carla fellegara
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lunedì 11 settembre 2006
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che ne sai tu della cina?
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I bambini c’entrano anche stavolta.
Il bambino in questione è Sao Li, due anni circa, silenzioso.
No, non è lui il protagonista di “La stella ce non c’è”, ultimo film di Gianni Amelio, anzi Sao Li è una figura marginale nella storia, eppure sarà la sua solitudine a far cambiare le cose.
In fondo un bambino è un bambino, anche nella Cina di oggi, dove i grattacieli cresconCo come funghi, dove ci sono più operai che contadini, dove ci sono bambini che vivono in fabbriche enormi e lavorano in fabbriche enormi.
“Non me la immaginavo così la Cina” dice il protagonista del film, alias un convincente Sergio Castellitto che interpreta Vincenzo Buonavolontà, vale a dire il manutentore specializzato di un’acciaieria, che si mette in testa di risolvere il difetto meccanico insito nell’altoforno e per questo è pronto ad andare fino a Shangai dove l’impianto viene venduto.
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I bambini c’entrano anche stavolta.
Il bambino in questione è Sao Li, due anni circa, silenzioso.
No, non è lui il protagonista di “La stella ce non c’è”, ultimo film di Gianni Amelio, anzi Sao Li è una figura marginale nella storia, eppure sarà la sua solitudine a far cambiare le cose.
In fondo un bambino è un bambino, anche nella Cina di oggi, dove i grattacieli cresconCo come funghi, dove ci sono più operai che contadini, dove ci sono bambini che vivono in fabbriche enormi e lavorano in fabbriche enormi.
“Non me la immaginavo così la Cina” dice il protagonista del film, alias un convincente Sergio Castellitto che interpreta Vincenzo Buonavolontà, vale a dire il manutentore specializzato di un’acciaieria, che si mette in testa di risolvere il difetto meccanico insito nell’altoforno e per questo è pronto ad andare fino a Shangai dove l’impianto viene venduto.
Non ce la immaginavamo nemmeno noi così la Cina: niente muraglie lunghe chilometri, niente templi né regge maestose, ma solo città anonime e superaffollate, pianure desolate, industrializzazione selvaggia, e uomini, e donne, in bicicletta, in nave, in treno, a piedi, in continuo movimento in un paese in accelerata evoluzione ma, comunque, sempre arretrato.
“Che ne sai tu della Cina” risponde Liu Hua, la giovane traduttrice cinese che accompagna Vincenzo Buonavolontà nel viaggio.
Che ne sappiamo noi di questo paese enorme, dove in un unico condominio possono abitare fino a 8.000 persone, dove il futuro convive fianco a fianco con il passato remoto, dove per un italiano è davvero difficile farsi capire?
La difficoltà a comunicare, i rapporti interpersonali e il mondo dell’infanzia rimangono l’ossessione di questo regista che conferma le sua grande capacità di narrare pezzi di vita e angoli di mondo attraverso piccole storie che evitano tragedie e grandi passioni per raccontare l’incontro, la comprensione, la riconciliazione, attraverso l’indagine delle emozioni e dei malesseri sotterranei.
Presentato in concorso al festival del cinema di Venezia, “La stella che non c’è” se n’è tornato a casa senza riconoscimenti, gli è stato preferito “Still life” del cinese Zheng-ke che in qualche modo ricalca i temi proposti da Amelio ma in modo “più potente e straniante” secondo le parole del giurato Michele Placido. .
Eppure è proprio in questa sua apparente debolezza la grande forza della regia di Gianni Amelio, che procedendo per sottrazione, senza virtuosismi di macchina, senza un vero colpo di scena e senza un concretizzarsi delle tragedie annunciate, arriva a concedersi il lusso di inserire sequenze superflue, non funzionali al racconto, come fossero piccole finestre che si aprono su orizzonti sconosciuti, come se un po’ di realtà potesse entrare nella finzione e contagiarla. Irrimediabilmente.
Una regia a cui Sergio Castellitto sa adeguarsi, minimalizzando espressività e gestualità e che può contare sulla fotografia di Luca Bigazzi che rivela una Cina disgregata, grigia, poetica e spaventosa.
