Quando il cinema affronta e sviluppa i termini che regolano i rapporti di una società in crescita lineare con l’evoluzione tecnologica,corre il rischio di lambire la misura dell’ovvietà o di una retorica malcelata dall’indagine su una condizione umana stento in grado di recuperare la strada dietro a quella realtà in continuo movimento che è il progresso.
Non è difficile imbattersi in luoghi comuni o dejà vu tematici quando in scena entrano etica o elementi di morale alla deriva nel moto perpetuo della ricerca all’interesse e la speculazione.
L’ultimo lavoro di David Fincher,”The Social Network” non è storia di software,di quelli che se ne sono fatti creatori o di guadagni impensabili.
Non è neanche una storia sul potere e sull’avidità.
“The Social Network” parla di una realtà così profondamente radicata nell’animo di un uomo,da condizionarne la vita intera,al punto di farsi elemento discriminante per le scelte esistenziali di ogni essere umano.
Fincher affronta e vince una sfida con la banalità mettendo sullo schermo il disperato bisogno di accettazione che si agita nell’intimo di Mark Zuckerberg (Jesse Eisenberg),complessato quanto dotato studente dell’università di Harvard.
Seduto in un bar davanti alla sua ragazza (Rooney Mara) una sera dell’autunno del 2003,Mark espone alla ragazza i motivi che conducono all’importanza di appartenere ai prestigiosi Final Clubs universitari,in ragione della loro natura esclusiva,termine che scandirà il ritmo dei dialoghi di Zuckerberg per tutta la durata del film.
Di fatto,quello di Mark è un soliloquio rivolto a sé stesso,fattosi oggetto della sua propria attenzione e del microcosmo sociale di cui si circonda,ponendosi su un piano di superiorità rispetto al prossimo,condizione che grava sul senso di rifiuto che il ragazzo avverte da parte degli altri.
Mark soffre di un evidente disturbo della personalità,che lo dequalifica di fronte alle persone dalle quali il ragazzo avverte il bisogno di un cenno di accettazione.
Fincher mira con precisione l’equilibrio instabile che regola il meccanismo comportamentale del ragazzo,alimentato dal senso di frustrazione che lo assilla e dalla tensione ad eccellere in una società che lo respinge,a suo vedere perché dotato di quello che altri gli invidiano,il genio.
Il suo incontro con i gemelli Winklevoss (Armie Hammer) concretizza le aspirazioni di Mark di essere notato da chi egli considera essere l’ideale suo interlocutore:membri del Final Club,futuri campioni di canottaggio ed ereditieri di una fortuna invidiabile.
I server di Harvard sono in collasso per il pesante traffico nel website che il ragazzo ha appena ultimato,FaceMash.com,il che spinge i Winklevoss a proporgli una copartecipazione nella creazione di un network sociale esclusivo,dove le ragazze possono contattare i ragazzi di Harvard.
L’ambizione di Zuckerberg,la sua presunzione ed il distacco emotivo umano che condizionano le sue azioni, portano il ragazzo a recare sofferenze al suo prossimo.
Alla perdita della ragazza,effetto naturale dell’autoelezione di cui Mark si incensa,fanno seguito prima la rottura con i gemelli,poi con Eduardo Saverin (Andrew Garfield),il migliore amico di Mark,con il quale questi entrò in società per dar vita a Facebook.
Il ritmo del film è scandito dai continui flashback e forward,che si alternano nello sviluppo degli avvenimenti in una complessa dinamica dell’impianto narrativo che allinea antefatti ed epilogo nei consigli di amministrazione universitari nei quali Mark è trascinato dai suoi ex soci per violazioni agli accordi contrattuali,ai copyright ed alle normative che regolano la privacy.
The Social network si disallinea totalmente dalla banale biografia.
Criticato per l’assenza di elogi al femminile,di fatto il film manca di lusinghe in assoluto,soffermandosi invece sulla povertà delle elìte sociali (Harvard,l’emancipazione commerciale della Silicon Valley,lo status sociale di una borghesia arrivista,i falsi modelli comunitari).
La pellicola di Fincher non racconta Facebook,ma coglie i termini di un’analisi dei moti di un uomo fratturato e confuso che fa della propria solitudine un mezzo di accesso alla società allargata ad uno spazio esterno alle sue realtà virtuali,rifugi per le proprie debolezze ed affanni esistenziali.
Fincher non prende posizioni e si limita a dipingere un ritratto inquietante di un mondo dove la struttura sociale è tutto ciò che conta per qualificare il peso di una persona.
Ma il film chiude le tende sulle immagini di un ragazzo rimasto solo con il suo strumento,del quale si serve per chiedere un’amicizia virtuale,unico ponte fra le proprie ossessioni e la realtà che gli respira intorno.
Mentre Paul,John e George cantano la ricchezza.
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