corrado
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sabato 11 novembre 2006
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la bandiera a stelle e sangue
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In guerra non ci sono amici o nemici. Sembra retorica, invece è Clint Eastwood. Dopo le entusiasmanti prove che l’avevano visto protagonista, tra cui Million Dollar Baby e Mystic River, ci si chiedeva quale strada avrebbe intrapreso l’ex ispettore Callaghan, anche se nessun dubbio riguardava i risultati che avrebbe ottenuto. In effetti dal ring di Million Dollar Baby al ring di sabbia e sangue dell'isola di Iwo Jima, il passo è tutt’altro che breve, anche se l’enorme conflitto raccontato in Flags of our fathers potrebbe essere ricondotto, in parte, a un duello tra due sfidanti contrapposti nella morale e negli scopi.
Da una parte ritroviamo quelli che la guerra la sponsorizzano e la finanziano ma non la combattono, e che riescono a mercificare persino il numero delle morti per risvegliare quello spirito patriottico che in genere, come si vede anche oggi, comincia a sgretolarsi sotto il peso di migliaia di vite stroncate e sotto la vana ricerca di qualcosa che motivi quel sacrificio.
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In guerra non ci sono amici o nemici. Sembra retorica, invece è Clint Eastwood. Dopo le entusiasmanti prove che l’avevano visto protagonista, tra cui Million Dollar Baby e Mystic River, ci si chiedeva quale strada avrebbe intrapreso l’ex ispettore Callaghan, anche se nessun dubbio riguardava i risultati che avrebbe ottenuto. In effetti dal ring di Million Dollar Baby al ring di sabbia e sangue dell'isola di Iwo Jima, il passo è tutt’altro che breve, anche se l’enorme conflitto raccontato in Flags of our fathers potrebbe essere ricondotto, in parte, a un duello tra due sfidanti contrapposti nella morale e negli scopi.
Da una parte ritroviamo quelli che la guerra la sponsorizzano e la finanziano ma non la combattono, e che riescono a mercificare persino il numero delle morti per risvegliare quello spirito patriottico che in genere, come si vede anche oggi, comincia a sgretolarsi sotto il peso di migliaia di vite stroncate e sotto la vana ricerca di qualcosa che motivi quel sacrificio.
Così, quando si presenta un’occasione succulenta come la foto di sei soldati che issano una bandiera sul colle di Iwo Jima, la macchina pubblicitaria si innesca con fredda consapevolezza e feroce determinazione e comincia lo show fatto di manifesti patriottici, conferenze volte a indurre i cittadini a comprare quote di guerra, la scalata, da parte dei veri soldati presenti nella foto, di un colle di cartapesta su cui issare una bandiera davanti a un’arena gremita di pubblico in festa. Tutto insomma diviene spettacolo, una “buffonata imbonitrice” messa su ad arte per portare avanti quel sempiterno paradosso che consiste nel condannare e strumentalizzare la morte per ottenere il denaro necessario a portare avanti una guerra, e produrre quindi altra morte.
Alla propaganda spietata e insensibile dei politici fa da contrappeso l’altra parte dell’America, cioè quella che la guerra la combatte, “forte” della sua maggiore età a volte appena raggiunta, del suo fucile e soprattutto della sua speranza. Ed è anche la parte che in guerra ci muore.
L’occhio di Clint Eastwood ci porta a conoscere alcuni di questi soldati indagando a fondo nelle loro psicologie, e il risultato che ne emerge risulta essere, forse, uno dei film più anticonformisti che un americano potesse produrre in tempo di guerra. Questi soldati non sono eroi, sono quanto di più lontano esista dal prototipo del soldato esaltato e pronto a morire per una patria che entro pochi giorni l’avrà dimenticato. Non c’è nulla di positivo nella condizione del soldato e nella vicenda della guerra, a Iwo Jima come in Iraq; tutto ciò che si ottiene è un esercito di morti, spesso senza nome, fatto di corpi maciullati dai cingoli dei mezzi da sbarco o crivellati dai colpi delle mitragliatrici.
