Nymphomaniac - Volume 1 |
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Un film di Lars von Trier.
Con Charlotte Gainsbourg, Stellan Skarsgård, Stacy Martin, Shia LaBeouf, Christian Slater.
continua»
Titolo originale Nymphomaniac.
Drammatico,
durata 110 min.
- Danimarca 2013.
- Good Films
uscita giovedì 3 aprile 2014.
- VM 14 -
MYMONETRO
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Nymphomaniac del Cantus Firmus
di M. Di NapoliFeedback: 415 | altri commenti e recensioni di M. Di Napoli |
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venerdì 18 aprile 2014 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Una lunga sequenza di buio iniziale, quel buio che è l’incomprensibile nella perpetua variazione degli stati emozionali diafasici, ma che lasciano inevitabilmente un alone di oscuro, così come oscura è ogni comunicazione nella sua perpetua volontà di essere compresa. Comprensione alla quale si impone l’uso di un codice che inevitabilmente finisce per incidentare il dire stesso, che non – vuole nessuna ambulanza; come dice la protagonista all’inizio del film, appena ritrovata – non le interessa e non vuole ambulanza; non vuole soccorso - ancora buio. In quel buio di apertura dove viene incontrata dall’uomo “pescatore” che legge da quando era bambino (uomo – lettore – pescatore – ascoltatore) in quel rapporto tra psicoanalista e paziente dove chi si racconta spesso si rovescia nel suo opposto… Non c’è psicoanalisi che non sia a sua volta malattia e cura. Come ci dice Derridà – La psicoanalisi, supponendo, si trova. Quando si crede di trovarla, è la psicoanalisi, supponendo, a trovarsi. (Derridà, Le facteur de la vérité, 1975). E poi tutto il passato-ricordo in immagini con telecamere mobili che non astraggono il tempo, ma ne capovolgono la subordinazione al significato stesso del ricordo, perché tutto quello che si ricorda non può che capovolgersi nello specchio universale del proprio buio interiore, quel lungo buio di apertura che ritorna anche in pieno colore: in pieno accecamento dell’immagine. Così come le stesse figurazioni del dolore e del demonicaco non sono che rappresentazione di un qualcosa di incompleto - come ogni piacere resta fratturato, lacerato in se stesso anche se frenetico, come la fame della metafora dei pesci che ci racconta il pescatore. La parola stessa diventa atto frenetico e si precipita a coprire diversi campi della conversazione recisa, per ri-gettarsi cercando ancora di superare l’intenzionalità dello sguardo e il campo di ripresa della macchina. Qualcosa di folle e di schizofrenico c’è in ogni conversazione considerata in se stessa. La psicoanalisi ha studiato la conversazione schizofrenica con i suoi manierismi, le sue prossemie e le sue messe a distanza, divergendo la conversazione. Questa caratteristica della divergenza di ogni conversazione viene analizzata molto bene anche da Simmel. Divergenza che può provenire anche da una fonte sonora che non si trova mai, come il pianista in Antonioni che sembra vicino, ma di fondo non c’è mai (come la fonetica smarrisce il suo significato nel dirsi stesso). Anche il ricordo\puzzle della protagonista del film che a poco a poco non riesce più a ricomporre e si perde. Proprio perché la fame sessuale e senza limiti della protagonista è una fame che divora tutto senza badare tanto a che cosa; è un desiderio ossessivo di trasportarsi in un’anti-camera della vita, o meglio, in un fuori campo della vita - che è quello del cinema, in quei tagli del cinema che fanno fuori l’immagine stessa, nella falsificazione di qualsivoglia ricordo. Ecco perché piangendo ci dice – Non riesco a sentire niente… non riesco a sentire niente… “Quando venne creato il frassino, tutti gli alberi della foresta provarono invidia perché era l’albero più bello del bosco, aveva il legno più forte, era l’albero del mondo nella mitologia nordica, parlarne male era impossibile. Poi quando tutti gli altri alberi videro il frassino con le gemme nere cominciarono a ridere…”
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