Tratto dal romanzo di Ermanno Rea “La dismissione” (“A me non mi hanno ancora dimesso” dice Buonavolontà in una riuscita battuta), “La stella che non c’è” è un film delicato, che usa un linguaggio emozionale per raccontare il viaggio verso una meta ideale di due persone lacerate fra passato e modernità, con Buonavolontà che tenta di affermare la dignità del lavoro manuale e Liu Hua in crisi d’identità fra un Oriente che sente sempre più lontano e un Occidente che non
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maria cristina nascosi
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sabato 7 ottobre 2006
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una stella a...venezia, tra libro e film
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Presente anche il regista, Gianni Amelio, alla 63 a edizione della Mostra Internazionale del Cinema, nella città lagunare per eccellenza, quest'anno, per promozionare il suo film, La stella che non c'è, e presentare, al contempo, il libro che Emanuela Martini, giornalista, critico e una delle ‘anime’ del Bergamo Film Meeting ab ovo, è proprio il caso di dirlo, ha voluto dedicargli e proporre nel prestigioso spazio della Terrazza Martini, all’Hotel Excelsior, del Lido
Amelio per La stella che non c’è, ha cercato ispirazione nel libro di Ermanno Rea, La dismissione, saga singolare di un tramonto industriale.
Una delegazione cinese arriva in Italia per rilevare un grande impianto da un'acciaieria in disarmo.
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Presente anche il regista, Gianni Amelio, alla 63 a edizione della Mostra Internazionale del Cinema, nella città lagunare per eccellenza, quest'anno, per promozionare il suo film, La stella che non c'è, e presentare, al contempo, il libro che Emanuela Martini, giornalista, critico e una delle ‘anime’ del Bergamo Film Meeting ab ovo, è proprio il caso di dirlo, ha voluto dedicargli e proporre nel prestigioso spazio della Terrazza Martini, all’Hotel Excelsior, del Lido
Amelio per La stella che non c’è, ha cercato ispirazione nel libro di Ermanno Rea, La dismissione, saga singolare di un tramonto industriale.
Una delegazione cinese arriva in Italia per rilevare un grande impianto da un'acciaieria in disarmo. Vincenzo Buonavolontà – non casuale il cognome, nomen omen - manutentore specializzato nei controlli delle macchine, è convinto che l'altoforno in vendita non sia in buone condizioni e vuole ostinatamente trovare il guasto perchè non succedano, com'è già accaduto, incidenti gravi agli operai che dovranno manovrarlo. Vincenzo scopre il difetto dell'impianto tardi, quando i cinesi sono già ripartiti con tutto il carico per ritornare nel proprio Paese. Non ci ripensa: vola a Shanghai per consegnare personalmente la centralina idraulica modificata che permetterà all'altoforno di funzionare perfettamente. Ma lo aspetta una brutta sorpresa: l'azienda cinese che aveva comprato l'impianto lo ha già rivenduto ad altri, il capo della delegazione che Vincenzo aveva conosciuto in Italia è passato a nuovi incarichi e, soprattutto, nessuno sa o vuole dire dove sia finito l'altoforno. Inizia così il calvario di Vincenzo Buonavolontà in una Cina che non è per nulla quella da lui immaginata.
Un rito di passaggio, per il protagonista, un sempre formidabile Sergio Castellitto - pure presente in conferenza stampa a Venezia - nel corso del quale gioca un ruolo di primo piano la giovane Liu Hua che, dietro il suo dolce viso, nasconde qualcosa...
Un ottimo film, interpretato ottimamente.
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maria rosa giannalia
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lunedì 18 settembre 2006
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film o documentario?
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Di Gianni Amelio ho visto quasi tutti i film e ho sempre provato grande commozione per la felice mano nel sapere scandagliare gli aspetti meno appariscenti del quotidiano, che poi sono quelli che ne danno la connotazione di fondo.
Non mi è accaduto invece durante la visione di questo film. Poco verosimile, la fabula ( ma è tratta dal romanzo...)si può ricondurre a pochi punti focali: un tecnico di un'acciaieria preso da un raptus di moralità va in Cina a portare un pezzo fondamentale per il funzionamento di un altoforno acquistato in Italia da intermediari cinesi senza scrupoli che lo rivendono ad una ditta che lo va a piazzare in una remota regione dell'immenso stato cinese. Azione difficile quanto inutile: il pezzo verrà buttato via dagli operai.
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Di Gianni Amelio ho visto quasi tutti i film e ho sempre provato grande commozione per la felice mano nel sapere scandagliare gli aspetti meno appariscenti del quotidiano, che poi sono quelli che ne danno la connotazione di fondo.
