To the Wonder

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Un film di Terrence Malick. Con Ben Affleck, Olga Kurylenko, Rachel McAdams, Javier Bardem, Tatiana Chiline.
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Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 112 min. - USA 2012. - 01 Distribution uscita giovedì 4 luglio 2013. MYMONETRO To the Wonder * * * - - valutazione media: 3,15 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Malick e il problema del Corpo (Spinoza) Valutazione 0 stelle su cinque

di M. Di Napoli


Feedback: 415 | altri commenti e recensioni di M. Di Napoli
sabato 15 giugno 2013

Si potrebbe dire un respiro, almeno per quanto riguarda l’estensione e la durata di un’immagine nel cinema di Malick. Sarebbe troppo facile parlare di - Tree of life, dire che in questo film il regista rimarca alcune cose già viste, che ritorna su alcune posizioni; alla fine un respiro è tale proprio perché si ripete, un respiro deve ripetersi. Interessante più che altro è chiedersi perché si ripete? Abbandonare la domanda –  cos’è un respiro? Per chiedersi  -  dove avviene un respiro? Chi respira? Non è forse un corpo? Il luogo del respiro non è forse il corpo? Eccoci dunque a Spinoza: uno dei filosofi maggiormente impegnati sul tema della vita e del corpo.

Dateci un corpo”   -  ecco la formula, e non la forma, ma la formula del capovolgimento filosofico. Il corpo non è più l’ostacolo che separa il pensiero da se stesso, ma è il luogo dove il pensiero deve affondare per raggiungere l’impensato: la vita. Affondare come in Solaris, affondare nell’acqua pensiero. Ci sono molte, forse troppe immagini in Malick che evocano un altro regista importantissimo  –  Tarkovskij. Iniziando dal lavoro sull’attore, attore inteso come luogo del corpo, l’attore è il portatore del corpo; in Malick quest’attore non è mai presente, sembra sempre un prima e un dopo, ripreso a frammenti nella sua maestria di smontare l’azione attraverso il montaggio stesso, nella sua cancellazione del gesto, in questo vitalismo che sorpassa la scansione cronologica per precipitare nella bergsoniana durata, sembra che il gesto per poter essere ripreso debba essere cancellato, debba essere appiattito, per poter avere memoria deve sciogliersi come il mare di Solaris, comequalcosa per comunicare l’impensato, ancora una volta la vita. Malick spezzetta continuamente l’azione, frammenta il gesto non solo attraverso il montaggio, ma attraverso i colori. Vediamo cosa può un corpo se visto al tramonto, se visto su una spiaggia, cosa può un braccio ripreso tra la luce filtrante dei rami di un albero, cosa può un volto, ma non ci sono attori, e se un’azione inizia in rosso e finisce in blu, cosa succede? Non è ancora una volta questa una frammentazione? Ebbene in To the Wonder c’è tutto questo. Se nel cinema la macchina da presa mirava al tutto aperto; in questo film troviamo un concatenarsi di immagini che non ci consente di pensare, non ci permette una vera e propria razionalizzazione, il tutto è un flusso, l’immagine non ci dà il tempo del pensiero, l’immagine diventa il tempo\pensiero dove quello che conta è l’intervallo, l’interstizio tra immagini che fa sì che ogni ripresa sia uno strappo al vuoto: opera di differenziazione  –  dato un potenziale, bisogna sceglierne un altro in modo tale che tra i due si stabilisca una differenza di potenziale, un potenziale che sia produttore di qualcosa di nuovo  –  questo cinema di Malick, questione di composizione di corpi, di come, dove, del perché in quanto tempo un corpo sia in grado di combinarsi con un altro corpo, sia esso un minerale, un albero, un fiore, un’ombra. Rimozione totale dell’attore\personaggio. Frantumazione del flusso cronologico ed esaltazione della durata, dello slancio bergsoniano del gesto. L’attore stesso viene privato della voce, non c’è più una voce piena, ma sussurrata, soffiata; non sono personaggi che hanno una voce, ma sono voci, o meglio modi vocali, corpi\sonori a diventare oggetto di combinazione. Tutta la storia, se si può parlare di storia, sbuca fuori dalle combinazioni di questi corpi. Non c’è mai una vera e propria trama in Malick, c’è solo una traccia. Traccia che mostra quello che è stato delle combinazioni o decomposizioni.
Una macchina\ripresa che apre su qualcosa, si innesca un meccanismo di composizione, tutto entra nella composizione come una macchina, con la macchina, una macchina da presa, da ri-presa, una macchina del pensiero, macchina del desiderio.Dateci dunque un corpo, un corpo per poter scavare meglio nel pensiero, un corpo macchina, automobilistico, un automa finito, una macchina morfica, una dismorfia, un corpo che attraverso il pensiero possa scavare nel corpo stesso.

L’es funziona ovunque, ora senza sosta, ora discontinuo. Respira, scalda, mangia. Caca, fotte. Che errore aver detto l’ (es). Ovunque sono macchine, per niente metaforicamente: macchine di macchine, coi loro accoppiamenti, colle loro connessioni. Una macchina organo è innestata su una macchina sorgente: l’una emette un flusso che l’altra interrompe.” (G. Deleuze, L’Anti- Œdipe)

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ulissenano venerdì 20 giugno 2014
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S'apre, ed è gesto, scansione, pneuma, flatus vocis: i corpi di Malick rifiutano la forma dialogica, quindi lo sviluppo drammatico, per farsi appunto "traccia" verso l'impensato del gesto, l'inaudito del fiato, oltre il limite del corpo fino al corpo/automa, macchina da attraversare e sfondare. Ecco perché tanto fischiare: per non aver rimosso la smorfia del corpo, per non aver ceduto a Platone, per essere andato oltre Heidegger, sino a Ildegarda, dall'altra parte "dell'impero dei sensi", nella mistica che non è rovesciamento ma comprensione in sé, quindi abbandono.

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