La stella che non c'è

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Un film di Gianni Amelio. Con Sergio Castellitto, Ling Tai, Angelo Costabile, Hiu Sun Ha, Catherine Sng, Enrico Vanigiani, Roberto Rossi, Chungqing Xu, Biao Wang, Jian-yun Zhao, Qian-hao Huang, Xiu-feng Luo, Xian-bi Tang, Lin Wang.
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Drammatico, durata 104 min. - Italia 2006. uscita venerdì 8 settembre 2006. MYMONETRO La stella che non c'è * * * - - valutazione media: 3,00 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Che ne sai tu della Cina? Valutazione 4 stelle su cinque

di carla fellegara


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lunedì 11 settembre 2006

I bambini c’entrano anche stavolta. Il bambino in questione è Sao Li, due anni circa, silenzioso. No, non è lui il protagonista di “La stella ce non c’è”, ultimo film di Gianni Amelio, anzi Sao Li è una figura marginale nella storia, eppure sarà la sua solitudine a far cambiare le cose. In fondo un bambino è un bambino, anche nella Cina di oggi, dove i grattacieli cresconCo come funghi, dove ci sono più operai che contadini, dove ci sono bambini che vivono in fabbriche enormi e lavorano in fabbriche enormi. “Non me la immaginavo così la Cina” dice il protagonista del film, alias un convincente Sergio Castellitto che interpreta Vincenzo Buonavolontà, vale a dire il manutentore specializzato di un’acciaieria, che si mette in testa di risolvere il difetto meccanico insito nell’altoforno e per questo è pronto ad andare fino a Shangai dove l’impianto viene venduto. Non ce la immaginavamo nemmeno noi così la Cina: niente muraglie lunghe chilometri, niente templi né regge maestose, ma solo città anonime e superaffollate, pianure desolate, industrializzazione selvaggia, e uomini, e donne, in bicicletta, in nave, in treno, a piedi, in continuo movimento in un paese in accelerata evoluzione ma, comunque, sempre arretrato. “Che ne sai tu della Cina” risponde Liu Hua, la giovane traduttrice cinese che accompagna Vincenzo Buonavolontà nel viaggio. Che ne sappiamo noi di questo paese enorme, dove in un unico condominio possono abitare fino a 8.000 persone, dove il futuro convive fianco a fianco con il passato remoto, dove per un italiano è davvero difficile farsi capire? La difficoltà a comunicare, i rapporti interpersonali e il mondo dell’infanzia rimangono l’ossessione di questo regista che conferma le sua grande capacità di narrare pezzi di vita e angoli di mondo attraverso piccole storie che evitano tragedie e grandi passioni per raccontare l’incontro, la comprensione, la riconciliazione, attraverso l’indagine delle emozioni e dei malesseri sotterranei. Presentato in concorso al festival del cinema di Venezia, “La stella che non c’è” se n’è tornato a casa senza riconoscimenti, gli è stato preferito “Still life” del cinese Zheng-ke che in qualche modo ricalca i temi proposti da Amelio ma in modo “più potente e straniante” secondo le parole del giurato Michele Placido. . Eppure è proprio in questa sua apparente debolezza la grande forza della regia di Gianni Amelio, che procedendo per sottrazione, senza virtuosismi di macchina, senza un vero colpo di scena e senza un concretizzarsi delle tragedie annunciate, arriva a concedersi il lusso di inserire sequenze superflue, non funzionali al racconto, come fossero piccole finestre che si aprono su orizzonti sconosciuti, come se un po’ di realtà potesse entrare nella finzione e contagiarla. Irrimediabilmente. Una regia a cui Sergio Castellitto sa adeguarsi, minimalizzando espressività e gestualità e che può contare sulla fotografia di Luca Bigazzi che rivela una Cina disgregata, grigia, poetica e spaventosa. Tratto dal romanzo di Ermanno Rea “La dismissione” (“A me non mi hanno ancora dimesso” dice Buonavolontà in una riuscita battuta), “La stella che non c’è” è un film delicato, che usa un linguaggio emozionale per raccontare il viaggio verso una meta ideale di due persone lacerate fra passato e modernità, con Buonavolontà che tenta di affermare la dignità del lavoro manuale e Liu Hua in crisi d’identità fra un Oriente che sente sempre più lontano e un Occidente che non

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