emanuelemarchetto
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giovedì 2 novembre 2017
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i mostri siamo noi!
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Il primo film fantascientifico di Jack Arnold ha già in se tutta la poetica del regista: egli infatti tenta di riflette sull’uomo e sulle sue debolezze; su quanto la paura e la mancanza di fiducia verso quello che non conosciamo ci renda barbari ed arretrati. L’umanità è vista dagli alieni (e dal regista), più evoluti, come inadatta a confrontarsi con altre civiltà, questo perché, come dirà anche il protagonista allo sceriffo, “noi distruggiamo tutto quello che ci fa ribrezzo”. Queste tematiche rispecchiano ovviamente il periodo storico che si stava vivendo in America, ovvero la Guerra Fredda , che spesso veniva raccontata dal cinema come la paura per un elemento estraneo che minaccia la cultura dell’americano medio.
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Il primo film fantascientifico di Jack Arnold ha già in se tutta la poetica del regista: egli infatti tenta di riflette sull’uomo e sulle sue debolezze; su quanto la paura e la mancanza di fiducia verso quello che non conosciamo ci renda barbari ed arretrati. L’umanità è vista dagli alieni (e dal regista), più evoluti, come inadatta a confrontarsi con altre civiltà, questo perché, come dirà anche il protagonista allo sceriffo, “noi distruggiamo tutto quello che ci fa ribrezzo”. Queste tematiche rispecchiano ovviamente il periodo storico che si stava vivendo in America, ovvero la Guerra Fredda , che spesso veniva raccontata dal cinema come la paura per un elemento estraneo che minaccia la cultura dell’americano medio. In questo caso l’alieno (come già capitava in Ultimatum alla Terra di due anni prima) è pacifico e si rende subito conto di quanto gli esseri umani siano spaventati da quello che non conoscono. Per questo motivo si rifiuta di mostrare il proprio aspetto al protagonista, in una delle sequenze più interessanti del film. “Se foste discesi voi sul nostro pianeta sarebbe forse stato differente. Noi comprendiamo di più”, afferma l’alieno, rimanendo nascosto nella miniera mentre dialoga con John Putman.
Interessante anche l’utilizzo della soggettiva dell’alieno, che ci fa immedesimare con una creatura di cui non conosciamo neanche le sembianze. “in questa maniera, Arnold ci prepara all’identificazione finale con questi «invasori», quando scopriremo che si tratta di esseri molto più saggi e civili della nostra stessa umanità. Al tempo stesso, però, con questa lunga e allucinante «soggettiva», Arnold riesce ad acuire il senso di mistero, di orrore e di suspense, poiché l’alieno rimane come una presenza più «sentita» che realmente vista, e quindi ci sembra maggiormente minaccioso” (Luigi Cozzi). Il design della creatura, per quel poco che si vede, è affascinante e la scelta di limitare al minimo le sue apparizioni è azzeccata, in quanto rafforza l’idea di qualcosa di incomprensibile anche per lo spettatore stesso. In realtà questa scelta fu in parte imposta dal fatto che il costume fu realizzato di fretta e con mezzi di fortuna, in quanto non era ben chiaro che aspetto dovesse avere. L’unico che provò a darne una descrizione fu Ray Bradbury, che nella prima stesura del soggetto lo definì “… un riflesso, un incubo, l’accenno di un ragno, di una lucertola, di una ragnatela nel vento, di un nulla bianco e latteo, di una medusa, di un qualcosa che riduce debolmente, come un serpente”.
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emanuelemarchetto
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giovedì 2 novembre 2017
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i mostri siamo noi!
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Il primo film fantascientifico di Jack Arnold ha già in se tutta la poetica del regista: egli infatti tenta di riflette sull’uomo e sulle sue debolezze; su quanto la paura e la mancanza di fiducia verso quello che non conosciamo ci renda barbari ed arretrati. L’umanità è vista dagli alieni (e dal regista), più evoluti, come inadatta a confrontarsi con altre civiltà, questo perché, come dirà anche il protagonista allo sceriffo, “noi distruggiamo tutto quello che ci fa ribrezzo”. Queste tematiche rispecchiano ovviamente il periodo storico che si stava vivendo in America, ovvero la Guerra Fredda , che spesso veniva raccontata dal cinema come la paura per un elemento estraneo che minaccia la cultura dell’americano medio.
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Il primo film fantascientifico di Jack Arnold ha già in se tutta la poetica del regista: egli infatti tenta di riflette sull’uomo e sulle sue debolezze; su quanto la paura e la mancanza di fiducia verso quello che non conosciamo ci renda barbari ed arretrati. L’umanità è vista dagli alieni (e dal regista), più evoluti, come inadatta a confrontarsi con altre civiltà, questo perché, come dirà anche il protagonista allo sceriffo, “noi distruggiamo tutto quello che ci fa ribrezzo”. Queste tematiche rispecchiano ovviamente il periodo storico che si stava vivendo in America, ovvero la Guerra Fredda , che spesso veniva raccontata dal cinema come la paura per un elemento estraneo che minaccia la cultura dell’americano medio. In questo caso l’alieno (come già capitava in Ultimatum alla Terra di due anni prima) è pacifico e si rende subito conto di quanto gli esseri umani siano spaventati da quello che non conoscono. Per questo motivo si rifiuta di mostrare il proprio aspetto al protagonista, in una delle sequenze più interessanti del film. “Se foste discesi voi sul nostro pianeta sarebbe forse stato differente. Noi comprendiamo di più”, afferma l’alieno, rimanendo nascosto nella miniera mentre dialoga con John Putman.