E quando i tre soldati della famosa foto (gli atri tre sono morti) vengono rimpatriati e trasformati in fenomeni da baraccone da sfruttare rapacemente, si trovano a dover combattere un’altra guerra, quella tra la loro coscienza e tra ciò che pare politicamente corretto fare. Forte anche di un uso straordinario delle luci e di una pellicola dai colori desaturati, estremamente fedeli a quelli delle foto dell’epoca che sfilano accompagnando i titoli di coda, Clint Eastwood ci conduce tra le atrocità di una guerra combattuta sempre da uomini e mai da eroi, mentre parallelamente affonda il coltello tra le pieghe di una società che trasforma in propaganda la vita e la morte, come solo chi non ha mai conosciuto la trincea può fare.
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patrickbateman47
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mercoledì 11 novembre 2009
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capolavoro!
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Clint Eastwood come sempre ci regala un'altro capolavoro,amaro,realistico,spettacolare nelle scene d'azione e struggente in quelle dialogate...paradossalmente il film non ha ricevuto la pienezza positiva in occidente al contrario della controparte orientale,cosa secondo me profondamente sbagliata,se si apprezza Lettere Da Iwo Jima non si può non apprezzare Flags Of Our Fathers,da notare il fatto che si elogi molte volte Salvate il soldato Ryan (assai più retorico e patriottico paternalista) e non lo si fà invece per Flags of our fathers molto più realistico e obbiettivo...questa si che è coerenza.
Forse perché ci hanno abituato a vedere i nostri antenati come eroi e quando invece si vedono degli uomini si rimane delusi,questo è il messaggio che Clint Eastwood ci vuole lasciare ovvero che in guerra non tutti anzi la maggior parte sono persone normali con paure ed insicurezze e non soldati super perfetti come il soldato di Tom Hanks.
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Clint Eastwood come sempre ci regala un'altro capolavoro,amaro,realistico,spettacolare nelle scene d'azione e struggente in quelle dialogate...paradossalmente il film non ha ricevuto la pienezza positiva in occidente al contrario della controparte orientale,cosa secondo me profondamente sbagliata,se si apprezza Lettere Da Iwo Jima non si può non apprezzare Flags Of Our Fathers,da notare il fatto che si elogi molte volte Salvate il soldato Ryan (assai più retorico e patriottico paternalista) e non lo si fà invece per Flags of our fathers molto più realistico e obbiettivo...questa si che è coerenza.
Forse perché ci hanno abituato a vedere i nostri antenati come eroi e quando invece si vedono degli uomini si rimane delusi,questo è il messaggio che Clint Eastwood ci vuole lasciare ovvero che in guerra non tutti anzi la maggior parte sono persone normali con paure ed insicurezze e non soldati super perfetti come il soldato di Tom Hanks.
Sicuramente Lettere da Iwo Jima e ancora più bello,profondo e toccante di Flags ma questo non toglie che siano entrambi capolavori invito tutti ad una riflessione ed a una maggiore coerenza,Flags of ouy fathers e Lettere da Iwo Jima sono lo stesso film è un unica opera e non sarebbero così grandi se non avessero il punto di vista dell'avversario.
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bobtheheat
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mercoledì 15 novembre 2006
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gle eroi li creamo noi
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A vedere il nuovo Clint, alla prima visione serale dello scorso venerdi, eravamo in 4 gatti in sala. Per certi versi meglio cosi', meglio SEMPRE evitare la confusione e "quei personagggi" che commentano il film ad ogni battuta. Forse in molti hanno pensato:ancora un film di guerra! Ma sulla seconda guerra mondiale cos'altro c'e' ancora da dire...A tutti coloro che, anche solo per un attimo, hanno pensato cio', posso dire che stanno commettendo un errore piuttosto grave. Perdersi "Flags of our fathers", che di "nuove cose" sulla Seconda Guerra Mondiale e non solo, ne dice parecchie, sarebbe infatti un grave peccato. Perche' si tratta di un film fortemente Fordiano, molto onesto e sincero, dolente e commovente, con immagini di guerra filmate ( con una fotografia che vira quasi al bianco e nero) in maniera straordinaria.
