Si può fare |
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Un film di Giulio Manfredonia.
Con Claudio Bisio, Anita Caprioli, Giuseppe Battiston, Giorgio Colangeli, Bebo Storti.
continua»
Commedia,
durata 111 min.
- Italia 2008.
- Warner Bros Italia
uscita venerdì 31 ottobre 2008.
MYMONETRO
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i malati nascondono enormi energie creative
di ciccio capozziFeedback: 0 |
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giovedì 6 novembre 2008 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
“SI PUO’ FARE” di GIULIO MANFREDONIA; ITA, 08. Anni 80, Milano. Nello è un sindacalista esiliato in una cooperativa di malati mentali. Animato da spirito imprenditoriale e democratico, crea per sé e gli altri un lavoro vero, non assistenziale, tra incomprensioni e drammi. Il film, ispirato a più storie vere, poi condensate in una sola estremamente emblematica, ha una forte valenza civile, perché difende, contro ogni revisionismo autoritario filo-manicomiale, la Legge Basaglia, la famosa “180”, varata nel 78; così chiamata in onore di Franco Basaglia, il grande psichiatra che la teorizzò. Prevedeva l’abolizione del Manicomio coatto, e l’affidamento dei “matti” a servizi specializzati d’Igiene Mentale, che, tranne poche eccezioni, come queste contemplate nel film, non si sono mai seriamente voluti creare. Ma la bellezza del film è che non sposa in astratto una nobile causa, ma la cala in una riuscita storia corale, in cui l’illustrazione del disagio psichico, non edulcorato o macchiettistico, va di pari passo non solo con la riuscita individuazione di caratteri, ma anche con il comunicare delle vibrazioni sentimentali ed emotive non banali. La sceneggiatura, molto abile, di un giovane sceneggiatore molto attivo nel recente cinema a sfondo giovanile, Fabio Bonifacci, fa proprio nella sostanza un dato su cui ha riflettuto Eugenio Borgna, un altro grande psichiatra di scuola basagliana: che spesso i malati nascondono enormi energie creative che sono come “il crepuscolo nascosto” ricoperto dalla intensa sofferenza, che proprio la grande sensibilità ha attivato. Ed è dalla fantasia lasciata libera di questi pazienti che nasce la bellezza, unica, non omologabile, dei loro manufatti di parquet. Qui è tutto il film. Ma la conduzione registica è attenta a calibrare il dato spesso umoristico, con la grande leggerezza e rispetto di tocco, nel registrare i cambiamenti delle singole patologie. Il tutto in una vicenda che riesce a svilupparsi in modi credibili, allorché la coop si apre al mondo. Emerge ad esempio, in pochi ma efficacissimi tratti di sceneggiatura, senza enfasi strappalagrime, ma diritto al cuore, il dramma dell’oppressione familiare, che porta il povero Gigio al suo destino. Il regista ha trovato in Claudio Bisio il suo degno complice-protagonista. La sua interpretazione è assolutamente, genialmente in bilico tra senso degli affari, uso efficace delle democrazia praticata, cazzimma, cinismo e anche co-follia; come anche tra sensibilità e senso e rispetto della sofferenza, che egli impara a riconoscere, e lo matura. Ricostruita senza eccessi di retorica, pur se con povertà di mezzi, l’atmosfera della “Milano da bere” di quegli anni rampanti pre-tangentopoli.
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