danilo c.
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giovedì 12 aprile 2007
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heimat: epica del quotidiano
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Heimat ruota attorno al concetto e all’esperienza di patria, la terra d’origine persa con la Storia e riconquistata in modo diverso attraverso le storie individuali: una patria che come spesso scritto, “da cui si fugge e a cui si ritorna”, secondo spinte centrifughe e centripete che determinano sia la struttura narrativa che la forma del film; storie vissute e consegnate alla tradizione orale, che il film si incarica di recuperare nei meandri della memoria come punti di vista nuovi ed autentici. “L’esperienza vissuta” è infatti per Reitz il punto di partenza programmatico per un’operazione che intende essere l’esatto contrario dei soliti prodotti commerciali; ogni singola micro o macrosequenza esiste di per sé e non ha da sottostare ad alcuna trama o struttura sovraordinata.
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Heimat ruota attorno al concetto e all’esperienza di patria, la terra d’origine persa con la Storia e riconquistata in modo diverso attraverso le storie individuali: una patria che come spesso scritto, “da cui si fugge e a cui si ritorna”, secondo spinte centrifughe e centripete che determinano sia la struttura narrativa che la forma del film; storie vissute e consegnate alla tradizione orale, che il film si incarica di recuperare nei meandri della memoria come punti di vista nuovi ed autentici. “L’esperienza vissuta” è infatti per Reitz il punto di partenza programmatico per un’operazione che intende essere l’esatto contrario dei soliti prodotti commerciali; ogni singola micro o macrosequenza esiste di per sé e non ha da sottostare ad alcuna trama o struttura sovraordinata. Il racconto si snoda come un flusso discontinuo, con frequenti ellissi e dilatazioni temporali. La Storia viene intesa come "valore sovrastrutturale", come schermo che si interpone tra l'intenzione e la rappresentazione. Pur essendo dominato dalla storia, dal racconto, dalla successione cronologica, Heimat non fonda la costruzione delle immagini sulla memoria storiografica, sul significare il passato in maniera consequenziale proponendosi come un film di emozioni e di cause ricercate. “C'è un'immagine nel film che ricorre spesso ed è molto eloquente: l'erba mossa dal vento, che dà a chi guarda l'illusione di un fiume che scorre. E' un po' la "logica" che permea il film; tutto quello che succede possiede solo il senso della combinazione analogica, ma non produce, in quanto tale, in quanto impressione di realtà, alcun significato” . Gli avvenimenti umani si susseguono per selezione, per intromissioni, per riapparizioni; ciò che sembra dimenticato ritorna nuovamente. Heimat è allora un film sulla memoria, o meglio vuole proporsi come coscienza della memoria, suggerendo a tratti lo scarto tra la memoria e i retaggi della nostra consapevolezza . Così la vecchia Katharina, poco prima di spegnersi afferma: “Per sei volte nella mia vita c’è stata un’epoca nuova: dopo la prima guerra mondiale, dopo l’inflazione, poi nel 1933, l’autostrada nel ’38, nel 1945 l’hanno chiamata ora zero, e adesso i giornali sono pieni di “il giorno x” […] Queste epoche nuove non smettono proprio di arrivare”. L’incredibile valore sociale dell’opera di Reitz sta quindi nel divenire essenza terapeutica a quella particolare patologia della Germania post-bellica che consiste in una diffusione (tutt’altro che epidermica) di una collettiva “interdizione memoriale”. Scrive Reitz: “Noi tedeschi abbiamo dei problemi con le nostre storie. L'ostacolo vero è la nostra Storia. Il 1945, anno zero della Germania, ha cancellato molto, ha creato una voragine nella capacità di ricordo della gente. Un intero popolo come afferma Mitscherlich, è diventato incapace di essere in lutto, il che significa incapace di raccontare. Si è determinato un vero e proprio blocco mentale, a causa degli avvenimenti storici. A quaranta e più anni dalla guerra siamo ancora tormentati dal giudizio morale, temiamo che persino i ricordi più secondari e personali della gente possano ricollegarsi con il passato nazista o con la collaborazione in massa con il Terzo Reich. Uno shock culturale ha fatto si che, da noi, esistano scarsissime storie letterarie e cinematografiche, che rispecchiano la vita dal 1945 in poi. Molte storie quotidiane degne di essere raccontate giacciono sotto il peso del nostro terribile grande passato: un incredibile ammasso di vicende individuali che costituiscono il nostro piccolo passato. In contrapposizione con lo shock tedesco della memoria, noi presentiamo al pubblico una grande storia familiare paesana. Più tipici di qualunque attuale produzione industriale e di ogni progetto imprenditoriale sono, in Germania, alcune personalissime espressioni di vita regionale e il nostro rapporto con esse” . E ancora, allo shock reagiranno il ribellismo introverso di Hermann e la “tedesca” tenacia di Anton. Due modi opposti per aggirare la stessa bruciante eredità e cancellare i padri: il padre ritrovato è infatti americano. Reitz ha perciò il lodevole merito di esorcizzare con l’arte la presunta incapacità tedesca di raccontare la