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A vedere il nuovo Clint, alla prima visione serale dello scorso venerdi, eravamo in 4 gatti in sala. Per certi versi meglio cosi', meglio SEMPRE evitare la confusione e "quei personagggi" che commentano il film ad ogni battuta. Forse in molti hanno pensato:ancora un film di guerra! Ma sulla seconda guerra mondiale cos'altro c'e' ancora da dire...A tutti coloro che, anche solo per un attimo, hanno pensato cio', posso dire che stanno commettendo un errore piuttosto grave. Perdersi "Flags of our fathers", che di "nuove cose" sulla Seconda Guerra Mondiale e non solo, ne dice parecchie, sarebbe infatti un grave peccato. Perche' si tratta di un film fortemente Fordiano, molto onesto e sincero, dolente e commovente, con immagini di guerra filmate ( con una fotografia che vira quasi al bianco e nero) in maniera straordinaria. Un film senza eroi, senza buoni e cattivi, che trae grande forza da un montaggio estremamente efficace del sempre bavissimo Joel Cox e dal commento musicale dello stesso Clint. Se non arriva al cuore come i suoi ultimi due ultimi capolavori, se non ne ha la stessa potenza, e' solo perche' il soggetto di Paul Haggis tende a volte a ripetersi. A spiegare un po' troppo, anche con la voce narrante, situazioni gia' ben (spesso amaramente) chiare. Nonostante questo, nelle sue immagini e nei volti dei suoi protagonisti, specie in quella dell'indiano Adam Beach/Ira (quello meglio descritto nonche' piu' amato dal regista, mentre gli altri sono un po' sottotono, anche a livello di recitazione) si respira un'aria di sofferenza, di pieta' e di tragicita' decisamente molto forte. Ed inusuale. "Flags of our fathers" e' un film che ci dice in modo esemplare che non si combatte per la patria, ma semplicemente per la propria pella e per quella dei propri compagni. Come dimostra Barry Pepper/Mike( forse l'unico personaggio eroico di un film che di eroi proprio non ne vorrebbe) quando decide di andare in prima linea per combattere, come promesso solennemente, insieme al suo plotone.Ed e' anche un film che ci mostra amaramente e tristemente come una Nazione arrivi a sfruttare i sentimenti e i destini dei soldati sopravvissuti, rendendoli poco piu' che dei burattini. Ad infischiarsene (ieri come oggi) di raccontare la verita', capace di (s)vendere all'opinione pubblica qualsiasi tipo di menzogna e di spettacolazzare in modo kitsch ogni evento pur di uscirne con la consueta immagine di superpotenza. Se nel sottofinale c'e' forse qualche retorica di troppo (il figlio sul letto di morte del padre) che qualcuno, ne sono certo, attribuira' malignamente al produttore Spielberg (ma la sua mano invece e' evidente sicuramente nella qualita' e nella ricchezza della produzione) e' vero pero' che poi il film torna a livelli altissimi con le immagini di chiusura. Le quali mostrano i nostri "antieroi" concedersi come meritato premio, subito dopo aver conquistato la vetta del monte Suribachi, fare un tuffo nelle acque di una spiaggia poco lontana dal campo di battaglia. Immagini toccanti e di sincera poesia tra le migliori del cinema di Clint. E non e' poco. Preludio a quelle commoventi che scorrono lungo i titoli di coda, dove scorgiamo grazie a splendide fotografia d'epoca i veri volti dei protagonisti.
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sixy89
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mercoledì 4 maggio 2011
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una parola: bellissimo
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Un bellissimo film, ingiustamente passato in penombra, che merita veramente. Non parla del classico nazionalismo americano, ma di Uomini, semplici uomini, che catapultati sul palcoscenico della vita mondana dopo aver issato la bandiera a stelle e strisce sul picco più alto dell'isola roccaforte dei giapponesi, si rendono conto di quanto sia pesante la parola Eroe. Un film che parla di uomini e grandi ingiustizie della guerra. Merita.