Non mi è accaduto invece durante la visione di questo film. Poco verosimile, la fabula ( ma è tratta dal romanzo...)si può ricondurre a pochi punti focali: un tecnico di un'acciaieria preso da un raptus di moralità va in Cina a portare un pezzo fondamentale per il funzionamento di un altoforno acquistato in Italia da intermediari cinesi senza scrupoli che lo rivendono ad una ditta che lo va a piazzare in una remota regione dell'immenso stato cinese. Azione difficile quanto inutile: il pezzo verrà buttato via dagli operai.
Questa è l'azione principale ( e l'unica) del film che porge il destro al regista per una descrizione minuziosa di una Cina in fermento verso una revanche tecnologica e capitalistica dove i contrasti sono così forti e stridenti da soggiogare uno sprovveduto e ingenuo tecnico occidentale.
In effetti la vicenda si sfoca nello sfondo e mi è sembrato che questa volta lo scopo del regista fosse quello di "mostrare" attraverso un solo punto di vista, quello del protagonista, la realtà cinese d'oggi. Non credo che basti questo per fare un film. Da un film io mi aspetto qualche altra cosa, per esempio una vicenda che si snoda anche sul filo dell'actio, e non un documentario. Per di più girato con la tecnica della cinepresa da "videoamatore" che a me , che soffro di leggera labirintite, ha fatto venire la nausea. Sono rimasta fino alla fine perchè volevo vedere come andava a finire. E sono stata punita: non andava a finire.
Che dire? Ho trovato tuttavia alcuni elementi veramente poetici: tutte le inquadrature dei bambini. Qui è rispuntato il toccante Amelio, e il suo particolare sguardo sull'infanzia, quello sì veramente all'altezza.
L'interprete Sergio Castellitto, non era francamente molto esaltante: troppo selvatico, gratuitamente ingrugnito. Sempre con la stessa espressione da disperato. Troppo.
Molto azzeccata invece l'interpretazione della giovane attrice cinese.
Film troppo lungo e rindondante. Francamente mi ha stancato.
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(di giampiero)
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domenica 10 settembre 2006
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barche sotto le stelle
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La stella che non c’è, continuazione ideale di un romanzo di Ermanno Rea, La dismissione, è il film più ecumenico di Gianni Amelio: il progresso rapido e sconvolgente muta radicalmente il volto di città e Paesi, rende obsolete attività e competenze, mescola le razze e costringe alla convivenza usi e costumi diversi, determina nella feroce lotta per l’affermazione di sé vincitori e vinti; allora arrivare al socratico sentirsi cittadino del mondo prima ancora che italiano o cinese diventa l’unico mezzo per conservare integra la propria identità di esseri umani; la stella che non c’è è visibile ovunque sotto lo stesso cielo. E’ una strada percorribile con molta fatica, fra le lacrime, e mai da soli: le microutopie prospettate quasi sempre dalla filmografia di matrice neo realistica di Amelio non fanno facili sconti a chi vi si imbarca, le contraddizioni sono insuperabili, l’idillio si solidifica quotidianamente durante il viaggio ma resta fragile, non ha continuità rasserenante, la porta aperta su un futuro possibile potrà richiudersi un giorno all’improvviso.
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La stella che non c’è, continuazione ideale di un romanzo di Ermanno Rea, La dismissione, è il film più ecumenico di Gianni Amelio: il progresso rapido e sconvolgente muta radicalmente il volto di città e Paesi, rende obsolete attività e competenze, mescola le razze e costringe alla convivenza usi e costumi diversi, determina nella feroce lotta per l’affermazione di sé vincitori e vinti; allora arrivare al socratico sentirsi cittadino del mondo prima ancora che italiano o cinese diventa l’unico mezzo per conservare integra la propria identità di esseri umani; la stella che non c’è è visibile ovunque sotto lo stesso cielo. E’ una strada percorribile con molta fatica, fra le lacrime, e mai da soli: le microutopie prospettate quasi sempre dalla filmografia di matrice neo realistica di Amelio non fanno facili sconti a chi vi si imbarca, le contraddizioni sono insuperabili, l’idillio si solidifica quotidianamente durante il viaggio ma resta fragile, non ha continuità rasserenante, la porta aperta su un futuro possibile potrà richiudersi un giorno all’improvviso. Tuttavia nel rapporto fra l’operaio specializzato Vincenzo Buonavolontà e la sua guida, la sfortunata ragazza madre Liu Hua, trovano un punto d’incontro due universi culturali e sociali, benché agli antipodi, assai simili nelle ferite non rimarginabili: l’uomo, l’ultimo ed