To the Wonder |
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Un film di Terrence Malick.
Con Ben Affleck, Olga Kurylenko, Rachel McAdams, Javier Bardem, Tatiana Chiline.
continua»
Drammatico,
Ratings: Kids+16,
durata 112 min.
- USA 2012.
- 01 Distribution
uscita giovedì 4 luglio 2013.
MYMONETRO
To the Wonder
valutazione media:
3,14
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Il "panta rei" pagano di Malickdi carlosantoniFeedback: 5973 | altri commenti e recensioni di carlosantoni |
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sabato 20 luglio 2013 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
I punti di forza di questo film sono l’impianto fortemente filosofico della narrazione e la sua descrizione formale, che si avvale di una fotografia di eccezionale potenza, di una colonna sonora ricca di richiami classici e di un montaggio che esplicita l’impasto materico del racconto. Malick s’interroga sulla natura dell’ amore, lo descrive come una linfa vitale eppure fragile che tutto anima. Il suo sguardo non è moralistico, si limita ad osservare come nascono, si evolvono e spesso si deteriorano i sentimenti tra le persone, né come possono impoverirsi “in interiore homine” (per esempio nell’animo del prete-Bardem l’amore come fede smarrita, o mai realmente trovata); prende atto che tutto ciò fa parte della vita. Tutto scorre, sembra dirci, come in Eraclito. “Tutto” è secondo me la parola-chiave, di questo come di altri film di Malick, in particolare “La sottile linea rossa”. Malick lancia spessissimo il suo sguardo dal basso verso l’alto, dalla terra selvaggia, di volta in volta umida o brulla o popolata da stoppie, su attraverso i rami degli alberi, fino ai cieli sconfinati che tutto abbracciano, nei quali il sole folgorante o la luna pallida della prima sera si mescolano tanto col volo fluttuante di stormi di uccelli, quanto con quello di jet che lasciano la scia del loro passaggio: quasi a suggerire che tra fenomeni naturali e fenomeni storici c’è perfetta contiguità. E altrettanta contiguità la suggerisce lo splendore della fotografia, tra visioni incredibili come quella del procedere dell’alta marea a Mont St. Michel, e visioni minime come quella di rigagnoli di acque che ai bordi di un prato finiscono in una fogna, tra fili d’erba e foglie morte, o di stoppie ingiallite dove i corpi dei protagonisti si mescolano in danze o abbracci, senza che la m.d.p. si curi troppo di riprenderli a figura intera, perché ciò che ci viene suggerito è che in fondo è il loro reciproco movimento, più che il loro esatto profilo di soggetti, a costituire lo scorrere del loro amore, così come della vita. E altrettanta continuità tra la fragilità dell’animo umano e la fragilità del tessuto sociale (intensa la descrizione del degrado di cittadine americane con stamberghe abbandonate e in disfacimento, abitate da una popolazione umilissima e malata, privata di ogni diritto sostanziale e ridotta nei fatti a condizioni di vita da gleba medievale), e tra la fragilità del tessuto sociale e la vulnerabilità della natura, pur in sé eternamente potente. E altrettanta continuità tra il fulgore dell’amore al suo sbocciare, e il sopravvenire di una stanchezza che progressivamente toglie speranza e desiderio: ne è un’esplicitazione la casa del protagonista, ampia e ben fatta insomma per accogliere, ma spoglia: sì, qualche mobile viene ad animare qualche stanza (e qualcun altro finisce in pezzi durante un litigio), ma le stanze sono sostanzialmente occupate da scatole di cartone destinate a contenere vesti e robe che non riescono mai a trovare una collocazione definitiva: a suggerire la precarietà del rapporto tra i protagonisti. Non c’è un “per sempre”, ma soltanto un “qui e ora”. Esattamente come avviene fuori da quelle mura, dove la natura (e la tecnica-tecnologia, che non vi è opposta, ma anzi sotto la declinazione umana finisce per esserne espressione e prolungamento) continua a fare il suo corso, tra un continuo perire e rigenerarsi. Come la marea di Mont St. Michel, che va e viene, che appare all’inizio del film, e ne costituisce l’immagine finale.
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