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shiningeyes
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venerdì 12 aprile 2013
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desacralizzazione di un'impresa
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La missione di Clint stavolta è quella di desacralizzare l'impresa che fece l'esercito americano nella battaglia di Iwo Jima, mostrandoci il vero volto dei marines impegnati in quel cruento scontro: non eroi pronti a morire per la patria, ma gente normale, non battagliera,pronta a morire per loro stessa e per i propri compagni; attuando così un'operazione di velato anti-patriottismo, condannando gli alti vertici USA, che usano il patriottismo per convincere la gente a comprare dei buoni guerra, per continuare la guerra, e poco importa se la più sincera delle verità viene coperta a favore di una storia falsa e sensazionalistica.
Il film, grazie ad una notevole sceneggiatura e fotografia, si lascia vedere ben volentieri, e ci mettiamo poco nel metterci nei panni dei presunti e scombussolati militari che hanno alzato quella bandiera, simbolo della “vittoria” e immortale icona dell'amor patrio americano.
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La missione di Clint stavolta è quella di desacralizzare l'impresa che fece l'esercito americano nella battaglia di Iwo Jima, mostrandoci il vero volto dei marines impegnati in quel cruento scontro: non eroi pronti a morire per la patria, ma gente normale, non battagliera,pronta a morire per loro stessa e per i propri compagni; attuando così un'operazione di velato anti-patriottismo, condannando gli alti vertici USA, che usano il patriottismo per convincere la gente a comprare dei buoni guerra, per continuare la guerra, e poco importa se la più sincera delle verità viene coperta a favore di una storia falsa e sensazionalistica.
Il film, grazie ad una notevole sceneggiatura e fotografia, si lascia vedere ben volentieri, e ci mettiamo poco nel metterci nei panni dei presunti e scombussolati militari che hanno alzato quella bandiera, simbolo della “vittoria” e immortale icona dell'amor patrio americano. Possiamo scegliere a chi dei tre possiamo rispecchiarci meglio, in una situazione del genere: il vanesio Gagnon che tenta di sfruttare la popolarità a suo favore; l'umile e buon Doc Bradley che fa buon viso a cattivo gioco; il sofferente e alcolizzato Ira Kane, l'elemento più iracondo per questa spiacevole azione di propaganda americana. Proprio l'attore che interpreta Ira (Adam Beach) è quello da notare per la sua bravura (discreti gli altri due protagonisti).
Il montaggio riesce a dividere bene le parti in cui i soldati sono impegnati nel fronte e nella campagna pubblicitaria, dove nel fronte si assiste al loro lato più intimistico e umano, mentre nel ritorno alla civiltà sembrano dei robottini senza spina dorsale sotto la balia della america menzognera.
Il lavoro di Clint è superbo, anche se l'aspetto politico prevale un po' troppo, levando un po' di ossigeno alla bella visione del film, ma rimane un grande lavoro, superato dal più crudo e drammatico successivo“Lettere da Iwo Jima”.
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blogger
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mercoledì 22 novembre 2006
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la storia maestra di vita
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Se si avesse avuto il coraggio di andare contro le convenzioni, si sarebbe tradotto il titolo del film di Eastwood in italiano, evitando così l’eufemismo dell’inglese: così“le bandiere dei nostri padri” sarebbe stato una bella lezione etica per intellettuali e politici di casa nostra che oggi si accapigliano sulla Resistenza, come se si trattasse di una ricetta i cui ingredienti non si possono variare. Il lungometraggio infatti racconta di molte Jwo Jima, nessuna delle quali è quella vera o quella falsa in senso assoluto, ciascuna delle quali nega e nello stesso tempo aggiunge qualcosa all’altra: il film-documentario ovvero la ricostruzione fedele su foto del leggendario episodio della Seconda guerra mondiale inizia, mentre sullo schermo scorrono i titoli di coda, dopo che la decomposizione del medesimo evento è stata portata a termine.