storia recente, riportando, “semplicemente” delle storie e abbassando il mondo ad altezza uomo, filmando il riflesso dei bagliori della Storia sulle loro pupille . Per esplicita asserzione di Reitz “narrare dei fatti ha molto a che vedere con il ricordo di esperienze personali, […] se alla memoria si aggiunge la capacità di ordinare e elaborare immagini e gli episodi non dimenticati, nascono i racconti, in una libera affabulazione che, nella sostanza, rispetta la verità originaria” . “Il riferire storie, nella terra della mia infanzia, lo Hunsrück” scriverà lo stesso Reitz, “appartiene ad una grande tradizione popolare, in prevalenza contadina, le stagioni hanno un ruolo significativo anche per l’arte di narrare. In autunno inoltrato e nelle buie sere d’inverno, nei villaggi fioriscono racconti” continua “ogni volta che nella mia vita di regista, […] mi sono chiesto in cosa consista il principio narrativo, mi è venuto in mente mio nonno. Lui non aveva una teoria per la sua arte di narrare e tuttavia era fermo nei suoi principi: i luoghi dell’azione dovevano essere reali e non potevano essere modificati. Anche i protagonisti dei suoi racconti avanzavano la pretesa di essere vissuti davvero” . Sulla base dell’analisi fin qui compiuta, queste parole ci appaiono talmente rivelatrici che riusciamo a comprendere nella sua totalità il disegno narrativo di Reitz che mette radici in un terreno comune ad egli stesso, alla storia e ai personaggi della sua monumentale opera filmica. In modo del tutto coerente, l’Heimat è narrata attraverso l’horal history tipica di quel mondo rurale che ne fa parte. Diventa insomma il tramite ed il percorso reale di un'identità, che possa definirsi in positivo. Contro la storia e le ideologie, contro ogni forma di generalizzazione e schematismo, con Heimat il cinema in quanto linguaggio espressivo ed artistico (in ciò slegato da ogni convenzione, liberamente proteso a sondare e esperire la verità del luogo) si incarica di traguardare e poi far emergere la natura culturale e spirituale di una nazione e di un'epoca. L'accoglimento della ricchezza e contraddittorietà della trama epica conduce a un ulteriore ribaltamento: in luogo di osservare la vita attraverso le immagini, com'è nei canoni del realismo, sono le immagini del film a venire inseguite e indagate, servendosi appunto delle esperienze esistenziali. Proprio grazie a un criterio e a un sentimento che intendono la vita nella sua mutevolezza e complessità, non però celandone le lacerazioni e le fratture, l'opera filmica raccoglie e unifica il supporto unitario del racconto e dei suoi tanti rivoli, per l'appunto epicamente.
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paola di giuseppe
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lunedì 23 agosto 2010
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pe una nuova mitologia popolare
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Heimat ambienta le vicende di tre famiglie (Simon, Wiegand, Glasich) nella terra natale del regista (Germania sudoccidentale) in un villaggio immaginario,Schabbach,situato nella regione agricola dell’Hunsrück in Renania.
La parola tedesca significa patria, contiene la radice Heim, casa, dunque luogo delle origini e delle tradizioni, da cui ci si allontana ma a cui si può tornare.
Fra il 1945 e il 1965 nei paesi di lingua tedesca erano stati prodotti spesso gli Heimatfilme,semplici storie di carattere sentimentale, ambientate su sfondi oleografici di montagne e villaggi austro-tedeschi, per un cinema di evasione che all’epoca ottenne gran successo.
L’operazione intrapresa da Reitz, pur riagganciandosi a questa tradizione, punta a scoprire un’identità tedesca attraverso più generazioni e portando la realtà della vita quotidiana sullo schermo.
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Heimat ambienta le vicende di tre famiglie (Simon, Wiegand, Glasich) nella terra natale del regista (Germania sudoccidentale) in un villaggio immaginario,Schabbach,situato nella regione agricola dell’Hunsrück in Renania.
La parola tedesca significa patria, contiene la radice Heim, casa, dunque luogo delle origini e delle tradizioni, da cui ci si allontana ma a cui si può tornare.
Fra il 1945 e il 1965 nei paesi di lingua tedesca erano stati prodotti spesso gli Heimatfilme,semplici storie di carattere sentimentale, ambientate su sfondi oleografici di montagne e villaggi austro-tedeschi, per un cinema di evasione che all’epoca ottenne gran successo.
L’operazione intrapresa da Reitz, pur riagganciandosi a questa tradizione, punta a scoprire un’identità tedesca attraverso più generazioni e portando la realtà della vita quotidiana sullo schermo.
C’è in Heimat la macrostoria di un popolo riflessa nella lente delle microstorie di gente comune, in un racconto che ha il ritmo dell’epos e il respiro dei cantari di un tempo.
La storia che Reitz racconta ha tutti i connotati dell’oralità, una modalità di trasmissione che ha radici nel mondo contadino da cui il regista proviene, ed evoca lunghe sere intorno al focolare ad ascoltare i racconti dei vecchi.
Non sono però orchi e fate i protagonisti delle storie, ma uomini e donne che con realismo minuzioso vengono colti in momenti di vita che s’intrecciano senza una trama predisposta.