inutile esemplare di una specie lavorativa in via d’estinzione caratterizzata da dedizione al lavoro ed onestà, rappresenta la coscienza della crisi di un centro, la Vecchia Europa, ormai periferia ininfluente nei destini del pianeta, la donna è ciò che una periferia in fermento sul punto di diventare centro lascia di drammaticamente irrisolto dietro di sé. Così il sentimento doloroso di una sconfitta misto a curiosità ed apertura mentale fa da filtro al reportage intimo e soggettivo: l’esplorazione epidermica muove dagli occhi, dalle orecchie, dal cuore e persino dal gusto, non studia e non analizza, bensì esaspera il dettaglio; per questo la Cina de La stella che non c’è conferma sì quella futuristica fatta di cantieri e grattacieli delle statistiche sulla crescita economica, ma ne illumina il nervo scoperto in particolare nel paradosso inquietante di un’infanzia sfruttata e abbandonata a se stessa, segregata in officine attive giorno e notte. Un continente popolato da orfani è malato ed è raccapricciante pensare che esso rappresenti il domani dell’umanità, eppure proprio lì l’italiano di mezz’età, moralista superato dai tempi, con il suo brutto carattere intransigente, recupera alla fine se stesso assumendosi volontariamente il ruolo di padre e riparando ciò che era stato spezzato. Ogni uomo è un’isola, servono però le barche per mettersi in salvo dai tifoni.
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(di susanna valle)
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giampiero
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giovedì 14 settembre 2006
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un napoletano in cina
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La stella che non c'è.
La scena che mi ha colpito è quella in cui il protagonista, verso la fine del film, solo, su una chiatta che naviga lentamente su un fiume immenso, prima si commuove e poi inizia a piangere. Straordinario Castellitto. Questa scena dovrebbero metterla nel Libro di Scuola dei giovani attori, ammesso che ne esistesse ancora una. Altra cosa da fare urgentemente sarebbe iscrivere a questa scuola, per legge, il muccino, corredato dal suo telefonino ovviamente, insieme ai suoi cloni. Ma vediamo la vicenda. Un napoletano ripara da solo la centralina di un altoforno venduto dall’Italia ai cinesi e parte dall'Italia per portarla ai cinesi che hanno comprato l'impianto. Parte da solo.
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La stella che non c'è.
La scena che mi ha colpito è quella in cui il protagonista, verso la fine del film, solo, su una chiatta che naviga lentamente su un fiume immenso, prima si commuove e poi inizia a piangere. Straordinario Castellitto. Questa scena dovrebbero metterla nel Libro di Scuola dei giovani attori, ammesso che ne esistesse ancora una. Altra cosa da fare urgentemente sarebbe iscrivere a questa scuola, per legge, il muccino, corredato dal suo telefonino ovviamente, insieme ai suoi cloni. Ma vediamo la vicenda. Un napoletano ripara da solo la centralina di un altoforno venduto dall’Italia ai cinesi e parte dall'Italia per portarla ai cinesi che hanno comprato l'impianto. Parte da solo. Non sa neppure dove andare. Insomma un pretesto, e neanche tanto credibile, per farci vedere la Cina di oggi, nei suoi diversi aspetti.
A volte il film sembra un documentario. E di conseguenza tende a fare dormire un po'. Ma le intenzioni sono buone, perciò il film è da vedere. Il protagonista è accolto come un rompiscatole. Passa dei piccoli guai con la polizia e inizia a girare la Cina per trovare l'altoforno venduto dall'Italia. Come trovare un ago nel pagliaio. Ma il protagonista, almeno in questo, ha fortuna. Prima ritrova miracolosamente la giovane interprete cinese che aveva conosciuto in Italia e la assolda per accompagnarlo nella sua ricerca. E questa ne approfitta per portarlo nel paese in cui è nata e nel quale vive suo figlio che ha lasciato ad una nonna, per poter studiare.
Castellitto fa una po’ da padre al bambino, gli lascia smontare e rimontare la centralina. Ripartono, e dopo diversi errori, riescono miracolosamente a trovare l'acciaieria che cercano. A questo punto Castellitto, ormai stanco, dà la sua centralina, così preziosa, al primo venuto, il quale la porta ai colleghi che non capiscono che cavolo di particolare abbia quella centralina rispetto a tutte quelle che hanno loro e la buttano nei rifiuti. Fine dei sogni perfezionisti napoletani. Se l'altoforno va a fuoco, i cinesi in 3 mesi ne costruiranno altri 3. Questa è la Cina oggi. Se una cosa si rompe non si ripara. Si butta. E se ne costruiscono altre 10. Vi piace riparare il vecchio? Andate a Napoli. Vi piace il nuovo? Andate a Pechino.