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Se si avesse avuto il coraggio di andare contro le convenzioni, si sarebbe tradotto il titolo del film di Eastwood in italiano, evitando così l’eufemismo dell’inglese: così“le bandiere dei nostri padri” sarebbe stato una bella lezione etica per intellettuali e politici di casa nostra che oggi si accapigliano sulla Resistenza, come se si trattasse di una ricetta i cui ingredienti non si possono variare. Il lungometraggio infatti racconta di molte Jwo Jima, nessuna delle quali è quella vera o quella falsa in senso assoluto, ciascuna delle quali nega e nello stesso tempo aggiunge qualcosa all’altra: il film-documentario ovvero la ricostruzione fedele su foto del leggendario episodio della Seconda guerra mondiale inizia, mentre sullo schermo scorrono i titoli di coda, dopo che la decomposizione del medesimo evento è stata portata a termine. Di fatto Flags of our fathers, nonostante le toccanti scene di combattimento, non è un film di guerra e neppure esplicitamente contro la guerra: Eastwood piuttosto mette in campo una riflessione lucida sulla retorica, sul suo contraddittorio potere di incidere sulla esistenze dei singoli e dei popoli, e di riflesso sull’uso ambivalente di termini quali patriottismo ed eroismo, fratellanza e solidarietà. Da un lato vi è il linguaggio della propaganda politica, cinico istrumentum regni, dall’altro vi è quello dei sentimenti e delle emozioni, motivo per cui la medesima parola identifica realtà antitetiche: gli eroi e i miti sono un feticcio, creato per dare “oppio” alle masse ignare, ma sono anche espressione autentica di qualità e bisogni umani. Il conflitto implode in misura diversa nella coscienza dei tre protagonisti: la dispersione fra i personaggi, lo scarto fra i pianti temporali, la frammentazione di prospettiva, toglie qualcosa alla concentrazione necessaria alla messa a fuoco, ma ugualmente Flag of our Fathers scalza convenzioni, schematismi ed ideologie con cui siamo soliti impoverire lo studio del nostro passato. Le bandiere innalzate dai padri sulla vetta del colle da conquistare sono sempre state due, ma solo chi le ha portate le sa distinguere. E allora a essere "maestra di vita" non è la storia, ma ciò che la memoria strappa alla resistenza dell'oblio: un gruppo di compagni adolescenti fa il bagno su un spiaggia…. a essere dimenticato è il momento in cui un uomo diventa eroe. htpp:/slilluzicando.splinder.com
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roby
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venerdì 2 marzo 2007
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sugli eroi di eastwood.
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Eastwood tocca il tema della guerra, ponendo al centro del suo film non solo la crudeltà di una battaglia, ma un fatto puramente politico; la bandiera americana piantata da sei soldati, immortalata in una foto divenuta celebre. E' interessante vedere una faccia della battaglia di Iwo Jima che pochi conoscono; è quella che mostra il regista con la sua solita destrezza, quella battaglia politica che si accese attorno a quella fotografia che incarnava la vittoria americana. Una fotografia che doveva dare speranza al paese, in cui tutti dovevano credere affinchè fosse davvero vinta la guerra; ma anche una fotografia che doveva convincere i politici americani del fatto che bisognava spendere di più per la guerra, finanziarla ulteriormente per vincerla ad ogni costo; il film mostra appunto questa insistenza sulla foto, sui soldati che piantarono la bandiera, sul loro eroismo decantato dai media ma negato da loro stessi, che invece ribadiscono per tutto il film che gli eroi erano quelli morti nella battaglia, che quella bandiera era macchiata dal sangue di molti americani uccisi.