Scrive lo stesso Reitz “Il riferire storie, nella terra della mia infanzia, lo Hunsrück appartiene ad una grande tradizione popolare, in prevalenza contadina, le stagioni hanno un ruolo significativo anche per l’arte di narrare. In autunno inoltrato e nelle buie sere d’inverno, nei villaggi fioriscono racconti. Ogni volta che nella mia vita di regista, […] mi sono chiesto in cosa consista il principio narrativo, mi è venuto in mente mio nonno. Lui non aveva una teoria per la sua arte di narrare e tuttavia era fermo nei suoi principi: i luoghi dell’azione dovevano essere reali e non potevano essere modificati. Anche i protagonisti dei suoi racconti avanzavano la pretesa di essere vissuti davvero” .
Le vicende di cui il popolo tedesco nel secolo scorso è stato tragicamente protagonista avevano creato una sorta di rimozione collettiva se non della memoria, sempre presente e coltivata come monito in ogni angolo del paese, certo della capacità di raccontare storie recenti, di aderire, cioè, a quella sublimazione del vissuto che è il presupposto della narrazione.
Heimat ha ricostruito quel tessuto interrotto dalla Storia, restituendo al popolo tedesco una mitologia popolare a cui attingere e in cui riconoscersi.
In questo senso può porsi a ragione come nuovo libro della memoria e testo sapienziale per una civiltà che sembrava avesse smarrito le ragioni stesse della sua esistenza.
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minnie
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martedì 24 settembre 2013
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un regista straordinario
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Martedì 24 settembre 2013
E' chiaro che un regista come Edgar Reitz non nasce per caso e avendo visto in estasi tutta la saga di Heimat (me ne manca però la più recente) mi chiedevo come mai i suoi film, in precedenza, non fossero noti. Voglio dire, uno che gira Heimat non può spuntare dal nulla. E infatti...ma ho dovuto aspettare fino a tarda notte, sulla rete tre della Rai (grazie Ghezzi), per vedere un film straordinario, come del resto non potevo non aspettarmi, di questo regista ottantenne tanto bravo quanto poco celebrato. Ora, cinefili di tutto il mondo, ditemi: ma dove lo avete visto un bianco/nero così splendido se non nei film di Reitz? No, voglio che siate sinceri.
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Martedì 24 settembre 2013
E' chiaro che un regista come Edgar Reitz non nasce per caso e avendo visto in estasi tutta la saga di Heimat (me ne manca però la più recente) mi chiedevo come mai i suoi film, in precedenza, non fossero noti. Voglio dire, uno che gira Heimat non può spuntare dal nulla. E infatti...ma ho dovuto aspettare fino a tarda notte, sulla rete tre della Rai (grazie Ghezzi), per vedere un film straordinario, come del resto non potevo non aspettarmi, di questo regista ottantenne tanto bravo quanto poco celebrato. Ora, cinefili di tutto il mondo, ditemi: ma dove lo avete visto un bianco/nero così splendido se non nei film di Reitz? No, voglio che siate sinceri...Ebbene, "Mahlzeiten" che vorrebbe dire l'"Insaziabile", riferito alla sete d'amore della protagonista, una sete che schiaccia il figlio unico di madre vedova (scappare!) Rolf, è un film del 1967, girato dunque da un regista appena 35enne, con una protagonista, Heidi Stroh, appena 26enne e che sembra la controfigura se non la sorella di Romy Schneider, si tratta di un film che fu premiato a Venezia e che io ho trovato davvero splendido! Insaziabile anche Rolf, a dire il vero, nella sua avventatezza: fa cinque figli, non se ne cura, interrompe gli studi, non è costante in nulla se non nel suicidarsi e la scena della disperazione di Elizabeth!!!Una corsa urlante nel prato ai limiti del bosco che aveva assistito al loro idillio e dove lui ha pensato di togliersi la vita appena trentenne. Lei è una specie di hippie ante litteram, si veste Chanel da capo a piedi (paga papà, anche se non si vede mai), i bambini sono distanti, Rolf se ne cura ma deve anche lavorare, è spesso lontano da casa, c'è una scena con dei pesci boccheggianti che esprime tutto il senso di soffocamento di un amore che va alla deriva, un po' come in "Scene da un matrimonio". E qui vi voglio: tutti a citare Bergman e nessuno, mai, che si ricordi del sommo Reitz. Facciamolo vedere di più questo splendido, inimitabile film, limpido come un trattato di geometria. Efficace, ben recitato; la donna tutta casa e figli, l'uomo tutto lavoro e solitudine, com'era prima del '68 e come Reitz poi in Heimat ci fa vedere ancor meglio, con analisi dettagliata da bravo tedesco. Però con quale fotografia, con quale senso della visione....assolutamente da non perdere. E pensare che se avessi ceduto al sonno avrei preso questo film indimenticabile, io non mi sazio mai del cinema di Edgar Reitz e voglio urlarglielo, Edgar mi senti?credo che risieda a Karlsrhue, Bravo Bravo Bravissimo!!!
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