Babel |
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Un film di Alejandro G. Iñárritu.
Con Brad Pitt, Cate Blanchett, Gael García Bernal, Kôji Yakusho, Adriana Barraza.
continua»
Drammatico,
durata 144 min.
- USA, Francia, Messico 2006.
uscita venerdì 27 ottobre 2006.
MYMONETRO
Babel
valutazione media:
3,04
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Incomunicabilità sul pianeta Terradi Federico BarcheFeedback: 0 |
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venerdì 3 novembre 2006 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Babel. Benvenuti nel frullatore di Iñarritu. Il golden boy della nouvelle vague della cinematografia mondiale (alla pari con Paul Thomas Anderson, sia chiaro…) ci offre la sua personale Babele contemporanea. La storia è nota: si parla delle vicende dei personaggi di quattro nazioni lontane fra loro (Stati Uniti, Messico, Marocco e Giappone) che, causa un colpo di fucile partito dalle mani di due ragazzini in un paese sperduto del Marocco, vengono a intrecciarsi fra di loro. Ma il buon Alejandro vuole tenerci in sala due ore e trentacinque minuti per parlarci della storia di un fucile? No di certo. Il regista parla di incomunicabilità, ecco il tema. L’incomunicabilità fra il cacciatore giapponese e sua figlia, quella fra Brad Pitt e le autorità marocchine, l’incomunicabilità fra la tata messicana, il nipote (un Gael Garcia Bernal barbuto e “messicano” come non mai) e le autorità doganali americane, quella fra Brad Pitt e i compagni di viaggio. Più in generale l’incomunicabilità cui sembrano ormai costretti gli abitanti del pianeta Terra. E’ difficile vivere il mondo nel 2006, sembra dirci il regista di Amores Perros e 21 grammi, ma a un tratto, quando ormai non ce l’aspettiamo più, uno squarcio di sereno. E’ ancora possibile comunicare. Succede verso fine film quando la ragazzina giapponese (sordomuta, e quindi emblema delle difficoltà di comunicazione) riesce a porgere al giovane agente di polizia le sue impressioni su un pezzo di carta e sembra aprirsi con suo padre o quando vediamo Brad Pitt stabilire un bel legame con la guida marocchina. Questo è Babel. Ambizioso ma non pretenzioso, il film ci è sostanzialmente piaciuto. Le soluzioni visive e i movimenti della macchina da presa sono come sempre superbi e giustificano pienamente la Palma d’oro per la migliore regia a Cannes, la trama importante, i dialoghi scarni ma ce lo aspettiamo da un film che parla di difficoltà a comunicare con il prossimo. Evviva Alejandro quindi, ma noi continuiamo a pensare che il suo miglior film sia ancora il primo, quando il regista ancora non era sbarcato a Hollywood e girava a Mexico City lo splendido Amores Perros.
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