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Eastwood tocca il tema della guerra, ponendo al centro del suo film non solo la crudeltà di una battaglia, ma un fatto puramente politico; la bandiera americana piantata da sei soldati, immortalata in una foto divenuta celebre. E' interessante vedere una faccia della battaglia di Iwo Jima che pochi conoscono; è quella che mostra il regista con la sua solita destrezza, quella battaglia politica che si accese attorno a quella fotografia che incarnava la vittoria americana. Una fotografia che doveva dare speranza al paese, in cui tutti dovevano credere affinchè fosse davvero vinta la guerra; ma anche una fotografia che doveva convincere i politici americani del fatto che bisognava spendere di più per la guerra, finanziarla ulteriormente per vincerla ad ogni costo; il film mostra appunto questa insistenza sulla foto, sui soldati che piantarono la bandiera, sul loro eroismo decantato dai media ma negato da loro stessi, che invece ribadiscono per tutto il film che gli eroi erano quelli morti nella battaglia, che quella bandiera era macchiata dal sangue di molti americani uccisi. Tutto ciò viene svelato montando realistiche scene di guerra e flashback dei protagonisti, dando così un quadro completo da ogni punto di vista; è un film che lascia emergere il dolore dei soldati, il rimpianto dei loro compagni morti per quella bandiera e il cinismo dei politici che sfruttano il loro dolore per pura propaganda. Come al solito, Eastwood punta sia ad una buona sceneggiatura, sia sulla bravura dei suoi attori, che rendono la storia reale e toccante. Un film come pochi registi sanno fare.
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piernelweb
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giovedì 29 marzo 2007
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le bandiere della coscienza
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"Qualsiasi somaro crede di sapere cos'è la guerra, specie quelli che non l'hanno mai fatta. Le cose ci piacciono semplici e lineari: buoni e cattivi, eroi e canaglie... ma gli eroi non esistono, sono una cosa che creiamo noi, di cui abbiamo bisogno." Queste parole sono l'essenza di Flags of our fathers, il primo dei due film di Clint Eastwood sulla battaglia di Iwo Jima, fondamentale passaggio della seconda guerra mondiale. Eastwood in questo lavoro guarda gli avvenimenti con occhi americani sottolineando l'estrema importanza politica di un fatto marginale alla tragedia stessa: la foto di un gruppo di marines che issa la bandiera americana su di una vetta dell'isola giapponese. Il valore simbolico di questo gesto, grazie ad una accurata e capillare propaganda militare, è in grado di ridestare una nazione profondamente provata dalla guerra, economicamente e moralmente in ginocchio.
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"Qualsiasi somaro crede di sapere cos'è la guerra, specie quelli che non l'hanno mai fatta. Le cose ci piacciono semplici e lineari: buoni e cattivi, eroi e canaglie... ma gli eroi non esistono, sono una cosa che creiamo noi, di cui abbiamo bisogno." Queste parole sono l'essenza di Flags of our fathers, il primo dei due film di Clint Eastwood sulla battaglia di Iwo Jima, fondamentale passaggio della seconda guerra mondiale. Eastwood in questo lavoro guarda gli avvenimenti con occhi americani sottolineando l'estrema importanza politica di un fatto marginale alla tragedia stessa: la foto di un gruppo di marines che issa la bandiera americana su di una vetta dell'isola giapponese. Il valore simbolico di questo gesto, grazie ad una accurata e capillare propaganda militare, è in grado di ridestare una nazione profondamente provata dalla guerra, economicamente e moralmente in ginocchio. Servono dei volti, delle facce per dare vita a quella foto, poca importanza ha che siano realmente i protagonisti di quello scatto, c'è bisogno di eroi a cui applaudire e in cui avere fiducia . Flags of our fathers è un film antimilitarista nel quale i ricordi della sanguinosa battaglia sono richiamati attraverso gli ossessivi ricordi dei protagonisti, con continui tragici flashback. L'inizio ricorda molto lo sbarco in Normandia di "Salvate il soldato Ryan" di Spielberg (qui in veste di produttore ed evidentemente di "consigliere"), i colori sono spenti, di un grigio cenere in tono con i cromatismi della roccia lavica dello scoglio di Iwo Jima. Il film è integro ma soffre di una certa ripetitività nella narrazione degli accadimenti propagandistici, e di un finale troppo apertamente dottrinale. Spielberg sarebbe stato messo in croce per molto meno. Voto: 7+
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tritacarne automatico
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martedì 10 aprile 2007
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pace, fratello.
