
Titolo originale | Chimeegüi khotyn jolooch |
Anno | 2025 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Mongolia |
Durata | 138 minuti |
Regia di | Janchivdorj Sengedorj |
Attori | Tuvshinbayar Amartuvshin, Narantsetseg Ganbaatar . |
Tag | Da vedere 2025 |
MYmonetro | 4,25 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 29 aprile 2025
Un uomo ricomincia la propria vita diventando l'autista di un carro funebre. Il film è stato premiato al Far East Film,
ASSOLUTAMENTE SÌ
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Dopo 14 anni di carcere Myagmar si ritrova da solo: sua madre è nel frattempo. L'esperienza carceraria ha lasciato segni profondi su Myagmar: ossessionato dal senso di colpa per il crimine commesso, in carcere ha perso la capacità di comunicare con il prossimo, si è ammalato di insufficienza renale, è stato abusato e violentato. L'unica compagnia che Myagmar sembra in grado di tollerare è quella di un branco di cani randagi, con i quali condivide la sua abitazione e dei quali si prende quotidianamente cura. Trova lavoro come autista per un'azienda di pompe funebri e lì conosce un giovane monaco buddhista e un anziano falegname non vedente, che lo illuminano sulla via della saggezza. Ma l'attrazione e l'istinto di protezione per Saruul, la bella e irrequieta figlia del falegname, lo ricondurranno nel gorgo della disperazione.
Il talento debordante di Sengedorj Janchivdorj, scrittore e regista mongolo che ha all'attivo l'ottimo The Sales Girl, lo porta spesso a strafare.
Alcune scene sono estese innaturalmente e certi simbolismi non necessiterebbero di una spiegazione ulteriore, ma nella sua autoindulgenza la voce di Janchivdorj pare necessaria e foriera di immagini cinematografiche destinate a restare nella memoria di chi ha la fortuna di imbattersi nei suoi film.
Silent City Driver, più ambizioso dei lavori precedenti, si concentra sul personaggio di Myagmar e ci regala una visione delle contraddizioni mongole dal suo particolare punto di vista. Il disincanto accompagna lo sguardo del protagonista tanto nel deserto extraurbano che nella sordida desolazione di Ulan Bator, la capitale, raffigurata come una Nuova Babilonia, ancor più di quanto scorto in The Sales Girl. Myagmar cerca la serenità e la riappacificazione del Buddha, ma sembra allontanarsene ogni volta che la meta appare vicina.
Nella sua parabola c'è un po' del Dogman di Garrone e del Travis Bickle di Taxi Driver; nei suoi siparietti con monaco e falegname risuonano echi dei reietti di Aki Kaurismaki. Le influenze del cinema occidentale non rappresentano tuttavia un peso per Janchivdorj che sa rielaborarle in chiave originale, ben adesa alle complicazioni della vita (e morte) in Mongolia. Gli archetipi del noir e delle cause perse, che conducono a un destino nefasto, sono presenti, ma la prevedibilità della trama non inficia lo svolgimento del film, armonico e sorretto da interpretazioni notevoli, tanto per il protagonista che per la giovane Saruul, anima smarrita e autodistruttiva, consegnata dal destino alle luci al neon della capitale ostile. Rispetto al film precedente, lo humour nero dell'autore si trova necessariamente a dover lasciare il passo al pessimismo di Myagmar, ma il gusto per il surreale permane fino all'epilogo e al suo straordinario pianosequenza.
Così come la contaminazione del realismo magico, attraverso l'apparizione circolare di un cammello, che apre e chiude il film, a simboleggiare l'inevitabilità del destino in una landa desolata, che è desertica anche quando è cosparsa di cemento. Ricorrente e apparentemente incongrua, la presenza di "Comme un boomerang" di Serge Gainsbourg nella colonna sonora incrementa il grado di coolness di un'opera che rischia di sconfinare nella troppa consapevolezza di sé, ma sa ripagare con momenti di cinema puro. Sul fatto che ci troviamo di fronte a un nuovo autore di razza permangono pochi dubbi.