Alla fine però il Castellitto, cinquantenne, si prende la cinesina, ragazza madre, senza lavoro, con un diploma che non vale molto e vissero felici e contenti. Però mi è rimasta una curiosità. Mi piacerebbe vedere, alla prossima puntata, come sarà un napoletano con gli occhi a mandorla.
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dario di viesto
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martedì 1 maggio 2007
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una centralina a forma di stella...
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Amelio ama viaggiare. Il suo cinema è un viaggio continuo, dove i percorsi geografici, pur tortuosi e affascinanti che siano, contano sicuramente meno di quelli interiori che il viaggio inesorabilmente comporta. Il viaggio significa sempre avventura, ma significa pure conoscenza di sé, ricerca ed, eventualmente, cambiamento.
Il soggetto del film è una libera divagazione che trae spunto dal libro “La dismissione” di Ermanno Rea. Una multinazionale cinese compra in Italia un altoforno che, a detta del suo manutentore Vincenzo Buonavolontà, è difettoso e pericoloso. Pur avvertita del problema, la ditta decide di portare il macchinario in Cina, prima che l’operaio fosse riuscito ad ovviare al problema.
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Amelio ama viaggiare. Il suo cinema è un viaggio continuo, dove i percorsi geografici, pur tortuosi e affascinanti che siano, contano sicuramente meno di quelli interiori che il viaggio inesorabilmente comporta. Il viaggio significa sempre avventura, ma significa pure conoscenza di sé, ricerca ed, eventualmente, cambiamento.
Il soggetto del film è una libera divagazione che trae spunto dal libro “La dismissione” di Ermanno Rea. Una multinazionale cinese compra in Italia un altoforno che, a detta del suo manutentore Vincenzo Buonavolontà, è difettoso e pericoloso. Pur avvertita del problema, la ditta decide di portare il macchinario in Cina, prima che l’operaio fosse riuscito ad ovviare al problema. Così, per sua vocazione, Vincenzo vola a Shangay per portare alla ditta la centralina idraulica da lui accuratamente modificata, che potrà permettere all’altoforno di funzionare perfettamente. L’azienda che aveva comprato l’impianto, però, lo ha rivenduto ad un'altra. Comincia così per il nostro Buonavolontà, di nome e di fatto, e per la sua guida Liu Hua, un lungo peregrinare per le “Cine”.
La “nuova Cina” esplode di industrie e grattacieli sfavillanti, di degradi civici e culturali; una Cina più antica ed autentca si nasconde fra i viottoli dei paesini, nella semplicità, nello sguardo dei tanti bambini che affollano la storia. “Non avrei mai immaginato che la Cina fosse così” dice ad un certo punto il protagonista. La Cina si svela contemporaneamente davanti al protagonista e davanti la cinepresa. Ed è facile perdersi, soprattuto quando non si sa bene cosa si sta cercando. Buonavolontà sembra un moderno Don Chisciotte, perso nel labirinto dell’economia globale. La mente del protagonista, lungo il viaggio, si alimenta dubbi e disincanti: dove è quella stella che nella bandiera cinese una volta significava “Onestà, pazienza, giustizia, solidarietà?” Buonavolontà la cerca, per tutto il film. Ed ecco che la trama diventa un pretesto. La missione del protagonista diventa un espediente impossibile (chiamtelo pure inverosimile) per mostrare lo smarrimento di un uomo di fronte la realtà, il suo senso d'impotenza, la sua solitudine. Vincenzo si accorge di quanto sbiadito sia il miraggio d'utopia: il bisogno di essere un ingranaggio del tutto. La necessità di poter contribuire per apportare un cambiamento, nella società dell’economia globale, è una speranza decapitata, una bandiera stracciata al vento (come si vede in una delle sequenze più belle del film).
“La stella che non c’è” è una favola moderna e, come tale, una favola triste. Vincenzo è molto simile al pezzo di ferro che stringe sempre fra le mani: un elemento che avrebbe l’aspirazione di raccordarsi ad un sistema, ma che, alla fine, risulterà fatalmente inutile allo stesso e scaricato fra i rifiuti della civiltà industriale.