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Di pari passi con il vino e Sean Connery, Eastwood invecchia bene e si gode la cresta dell'onda su cui è stato catapultato. Una crescita artistica miracolosa, se pensiamo che 20 anni fa diresse "Firefox-Volpe di fuoco" e due mesi fa era nelle sale "Lettere da Iwo Jima", lo stacco è bello tosto.
In "Flags of Our Fathers" Clint convince e la sua visione antieroica della guerra è un messaggio forte e duro, a cui, checché se ne dica, non abbiamo ancora prestato ascolto (inutile ricordare il massacro dell'Iraq); grazie anche alla sceneggiatura ridotta magistralmente all'essenziale e alla regia secca, nitida e pulita, il messaggio non viene adombrato e rimane lì, scalfito nel granito: "Ascoltatemi!".
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Di pari passi con il vino e Sean Connery, Eastwood invecchia bene e si gode la cresta dell'onda su cui è stato catapultato. Una crescita artistica miracolosa, se pensiamo che 20 anni fa diresse "Firefox-Volpe di fuoco" e due mesi fa era nelle sale "Lettere da Iwo Jima", lo stacco è bello tosto.
In "Flags of Our Fathers" Clint convince e la sua visione antieroica della guerra è un messaggio forte e duro, a cui, checché se ne dica, non abbiamo ancora prestato ascolto (inutile ricordare il massacro dell'Iraq); grazie anche alla sceneggiatura ridotta magistralmente all'essenziale e alla regia secca, nitida e pulita, il messaggio non viene adombrato e rimane lì, scalfito nel granito: "Ascoltatemi!". E' questo l'urlo lanciato dal film, più e più volte, fino allo sfinimento. La guerra è un male. Ed ecco allora che il realismo cinematografico e storico non è più solo un pretesto per una full immersion spettacolare nella guerra (vedi Salvate il soldato Ryan) bensì per un'analisi dettagliata e distaccata, lucida. Un grande Eastwood!
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claudiofedele93
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domenica 16 agosto 2015
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la caduta degli eroi.
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Fa tremare i polsi, letteralmente, il sol pensiero che un uomo come Clint Eastwood, arrivato ad una certa età, e con un bagaglio culturale di un certo livello, allegato ad un’esperienza in campo cinematografico invidiabile e senza pari, possa aver realizzato una pellicola come questa, Flags of Our Fathers, primo atto di quello che sarà poi il dittico che prende a cuore la conquista dell'isola di Iwo Jima, seguito dal capolavoro Lettere da Iwo Jima, incentrato solo sul punto di vista del popolo giapponese, mentre, per questa occasione, il tutto sia analizzato solo attraverso la prospettiva delle forze americane.
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Fa tremare i polsi, letteralmente, il sol pensiero che un uomo come Clint Eastwood, arrivato ad una certa età, e con un bagaglio culturale di un certo livello, allegato ad un’esperienza in campo cinematografico invidiabile e senza pari, possa aver realizzato una pellicola come questa, Flags of Our Fathers, primo atto di quello che sarà poi il dittico che prende a cuore la conquista dell'isola di Iwo Jima, seguito dal capolavoro Lettere da Iwo Jima, incentrato solo sul punto di vista del popolo giapponese, mentre, per questa occasione, il tutto sia analizzato solo attraverso la prospettiva delle forze americane.
I due lungometraggi, pur trattando della stessa materia, prendendo in analisi un preciso momento della Seconda Guerra Mondiale, ma da angolazioni totalmente diverse, sono un testamento sincero e estremamente realistico portato a compimento e sigillato dalla mano di un uomo che ha saputo fare del Cinema non solo un'arte a sua immagine, ma un riflesso delle proprie idee, passioni, debolezze, speranze e ambizioni.
