tale impianto cada in soluzioni decisamente troppo prevedibili e accomodanti. Da notare comunque una solita ottima regia di mestiere di Almodòvar e un preciso delineamento del tratto cinematografico che sa spiegare anche ai novizi lo svolgimento di un film e della sua scrittura ed a mio avviso è eccellente materiale per capire come si realizza un film e fa venire tanta voglia di scriverne uno (aspetto più curato del film di Almodòvar).
A caldo lo si può ritenere un filmetto, ma se si va a riflettere bene a visione conclusa, risulterà essere un qualcosa di più, sia per i temi trattati e sia per le ottime prove degli attori, oltre il buon esercizio su come fare cinema.
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