A mio parere, se qualche imperfezione è riscontrabile, essa non è, come molti dicono, nel finale, la cui ambientazione onirica enfatizza il tono volutamente inverosimile e fiabesco di tutta la storia. Il difetto risiede invece in certi punti della sceneggiatura, nell’assenza di alcuni intrecci coinvolgenti che avrebbero veicolato in modo più convincente lo svolgimento di tutta l’azione.
Sergio Castellitto, nei panni del protagonista, si conferma (anche se in merito non vi erano dubbi) uno dei migliori attori italiani in circolazione. Per la cinese Tai Ling, nel personaggio di Liu Hua, è stata la prima apparizione sul grande schermo, e questo si vede.
Innanzi agli occhi miopi del botteghino, il film di Amelio è passato inosservato, una meteora sfumata fra fuochi d’artificio tanto sgargianti, quanto effimeri. Il tempo restituirà sentenze più veritiere. “La stella che non c’è”, mi auguro tornerà a brillare.
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(di canova)
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fabrizio dividi
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venerdì 17 giugno 2011
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la cina è vicina?
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Vincenzo Buonavolontà, il manutentore di un alto forno che viene ceduto ad un gruppo industriale cinese, scopre un difetto all’impianto e decide di partire alla ricerca dei padroni della sua fabbrica per spiegarne il malfunzionamento. Lì incontra l’unica persona che lo può aiutare, la traduttrice conosciuta in Italia, novella Beatrice, che lo accompagna attraverso un viaggio allegorico nel cuore profondo dell’Oriente, in una Cina sconosciuta che affascina nelle sue contraddizioni.
Si assiste ad un percorso ideale nel mondo del lavoro di una nazione-continente, nelle sue radici culturali più recondite, in un abisso conradiano che conduce i protagonisti dai grattacieli di Shangai fino alle più remote cave minerarie di non precisate province dell’interno; bambini sfruttati e povertà difusa non minano un’etica di fondo che unisce tutte le categorie sociali e il mondo del lavoro affrescato dal regista si esplicita come valore assoluto di unico, grande legame universale fra le masse.
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Vincenzo Buonavolontà, il manutentore di un alto forno che viene ceduto ad un gruppo industriale cinese, scopre un difetto all’impianto e decide di partire alla ricerca dei padroni della sua fabbrica per spiegarne il malfunzionamento. Lì incontra l’unica persona che lo può aiutare, la traduttrice conosciuta in Italia, novella Beatrice, che lo accompagna attraverso un viaggio allegorico nel cuore profondo dell’Oriente, in una Cina sconosciuta che affascina nelle sue contraddizioni.
Si assiste ad un percorso ideale nel mondo del lavoro di una nazione-continente, nelle sue radici culturali più recondite, in un abisso conradiano che conduce i protagonisti dai grattacieli di Shangai fino alle più remote cave minerarie di non precisate province dell’interno; bambini sfruttati e povertà difusa non minano un’etica di fondo che unisce tutte le categorie sociali e il mondo del lavoro affrescato dal regista si esplicita come valore assoluto di unico, grande legame universale fra le masse.
Il soggetto è semplice ma efficace: è la storia di un’ossessione, con un finale tanto risolutivo quanto illusorio che fa del film un’opera “morale” solo in rari momenti al limite del moralismo, che ha nello stile documentaristico l’accezione meglio riuscita.
Ben girato, con meravigliosi scorci di un paese sotto osservazione, ma senza pregiudizi di sorta, la trama scivola però troppo spesso nella trovata inverosimile, e mal si sopporta la casualità che porta i due protagonisti ad incontrarsi due (!) volte in remote parti di un Paese che conta più di un miliardo di anime. Inoltre, lo sconfinamento troppo frequente di Vincenzo (un adeguato Sergio Castellitto) nel clichè dell’Italiota, che fa il verso troppo trito ai personaggi della commedia all’Italiana, abbassa non di poco la riuscita finale di un film, al di là di tutto, piacevole e stimolante. Fabrizio Dividi
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rosalinda
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venerdì 17 novembre 2006
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la cina di oggi
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“La stella che non c’è”
regia di Gianni Amelio
Raccontare la Cina di oggi non è cosa semplice. In questo paese vige un durissimo sistema burocratico, una forma di dittatura che sommerge tutto sotto censura, un capitalismo che viaggia a ritmi sfrenati a scapito dei lavoratori, un inquinamento atmosferico che ha raggiunto livelli non più controllabili, cioè, un paese in cui il rispetto dei diritti umani non è assolutamente contemplato.
