Schindler's List

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Un film di Steven Spielberg. Con Liam Neeson, Ben Kingsley, Ralph Fiennes, Caroline Goodall, Embeth Davidtz.
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Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 200 min. - USA 1993. - Universal Pictures uscita giovedì 24 gennaio 2019. MYMONETRO Schindler's List * * * * - valutazione media: 4,15 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Schindler salva dai campi di sterminio 1200 ebrei. Valutazione 4 stelle su cinque

di Great Steven


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sabato 26 luglio 2014

SCHINDLER'S LIST (USA, 1993) diretto da STEVEN SPIELBERG. Interpretato da LIAM NEESON – RALPH FIENNES – BEN KINGSLEY – CAROLINE GOODALL – JONATHAN SAGALLE – EMBETH DAVIDTZ – MALGOSCHA GEBEL – BEATRICE MACOLA § Tratto dal libro dell’australiano Thomas Keneally La lista. L’industriale tedesco Oskar Schindler capisce, nel 1938, che gli converrebbe legarsi ai comandanti militari. Li frequenta nei locali notturni, offre bottiglie costose, e quando gli ebrei sono relegati nel ghetto di Cracovia il magnate riesce a farsene assegnare alcune centinaia come operai in una fabbrica di chiodi e pentole, sfruttandoli come forza-lavoro a buon mercato e trovando dunque una ragione per arricchirsi. Gradualmente, pur continuando ad adoperare per i propri scopi i suoi intrallazzi, diventa il loro salvatore, e trasforma la sua prima iniziativa in una vera missione, fino a comprare letteralmente le vite di quasi milleduecento ebrei (strappandoli dalla camera a gas) che sicuramente morirebbero nel campo di concentramento di Auschwitz. È il film più ambizioso e ben concepito di Spielberg e, insieme ad altri grandi titoli come E.T., Salvate il soldato Ryan e Lincoln, il migliore: prodigo di emozioni forti, coinvolgente, strapieno di tensione, saggio nei passaggi dal documento al romanzesco, dai momenti epici a quelli psicologici. L’unica pecca e caduta della pellicola sta nella partenza finale di Schindler, un cedimento alla drammaturgia hollywoodiana, alla sua leziosa retorica sentimentale. Comunque, il film è studiato e costruito per essere definitivo, come memoria, opera d’arte e testimonianza. La qualità cinematografica è pregevolissima, del resto nessuno ne avrebbe dubitato, conoscendo le doti del regista. L’impressione in chi vede la proiezione è profonda, molto accurata è la mediazione fra il cuore e il pensiero. Spielberg utilizzò il bianco e nero ispirandosi ai documentari del tempo nelle sequenze corali e alle immagini espressioniste nelle scene private. Solamente il prologo e l’epilogo sono caratterizzati dal colore. Ci sono momenti straordinari ed emotivamente intensi, come l’attacco al ghetto di Cracovia, visto dal protagonista con la moglie mentre cavalcano in una rimessa equestre, e molti episodi che si svolgono all’interno del campo di sterminio, come il richiamo sottoforma di numero inciso sulla pelle e l’indottrinamento e l’istruzione dei gerarchi nazisti su come devono gestire i prigionieri. Quando il film “tocca” Auschwitz e deve sintetizzare in pochi momenti, al regista basta mostrare il grande fumaiolo nella notte per permettere agli spettatori di comprendere. C’è anche una piccola ma importante licenza, squisitamente cinematografica e meravigliosamente creativa: quando vediamo una bambina che riesce a salvarsi dal rastrellamento del ghetto e poi la troviamo morta su un carro nel campo, per farla riconoscere, le è stato colorato il cappottino d’un rosso scarlatto fiammante e pallido contemporaneamente. Una superba chicca, un’invenzione poetica che dimostra come gli effetti speciali possano diventare espressivi con potenza e sensazionalismo. L. Neeson è eccezionale nel rendere con alta efficacia le contraddizioni del suo personaggio, un industriale che prende coscienza delle capacità produttive degli operai ebrei e sa tramutarsi nel loro estremo e ultimo benefattore con profondo coinvolgimento sentimentale ed enorme carica superlativa di pathos, energia e contrario opposto del tremore reverenziale. L’inglese R. Fiennes interpreta il paranoico  e spietato comandante Amon Goeth del campo Plaszow come l’avrebbe fatto Marlon Brando quarant’anni fa. Indimenticabile B. Kingsley nella parte di Ignaz Stern, l’ebreo polacco, contabile, suggeritore e almeno parzialmente eminenza grigia di Schindler. Trattandosi di uno dei maggiori maestri viventi fra i cineasti statunitensi del nostro tempo, capace di muovere il costume, è doveroso essere severi. Tuttavia risulta alquanto complesso essere critici. Si può parlare di troppe americanate presenti nonostante il tentativo di nasconderlo e si può conversare di troppa pianificazione, anche strumentale: con tanto movimento (presentazioni in Germania, a Varsavia, in Israele, con l’avallo di Wiesenthal, l’acerrimo nemico dei nazisti, e con l’intervento delle potenti comunità ebraiche nel mondo), come si sarebbe potuta negare a Spielberg la conquista di un bel quadro di Oscar? Infatti ne raccolse sette: film, regia, fotografia di Janusz Kaminski, musica di John Williams, montaggio, sceneggiatura e scenografia. Anche questi ultimi due elementi tecnici contribuiscono fortemente alla perfetta riuscita di questo autentico capolavoro di nequizia e stupore scenico: il copione è scritto molto sapientemente, non disdegna le cattiverie stilistiche (Goeth che dal balcone spara agli internati inermi col suo fucile personale), i salvataggi in extremis (Schindler che salva Stern e altri ebrei da un treno in partenza per un campo di lavoro), le argute trovate d’ingegno (il dialogo fra Schindler e Goeth sull’utilizzo del potere da parte di chi lo detiene quasi per diritto divino forse senza meritarlo), l’amore coniugale e il suo intricato retaggio (le scene di tranquillità e fervore tra Schindler e la moglie Helena) e infine pure la pietas (che richiama l’Eneide di Virgilio e altre immense opere latine che ne trattano al loro interno) che impedisce di maciullare completamente i propri nemici e lascia spazio nel cuore alla misericordia e al perdono più caritatevoli che possano esistere (ne sono un esempio l’unica scena in cui Schindler si commuove e la richiesta della donna ebrea di far ammettere nella fabbrica i propri anziani genitori, e anche la sequenza in cui compare l’uomo senza un braccio). Nel finale compaiono persone realmente esistite che hanno vissuto l’esperienza nei campi di sterminio nazisti che recano omaggio alla lapide del protagonista, nato nel 1908 e morto nel 1974, tra cui non manca sua moglie e la consorte di Stern. Un modo magnifico per chiudere con fantasia e frizzante inventiva un film che ha tutte le carte in regola e ogni punteggio a suo favore per sorprendere, imprimere un ricordo e restare per lunghi tempi nell’immaginario collettivo del pubblico mondiale. Raramente Spielberg toccò, in seguito ma anche precedentemente, simili vette recitative veicolanti un messaggio tanto importante quanto accorato e vissuto fino all’ultima goccia di sangue.

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