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Presso una ridente località balneare giapponese due giovani fratelli della buona borghesia si trastullano tra i bagordi di un'annoiata compagnia di vitelloni e l'interesse per il gentil sesso, passando dallo sci acquatico ai locali notturni. L'incontro con una bella ventenne, suscita l'interesse di entrambi e mentre lei flirta con il fratello più giovane e inesperto il più grande cerca di irretirla minacciando di rivelare all'altro la vera identità della donna, già sposata ad un maturo uomo d'affari americano. Lei si concede ma...finale tragico.
Giocato sui toni agrodolci di una ingenua storiella giovanile di ambientazione balneare Kō Nakahira (al secolo Yasushi Nakahira) tratteggia il ritratto impietoso di una vacua generazione nipponica cresciuta negli agi e nella spensieratezza, vagheggiando i miti di un american style (lo sci d'acqua come trastullo motoristico mutuato dal surf californiano, i locali notturni tra bisbocce alcoliche e scazzottate) quale retaggio di una cultura dominante e riempiendo così il vuoto di valori e di interessi che si affaccia come il sintomo desolante di un disagio esistenziale. La parabola esegetica di fratelli antagonisti e quella ancor più manifesta (soprattutto nel geniale titolo americano) di un erotico frutto del peccato sono gli elementi drammaturgici da cui scaturiscono le dinamiche di una storia che si tiene a distanza dalle secche delle amene banalità del melodramma americano (pensiamo al pruriginoso e ipocrita moralismo di 'Scandalo al sole') come pure dai rovelli nichilisti del nuovo cinema italiano (da Antonioni a Zurlini) preferendo il registro più leggero di una commedia sentimentale attraversata da una ironica indolenza e dal senso di ribellione e frustrazione di una cultura che sembra aver smarrito ogni punto di riferimento.
Non privo di una certa discontinuità narrativa e di evidenti ingenuità a livello espressivo conta sull'efficacia di un'assolata ambientazione insulare (bella la fotografia di Shigeyoshi Mine tra lo scintillio di un'estate nipponica che ricorda la Costa Azzurra o la Versilia e la languida penombra dove si culla un'acerba educazione sentimentale), la selvaggia sensualità che percorre come un brivido i corpi dei giovani protagonisti (coinvolti in un triangolo amoroso che cova lentamente una lacerante ostilità) ed alcune finezze psicologiche timidamente esibite (il primo piano sul volto del giovane Haruji tra l'imbarazzo impacciato ed una nuova consapevolezza di sè dopo un travolgente battesimo virile o quello dello stesso protagonista attraversato dalla cieca furia di una spietata vendetta passionale). Le musiche di Masaru Sato e Tōru Takemitsu accompagnano il repertorio beat della rovente estate di questa gioventù bruciata dalle parti del sol levante e incalzano il ritmo di un finale disperato, dove una vertiginosa panoramica aerea descrive il moto circolare del motoscafo guidato dal giovane Haru che accerchia la barca degli amanti fedifraghi come l'implacabile girotondo di uno squalo feroce e determinato attorno alla sua preda, lasciandolo alla fine come lo avevavo trovato all'inizio: disperato nocchiero dispensatore di morte.
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