Se, come potrebbe essere logico aspettarsi, ci si poteva immaginare un lavoro intriso di una retorica made in U.S.A. di fondo, con tanto di bandiere a stelle e strisce su asta innalzate al cielo, canti di gioia e gloria, applausi scroscianti, ovazioni e celebrazioni incessabili, si rimane fortemente delusi da Flags of Ours Fathers, che partendo dal raccontare lo sbarco su Iwo Jima, dal punto di vista di una manciata di giovani soldati, finisce per distruggere molti degli aspetti del mito americano bellico e serve allo spettatore una attenta riflessione che può ben mimetizzarsi ed applicarsi a molti dei conflitti avvenuti in passato, ai giorni nostri e che potranno (purtroppo) nascere in futuro. Gli "Eroi" che il popolo, con annessa stampa, media, esercito, politici ed il resto della società, porta alla luce, idealizzati e concretizzati dalla foto scattata durante l'innalzamento della bandiera americana sul monte dell'isola nipponica, sono puramente un simbolo, un qualcosa attraverso il quale "vincere" una guerra, una forte dimostrazione di quanto il potere quasi non appartenga, così come i paladini della patria, al campo di battaglia, ma ai propositi di chi a sparare non ci è mai andato, a mosse e contromosse mediatiche capaci di mobilitare l’opinione pubblica e popolare.
Così Eastwood, allontanandosi dai canoni di Spielberg, che qui troviamo in veste di produttore, non punta la sua lente sull'enfatizzazione e sull'orrore dello sbarco sul suolo nemico, né è alla ricerca di quella pietà o emotività eccessiva, sebbene riesca a condensare un finale toccante, delicato e potente, visivamente, ma scava affondo nella memoria dell'essere americano per mettere a nudo la propria coscienza, facendo parlare proprio quella dei tre protagonisti sopravvissuti allo sbarco e considerati eroi, quasi delle celebrità simili alle nostre rockstar, a cui è destinato un tour e tutta una serie di siparietti per far riemergere i terribili momenti trionfanti che hanno portato a quel "grande" momento di gloria che ha visto l'asta alzarsi sull'altura del monte.
Eppure, chi è sopravvissuto ed è tornato a casa non riesce a dimenticare il passato, vivere nella bugia e nella menzogna, né l'orrore di cui è stato testimone, ma del quale si fa presto a non menzionare e dimenticare, così come il senso di colpa, magari legato solo al fatto di aver fatto ritorno dai propri cari, al contrario dei compagni caduti in battaglia. Chiude, il tutto, un’aspra fotografia di una società che passati i “tempi bui” lascia alle spalle anche i propri idoli, ridotti, in tempi di pace, a fare i coltivatori, i fattorini o i disoccupati. Un momento in cui Eastwood sembra dire quanto la guerra sia nociva non solo sul momento, ma anche negli anni avvenire e ci faccia rendere finalmente conto del concetto di "perdita della propria esistenza" non solo sul campo dello scontro, ma anche nel paese da cui proveniamo, nel quale, coloro per cui hanno combattuto, non riescono nemmeno più a identificarsi o trovare uno spazio in esso.
Una pellicola importante, cruda, dura, cinica e profonda, meno sublime, le va riconosciuto, di Lettere da Iwo Jima, ma solo perché, in quel caso, siamo messi davanti ad un capolavoro esemplare; resta, questo, però un lungometraggio mai sopra le righe o ruffiano, portata avanti con lo stile del poeta, con la maestria e la grazia dell'uomo che ha saputo cogliere uno dei tanti drammi della guerra, senza perdersi in superficialità o espressioni barocche. Se, alle generazioni di oggi, manca la consapevolezza e la conoscenza di determinati eventi e delle conseguenze che questi, nelle quotidianità delle persone, hanno portato, Eastwood fa appello a quella semplicità chiamata “vita” e “ricordo” per dimostrare attraverso il Cinema cosa ha significato la guerra per determinate persone, convincendoci a non vedere tutto come una serie di fatti e date, ma ad assistere inermi e quasi scoraggiati ad uno dei momenti più bui della civiltà moderna. Un attimo di silenzio, prima che le luci nella sala si accendano, per assaporare i titoli di coda di un film di cui è giusto se ne parli negli anni avvenire. Grazie Clint.
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