E’ in questa Cina che Amelio ha girato il suo ultimo film “La stella che non c’è”. Un film che potremmo quasi definire un documentario etnografico, un “cinema diretto”, perché Amelio ha prediletto l’azione, i fatti, le immagini dei luoghi, ha fatto parlare la moltitudine di cinesi ripresi come un’onda impetuosa sulle loro biciclette, alcuni indossando anche le mascherine per difendersi dall’inquinamento.
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“La stella che non c’è”
regia di Gianni Amelio
Raccontare la Cina di oggi non è cosa semplice. In questo paese vige un durissimo sistema burocratico, una forma di dittatura che sommerge tutto sotto censura, un capitalismo che viaggia a ritmi sfrenati a scapito dei lavoratori, un inquinamento atmosferico che ha raggiunto livelli non più controllabili, cioè, un paese in cui il rispetto dei diritti umani non è assolutamente contemplato.
E’ in questa Cina che Amelio ha girato il suo ultimo film “La stella che non c’è”. Un film che potremmo quasi definire un documentario etnografico, un “cinema diretto”, perché Amelio ha prediletto l’azione, i fatti, le immagini dei luoghi, ha fatto parlare la moltitudine di cinesi ripresi come un’onda impetuosa sulle loro biciclette, alcuni indossando anche le mascherine per difendersi dall’inquinamento. Lo sguardo di Amelio è implacabile, obiettivo, e nello stesso tempo partecipante. Ce la mette tutta per penetrare il suo oggetto, da bravo cineasta–operatore.
La m.d.p. ritrae la Cina di Shanghai, di Whuhan, dove vivono otto milioni di persone, i grattacieli cadenti, alveari umani, organizzati in loculi in ognuno dei quali vive una famiglia. E vivono seguendo un sistema che li domina, un sistema legato ad un commercio sotterraneo, nascosto. Amelio ritrae queste famiglie ammucchiate, che hanno laboratori nelle stanze dove dormono, esercitano di tutto pur di fronteggiare la povertà, anche la prostituzione.
Ritrae la vita lavorativa nelle acciaierie di Chongqing. In questo luogo sembra che la m.d.p. scenda nell’inferno dantesco. Un luogo avvolto da un grigiore terreo, plumbeo. Le donne preparano il cibo tra esalazioni velenose di organismi, ed i bambini scalzi e lasciati a se stessi, girovagano tra il putridume degli acciai della fabbrica.
Amelio contrappone la Cina delle grandi metropoli con la Cina dei sobborghi, dei paesi interni della Mongolia.
Lì la densità della popolazione è sempre alta, ma l’organizzazione sociale è ancora legata a meccanismi semplici, come l’economia che è nelle mani degli artigiani, che con mezzi rudimentali cardano la lana, coltivano i campi.
E’ un viaggio, quindi!
Un viaggio che Amelio ci fa percorrere con il bravissimo Sergio Castellitto, nel personaggio di Vincenzo Buonavolontà, manutentore napoletano disoccupato, e l’esordiente brava attrice cinese Tai Ling, nei panni di Liu Hua.
Vincenzo ha un fine da raggiungere con il suo viaggio in Cina: consegnare un suo marchingegno in un’acciaieria che usa una macchina difettata comprata in Italia. Liu Hua è al suo fianco, gli fa da interprete e da assidua accompagnatrice.
Ma cosa cerca veramente Vincenzo in questo viaggio? Sé stesso!
Vincenzo Buonavolontà si confronta con una cultura “altra”, si batte per superare differenti modi di interpretare le cose, cerca di dialogare, di farsi ascoltare. Alla fine ci riesce. La consegna del pezzo all’acciaierie ne è la prova simbolica.
Ma non solo! Ritrovato se stesso, Vincenzo è ora pronto ad un dialogo aperto con la sua compagna di viaggio Liu Hua, a camminare a piccoli passi verso un futuro, con speranza.
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ros
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lunedì 25 settembre 2006
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preferenze per il neo realismo anke se............
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Sicuramente il mio commento e' dettato dalla preferenza verso il genere neo-realistico.
E sono piacevolmente colpita dalla scelta di Amelio di documentare una realta' ke sfugge a noi tanti.
Perfettamente "azeccata" la scelta di Castellitto, che ancora una volta ha saputo con grande minimalismo, probabilmente quello che esigeva il film, dare una grande interpretazione di un personaggio.
Ma quello che non condivido tanto: e' la scelta del caso.