Interessante anche l’utilizzo della soggettiva dell’alieno, che ci fa immedesimare con una creatura di cui non conosciamo neanche le sembianze. “in questa maniera, Arnold ci prepara all’identificazione finale con questi «invasori», quando scopriremo che si tratta di esseri molto più saggi e civili della nostra stessa umanità. Al tempo stesso, però, con questa lunga e allucinante «soggettiva», Arnold riesce ad acuire il senso di mistero, di orrore e di suspense, poiché l’alieno rimane come una presenza più «sentita» che realmente vista, e quindi ci sembra maggiormente minaccioso” (Luigi Cozzi). Il design della creatura, per quel poco che si vede, è affascinante e la scelta di limitare al minimo le sue apparizioni è azzeccata, in quanto rafforza l’idea di qualcosa di incomprensibile anche per lo spettatore stesso. In realtà questa scelta fu in parte imposta dal fatto che il costume fu realizzato di fretta e con mezzi di fortuna, in quanto non era ben chiaro che aspetto dovesse avere. L’unico che provò a darne una descrizione fu Ray Bradbury, che nella prima stesura del soggetto lo definì “… un riflesso, un incubo, l’accenno di un ragno, di una lucertola, di una ragnatela nel vento, di un nulla bianco e latteo, di una medusa, di un qualcosa che riduce debolmente, come un serpente”.
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nicolas bilchi
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giovedì 15 settembre 2011
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destinazione... terra!
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Il ricchissimo filone di film fantascientifici prodotti ad Hollywood (ma non solo, si pensi ad esempio al nipponico Godzilla) negli anni '50 viene generalmente in una ristretta cerchia di capolavori del genere, come Ultimatum alla Terra e Il mostro della laguna nera da una parte, e dall'altra una infinità di piccole produzioni dalla qualità abbastanza scadente, realizzate sfruttando i set precedentemente attrezzati per film più importanti. In realtà, se andiamo a scavare bene a fondo nelle opere uscite al cinema in quel periodo, ci accorgeremo che c'è anche una tendenza "di mezzo", cioè alcune pellicole che, pur non potendo essere assolutamente considerate artisticamente di livello, si distinguono dalla massa anonima di spettacoloni ingenui per tutta una serie di motivi.
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Il ricchissimo filone di film fantascientifici prodotti ad Hollywood (ma non solo, si pensi ad esempio al nipponico Godzilla) negli anni '50 viene generalmente in una ristretta cerchia di capolavori del genere, come Ultimatum alla Terra e Il mostro della laguna nera da una parte, e dall'altra una infinità di piccole produzioni dalla qualità abbastanza scadente, realizzate sfruttando i set precedentemente attrezzati per film più importanti. In realtà, se andiamo a scavare bene a fondo nelle opere uscite al cinema in quel periodo, ci accorgeremo che c'è anche una tendenza "di mezzo", cioè alcune pellicole che, pur non potendo essere assolutamente considerate artisticamente di livello, si distinguono dalla massa anonima di spettacoloni ingenui per tutta una serie di motivi. Un esempio classico è proprio Destinazione... Terra!, in cui il regista Jack Arnold, uno dei capisaldi del cinema dell'orrore e della fantascienza insieme a John Carpenter, James Whale e Wes Craven, per la prima volta si cimenta in una produzione di questo genere. L'indiscutibile abilità di Arnold conferisce al film caratteristiche di cui i suoi contemporanei improvvisati sono completamente sprovvisti: prima di tutto l'impeccabile regia, in grado di mostrare ogni elemento dell'inquadratura con una vividezza che sorprende e affascina. I contorni sono marcati ed evidenti, il panorama (il deserto dei western) è qui sfruttato con maestria, a dimostrazione di come un regista capace sia in grado di servirsi con successo anche di materiali di scarto e non propriamente legati al genere di riferimento. Grande trovata anche la soggettiva dagli occhi, anzi dall'occhio, dell'alieno, e superba è la sequenza in cui la creatura esce dalla miniera, rivelandosi in tutto il suo orribile aspetto, emergendo piano piano dalle ombre e materializzandosi come puro incubo visivo. Inoltre va segnalato che Arnold per primo nella storia si servì dell'espediente narrativo, poi reso celeberrimo da Don Siegel ne L'invasione degli ultracorpi, di far assumere agli extratterestri la forma degli uomini con cui erano entrati in contatto. In ogni caso, la sola regia non basterebbe ad elevare questo film una spanna al di sopra di molti suoi simili... la vera genialità di Arnold sta nell'importante riflessione etica che viene proposta, e che in parte ricalca, almeno nella concezione che il regista ha degli alieni, il film di Robert Wise, nel quale, proprio come in questo, gli esseri venuti dallo spazio erano dei "visitatori" e non degli "invasori"; inoltre sono dotati non solo di una tecnologia superiore alla nostra, ma anche di una più profonda capacità di relazionarsi con gli altri, di accettare la diversità e di convivere con essa. Ecco dunque che Arnold cala all'interno di un cinema troppo spesso di mero intrattenimento una discussione intensa che si tramuta anche in denuncia dell'ottusità umana, della sbagliata paura dell'uomo nei confronti dell'ignoto, e del suo impulso istintivo a distruggere tutto ciò che non si può capire e dominare, anzichè cercare di comprenderlo. Gli alieni del film cercherebbero il contatto, ma sono consapevoli che l'umanità non è ancora pronta per un passo del genere. Il finale è un magnifico invito a superare tutti i pregiudizi razziali della nostra epoca, a liberarci dall'infondato e autodistruttivo timore del "diverso", nella speranza che un giorno sia possibile il ritorno sul pianeta di una specie così superiore che potrà portare soltanto benefici agli uomini. Dunque il film esula dal semplice argomento narrativo per mostrarsi come una preghiera universale di tolleranza, amore e rispetto nei confronti degli altri, e questo è indice di grandezza e valore artistico.
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