Si può fare |
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Un film di Giulio Manfredonia.
Con Claudio Bisio, Anita Caprioli, Giuseppe Battiston, Giorgio Colangeli, Bebo Storti.
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Commedia,
durata 111 min.
- Italia 2008.
- Warner Bros Italia
uscita venerdì 31 ottobre 2008.
MYMONETRO
Si può fare ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |
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Da Vedere.
di JackFeedback: 0 |
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venerdì 14 novembre 2008 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
"Si può fare" un film in italia intelligente e divertente allo stesso tempo. "Si può fare" un film in Italia che pur non avendo l'ambizione autoriale di Sorrentino e Moretti riesca a coniugare qualità e quantità, a trasmettere emozioni, a colpire allo stomaco non tanto per i temi trattati quanto per il modo in cui essi vengono proposti o anche solo per le scelte registiche. Claudio Bisio è una garanzia, forse uno degli attori più sottovalutati in Italia e anche uno di quelli a cui la sovraesposizione televisiva non "guasta" l'immagine cinematografica. Il resto del cast puntella egregiamente nei ruoli secondari la sceneggiatura, bravissimi anche tutti gli attori nei ruoli da disabili. Il tema della malattia mentale è stato variamente declinato al cinema, dal patetico (i Am Sam, Forrest Gump, Rain Man) al poetico (Ivo il tardivo) al comico (il geniale "...e fuori nevica" di Vincenzo Salemme) e in buona parte della filmografia di Milos Forman, in cui la pazzia e il genio sono due facce della stessa medaglia. La particolarità ed il merito del film di Giulio Manfredonia (regista del simpatico "Se fossi in te") è quella di raccontare le cooperative sociali nate negli anni 80 in Italia che davano lavoro alle persone disabili e inventare la storia di una di queste. Si parla di un pezzo di storia del paese, la storia nascosta dai giornali e dai libri, fatta dalle persone, che non cambiano il corso degli eventi, ma che li subiscono e cercano di fare del loro meglio. Inizio anni 80: in seguito alla legge 180 i manicomi sono aperti, i malati sono abbandonati a se stessi. La vecchia scuola di medici vuole tenerli in condizione di non nuocere a se stessi e agli altri, la nuova generazione crede in un approccio diverso, basato sul rispetto dell'individuo. Un sindacalista "problematico" viene messo a capo di una cooperativa di disabili mentali e decide di farli lavorare per davvero, abbandonando le attività da elemosina per restituire alle persone malate la loro dignità attraverso il lavoro. Siamo forse abituati a inquadrare messaggi nei film e presto, durante la visione, si è portati a credere che il film parli delle capacità dei cosiddetti pazzi, della possibilità della loro integrazione e del rifiuto della società e della medicina di provare strade alternative alla sedazione. Medico bigotto contro medico innovatore, pazzo geniale, pazzo artista, pazzo innamorato...si può pensare che sia tutto già visto. Un film americano di questo genere può avere solo due finali: quello in cui tutto va bene, i matti si integrano e conducono un'esistenza normali, riscattati socialmente (modello "I Am Sam"). E quello in cui, nel momento migliore, accade l'imprevisto tragico impedisce un lieto fine, e si torna alla situazione di partenza (modello "Risvegli" o anche "Rain Man"). In questro caso finalmente si va oltre lo stereotipo e l'ultima parte del film ribalta la prospettiva e i ruoli,i personaggi diventano persone nel momento in cui le ideologie che li dividono si infrangono, tutte allo stesso modo, contro la realtà. Nè la tragedia nè l'integrazione sono il compimento del film, pur essendone parte. La linea di demarcazione tra malattia mentale e sanità purtroppo resta alla fine drammaticamente tracciata, nonostante il furbetto "tag" del film che "nessuno è normale visto da vicino", ma, come dice Nello/Bisio dopo il primo lavoro fallimentare della coopeativa: "Abbiamo sbagliato perchè abbiamo fatto", ed è meglio che non tentare per niente.
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