Le onde del destino

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Un film di Lars von Trier. Con Katrin Cartlidge, Stellan Skarsgård, Emily Watson, Jean-Marc Barr, Udo Kier.
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Titolo originale Breaking the Waves. Drammatico, durata 158 min. - Danimarca 1996. - Lucky Red uscita venerdì 11 ottobre 1996. MYMONETRO Le onde del destino * * * - - valutazione media: 3,40 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Acquista »
   
   
   

D'amore, sull'amore, oltre l'amore. Valutazione 0 stelle su cinque

di Maximilione


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martedì 16 ottobre 2012

E' il 1996 l'anno in cui la poetica estrema, distruttiva e anticonvenzionale di Lars von Trier si propaga come fenomeno d'interesse internazionale, in seguito al prestigioso riconoscimento che la Giuria di Cannes assegna a un folle, sgangherato e stupendo melodramma del regista danese, stupidamente distribuito in Italia come Le onde del destino, titolo che disperde tutta la carica eversiva di cui

invece la denominazione originale sembra caricarsi, al pari di un'esplicita dichiarazione di poetica. Breaking the waves, ovvero infrangere le onde, spezzare le consuetudini, disintegrare i limiti naturali.
Del cinema generalmente inteso, in primis. Del suo linguaggio classico, chiaro, lineare. Del suo montaggio invisibile.
Del genere sentimentale, in secondo luogo. Del cosiddetto romance americano: mieloso e ripetitivo.
Degli schemi di vita socialmente accettabili, infine. Dall'espressione della fede religiosa a quella della sessualità, dalla sublimazione amorosa ai vincoli familiari.

Riguardo alla trasgressione cinematografica tout court, già in Breaking the waves è possibile scorgere alcuni dei caratteri che diverranno gli stilemi più riconoscibili del cinema di von Trier, tuttora riconosciuto come uno degli autori più innovativi del panorama contemporaneo e senza dubbio come il più indisposto nei confronti di qualsiasi tradizione artistica restrittiva, a partire dalla lezione hollywoodiana.

Basti pensare, proprio ne Le onde del destino, alla fotografia sgranata e spesso sfocata o al montaggio ellittico, fatto di tagli netti, vigorosi, all'interno di scene vibranti ma deprivate di musica, che anticipano il voto di castità del Dogma '95, sintetizzato nel successivo Idioterne (1999). Oppure all'utilizzo straniante di cartelli -capaci di frammentare in modo ancora più netto la narrazione- con tanto di titoli che anticipano brechtianamente lo sviluppo dell'intreccio. Espediente questo a cui il danese ricorrerà in molti altri casi: dal dramma stilizzato -e quanto mai brechtiano, almeno scenograficamente- di Dogville all'apocalisse cosmico-familiare di Melancholia, passando per quel sorprendente saggio di stile cinematografico che è Le cinque variazioni e per il simbolismo criptico, depressivo e infero di Antichrist.

Ma Breaking the waves si sostanzia soprattutto come tentativo apertamente programmato di minare i caratteri del tradizionale melodramma romantico, di annullarne le limitazioni di genere per tracciare itinerari nuovi e mai esplorati dalla settima arte, pur conservando come fulcro centrale e insostituibile della diegesi la potenza salvifica e vitale del sentimento amoroso. In questo senso, il film di von Trier si costituisce come un'opera a tema perfetta e ineguagliata che, in bilico tra le pieghe più oscure e devastate di due anime che tentano con tutte le forze di essere una, non tenta di dimostrare -semplicemente- che l'amore è una forza della natura ma l'unica essenza in grado di trascendere dalle sue leggi. Nel materializzare filmicamente questo concetto, von Trier mette in scena tutta una serie di piccoli scarti che, mentre differenziano la storia di Jan e Bess dall'ordinaria composizione delle trame di vita comuni, fanno della pellicola un chiaro tentativo di rivisitazione del genere sentimentale. Non è un caso che il film si apra con un matrimonio, ideale tappa conclusiva di molto cinema romantico, o che proprio le nozze vengano consumate in un cesso di ristorante, molesta riedizione dell'indimenticabile prima notte di vita coniugale. Lo stesso sesso è palesato in forme morbose, eccessive o infantili. L'infedeltà perde i suoi connotati peccaminosi e in generale negativi per trasformarsi in un atto d'amore puro e disinteressato. In questo senso, von Trier rivisita il sentimento umano per eccellenza con occhi mai sperimentati e riesce nell'impresa quasi impossibile di trasformare una scena di masturbazione di uno sconosciuto incorniciata in uno squallido retro d'autobus, nella materializzazione più toccante dell'amore, nel senso più spoglio e universale del termine.

Attraverso la fragile ma intensissima figura di Bess, infine, il regista danese dà vita alla cosiddetta Trilogia del Cuore d'oro (proseguita con Idioti e Dancer in the Dark), costellata di personaggi con aspirazioni positive, condannati all'insuccesso e al dramma. Bess, aggrappata al suo folle amore per Jan e ai monologhi interiori con un Dio che pare sorreggerla, rimane schiacciata dalle bigotte e dogmatiche inclinazioni di un'umanità alla deriva che non la comprende. Da qui inizierà l'analisi trieriana di quei diseguali rapporti di forza tra gruppi umani che esploderanno in maniera potentissima nei due film di quella trilogia americana non ancora conclusa (Dogville, Manderlay).

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