Nel senso che,sicuramente nella vita di ognuno,puo' capitare un giorno qualsiasi di incontrare qualcuno che proprio come si dice " casca a pennello", ma e' posibile che in un paese come la Cina incontro in tante biblioteche possibili a Shangai proprio quella che mi serviva?
Ammesso che sia possibile non e' troppo insieme all' incontro casuale con l' operaio?
Vorrei avere una risposta su questo, perche' poi il film mi e' piaciuto.
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Sicuramente il mio commento e' dettato dalla preferenza verso il genere neo-realistico.
E sono piacevolmente colpita dalla scelta di Amelio di documentare una realta' ke sfugge a noi tanti.
Perfettamente "azeccata" la scelta di Castellitto, che ancora una volta ha saputo con grande minimalismo, probabilmente quello che esigeva il film, dare una grande interpretazione di un personaggio.
Ma quello che non condivido tanto: e' la scelta del caso.
Nel senso che,sicuramente nella vita di ognuno,puo' capitare un giorno qualsiasi di incontrare qualcuno che proprio come si dice " casca a pennello", ma e' posibile che in un paese come la Cina incontro in tante biblioteche possibili a Shangai proprio quella che mi serviva?
Ammesso che sia possibile non e' troppo insieme all' incontro casuale con l' operaio?
Vorrei avere una risposta su questo, perche' poi il film mi e' piaciuto.anche se il resto della sala l' ha fischiato....ma forse avevano sbagliato sala!
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giovedì 20 settembre 2012
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film paradigmatico
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A sei anni di distanza dall'uscita nelle sale cinematografiche di questo film non è fuori luogo sostenere che la storia che esso descrive ed il modo in cui la descrive siano stati paradigmatici se non profetici di una situazione economico industriale che è ormai diventata la normalità in Italia. Con la precisazione che difficilmente un operaio licenziato da una fabbrica appena dismessa e venduta ai cinesi oggi si recherebbe in Cina se non per mero turismo. Se ciò avvenisse in un nuovo film ne uscirebbe una storia forse più divertente, magari l'ennesimo cine panettone fatto apposta per addormentare gli animi e risvegliare i bollenti spiriti. Ma non avremmo della Cina lo stesso quadro realistico, fatto di luci e ombre che sempre caratterizzano un paese in piena espansione economica, come lo fu anche l'Italia tra la fine degli anni '50 e gli inizi dei '60, a prescindere dall'ottimismo imperante.
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A sei anni di distanza dall'uscita nelle sale cinematografiche di questo film non è fuori luogo sostenere che la storia che esso descrive ed il modo in cui la descrive siano stati paradigmatici se non profetici di una situazione economico industriale che è ormai diventata la normalità in Italia. Con la precisazione che difficilmente un operaio licenziato da una fabbrica appena dismessa e venduta ai cinesi oggi si recherebbe in Cina se non per mero turismo. Se ciò avvenisse in un nuovo film ne uscirebbe una storia forse più divertente, magari l'ennesimo cine panettone fatto apposta per addormentare gli animi e risvegliare i bollenti spiriti. Ma non avremmo della Cina lo stesso quadro realistico, fatto di luci e ombre che sempre caratterizzano un paese in piena espansione economica, come lo fu anche l'Italia tra la fine degli anni '50 e gli inizi dei '60, a prescindere dall'ottimismo imperante. Amelio preferisce ispirarsi alla lezione neorealista del grande cinema italiano, che seppe mettere il dito nella piaga anche del nostro boom economico, piuttosto che dare un quadretto tra il folcloristico e il miracolistico di un paese che con quasi un miliardo e mezzo di abitanti non può non avere altrettanti poveri sotto il limite dell'indigenza quanti ricchi ha sopra la soglia del semplice benessere economico. E tuttavia per il regista di "La stella che non c'è" va tutto così com'è, in Cina come in Italia. Ma soprattutto quello che non serve è ironizzare: "Facciamo finta che tutto va bè" non porta a nulla. Meglio vedere il difetto anche laddove non c'è per scovarlo laddove non si pensava: nelle scarse competenze di traduttrice della ragazza cinese che finge di conoscere la lingua italiana e per colpa dello zelante operaio licenziato viene smascherata e licenziata anch'essa. E' questo il vero oro che non luccica della Cina descritta da Amelio? Per farsi perdonare l'operaio italiano cercherà inutilmente di fare qualcosa senza andare al di là di qualche tenerezza paternalista, Ma non è forse proprio questa la cosa che più manca a una Cina ancora carente sul piano dei diritti umani?
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