marco tassinari
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giovedì 7 luglio 2011
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la più lucida revisione stitlistica del noir
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The Mission è forse il film più celebrato di To. Con tale opera il regista porta a compimento la missione artistica che sta alla base della Milkyway (la casa di produzione di To), recide una volte per tutte il legame con le forme della tradizione action e rimodella il genere attraverso una sensibilità post-moderna capace di reinterpretare in maniera del tutto inedita la lezione di maestri come Kurosawa e Melville (già riferimenti per Woo, Hark e Lam) e di cogliere le urgenze estetiche di altri suoi contemporanei, come per esempio Kitano Takeshi e Michael Mann.
In The Mission, l’approccio di To all’action risente pesantemente del formalismo del cinema giapponese, soprattutto di Kurosawa Akira (l’unica filiazione dichiarata e ammessa da To), e permette di trasfigurare le sparatorie in scene sospese in cui lo spazio cartesiano e il tempo cinematografico divengono qualità astrattive integrando alto senso estetico e coinvolgimento emotivo.
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The Mission è forse il film più celebrato di To. Con tale opera il regista porta a compimento la missione artistica che sta alla base della Milkyway (la casa di produzione di To), recide una volte per tutte il legame con le forme della tradizione action e rimodella il genere attraverso una sensibilità post-moderna capace di reinterpretare in maniera del tutto inedita la lezione di maestri come Kurosawa e Melville (già riferimenti per Woo, Hark e Lam) e di cogliere le urgenze estetiche di altri suoi contemporanei, come per esempio Kitano Takeshi e Michael Mann.
In The Mission, l’approccio di To all’action risente pesantemente del formalismo del cinema giapponese, soprattutto di Kurosawa Akira (l’unica filiazione dichiarata e ammessa da To), e permette di trasfigurare le sparatorie in scene sospese in cui lo spazio cartesiano e il tempo cinematografico divengono qualità astrattive integrando alto senso estetico e coinvolgimento emotivo.
Stephen Teo ci spiega come To, per sua stessa ammissione, abbia elaborato il “principio di inerzia” che agisce nel film I Sette Samurai (Kurosawa Akira, 1954) dove il regista giapponese struttura l’azione catturando il “movimento nell’immobilità”, e puntualizza che l’influenza di Kurosawa non diminuisce l’innovazione di The Mission e che – a differenza del maestro nipponico – To non usa la slow-motion e riesce ad applicare “naturalmente” il principio di inerzia all’azione per mezzo della musica, degli effetti sonori e del montaggio. (Stephen Teo, Director in Action: Johnnie To and the Hong Kong Action Film, Hong Kong University Press, 2007)
Questa scelta è particolarmente significativa se la valutiamo in una prospettiva di rottura con la prassi del genere action. Infatti il cinema di Hong Kong struttura gran parte delle scene (soprattutto le sequenze d’azione ma non solo) su un modello che David Bordwell definisce con la formula “pause/burst/pause”: un’alternanza di rapidi attacchi e arresti bruschi nel quale i movimenti, ritmicamente organizzati, appaiono, per contrasto, più veloci.
I film giapponesi del dopoguerra si basano su un modello simile di alternanza ma spostano nettamente l’equilibrio minimizzando i momenti di esplosione dell’azione – “burst” – insistendo invece sui momenti di stasi – “pause". (David Bordwell, Planet Hong Kong, Harvard University Press, 2000)
In questo modo l’ “esplosione” diviene una conseguenza dell’accumulo di tensione che, nell’attesa, alimenta la suspense interna la scena.
Su tale principio, esemplare è la famosa sequenza del centro commerciale dove le cinque guardie del corpo sventano l’attentato al loro boss con imperturbabile calma e professionalità. L’accurata gestione spaziale è affidata a inquadrature fisse o leggermente mobili e a fluidi e lenti carrelli in grado di armonizzare, in profondità di campo, la geometrica architettura della location e l’immobilità dei corpi attoriali.
La composizione dei quadri e la concatenazione di campi lunghi, medi e primi piani permettono a To di applicare e ottimizzare il principio di inerzia con lo scopo – scrive il regista – di mostrare un tipo di eccitazione paralizzata nella sua fissità e in grado di evocare un’atmosfera di pericolo imminente, la possibilità di “rischiare tutto in un colpo solo".
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The Mission si impone come la più lucida e radicale revisione stilistica del genere noir del decennio.
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dandy
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domenica 20 maggio 2012
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mission unthinkable.
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Dei pochi film giunti in occidente del regista-produttore,questo è uno dei migliori.La visione dall'interno del mondo mafioso regolato da rigidissimi codici d'onore(come dimostra il memorabile finale) è spogliata di vari eroismi o abbellimenti(tra un incarico e l'altro,i protagonisti hanno tutti un secondo lavoro,con svariati problemi da cittadino comune),e caratterizzata da uno stile essenziale asciutto e originale,che va aldilà del semplice stile.Non ci sono preoccupazioni commerciali o ammiccamenti ai modelli occidentali:oltre all'incredibile durata(è forse il più breve action asiatico degli ultimi 20 anni)le sparatorie,sebbene dichiaratamente ispirate a Takeshi Kitano,sono dilatate mediante la concentrazione sull'attesa,il silenzio,e l'imprevisto "in media res".
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Dei pochi film giunti in occidente del regista-produttore,questo è uno dei migliori.La visione dall'interno del mondo mafioso regolato da rigidissimi codici d'onore(come dimostra il memorabile finale) è spogliata di vari eroismi o abbellimenti(tra un incarico e l'altro,i protagonisti hanno tutti un secondo lavoro,con svariati problemi da cittadino comune),e caratterizzata da uno stile essenziale asciutto e originale,che va aldilà del semplice stile.Non ci sono preoccupazioni commerciali o ammiccamenti ai modelli occidentali:oltre all'incredibile durata(è forse il più breve action asiatico degli ultimi 20 anni)le sparatorie,sebbene dichiaratamente ispirate a Takeshi Kitano,sono dilatate mediante la concentrazione sull'attesa,il silenzio,e l'imprevisto "in media res".Alla larga da virtuosismi o bagni di sangue.E quasi più importanza assumono le scene in cui non succede niente(impressionante quella in cui i protagonisti giocherellano con la pallina di carta in attesa del boss)che esprimono tutta la fatalità e l'inesorabilità dell'esistenza sciupata.Invisibile budget all'osso e belle musiche stranianti.Personale e unico,va per questo visto più volte per poterlo apprezzare.E ne vale la pena.Come sempre,da noi è finito dritto in dvd(e adesso non si trova neanche più)con il solito doppiaggio abominevole.
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