Il film è tratto da un romanzo di Maria Semple, scrittrice e autrice televisiva statunitense, dal titolo Where’d You Go, Bernadette? scritto nel 2012.
Attraverso la voce narrante della figlia ci si profila una donna eccezionale: Bernadette Fox (interpretata dalla bravissima Cate Blanchett) che è stata una brillante architetto, sempre attenta alla biologia e all’uso dei materiali naturali, unica donna ad aver vinto un prestigioso premio di Architettura. A un certo punto Bernadette conobbe Elgie (interpretato da Bill Crudup), un giovane agente interessato a comprare la casa (premiata) progettata da lei, per un ricco imprenditore. Si innamorarono e si sposarono.
Li ritroviamo una quindicina di anni dopo che vivono a Seattle dove lui lavora alla Microsoft e lei, dopo aver costruito la loro casa con materiale tutto riciclato, si occupa prevalentemente di far crescere la figlia Bee (Emma Nelson). La accompagna a scuola, la va a riprendere, insomma fa tutto ciò che fa una madre di famiglia che non lavora.
Ciò che la differenzia dalle altre housewives è il suo caratteraccio. Detesta Seattle, disdegna l’ambiente suburbano del neighborhood e sfugge dalle altre mamme a scuola. Poiché man mano sono aumentate le sue fobie, Bernadette è diventata sociopatica e paranoica. Vive in questa sua casa, l’ultima che ha progettato, come fosse un bunker, al riparo dalla minacciosa città. Inoltre, prende una grande quantità di medicinali e, pur di non socializzare con le persone, si affida a Manjula, un’assistente virtuale indiana (una segretaria elettronica) alla quale detta tutto ciò di cui ha bisogno: dal cibo agli indumenti.
La figlia Bee, avendo ottenuto degli ottimi risultati scolastici desidera, come premio, quello di fare un viaggio in Artartide assieme ai genitori. Bernadette, ne pare spaventata, ma accetta a malincuore, così anche Elgie, sempre più fagocitato dai suoi impegni di lavoro. E proprio a causa di questo eccesso di impegno di lavoro si è trovato, inevitabilmente, ad aver trascurato un po' la famiglia. A questo punto riscontra una grande difficoltà a seguire le depressioni e le “stranezze” di Bernadette e quasi non la riconosce più. Si consulta con una psichiatra pensando possa esserle di aiuto un periodo di cure in una clinica.
Senza svelare troppo i particolari del racconto, posso affermare che la seconda parte vira su un registro comico, ed è quindi più divertente della prima. Ciononostante la vicenda del film porta a fare alcune riflessioni.
Che succede a una donna, quando oltre al peso della propria vita che sta cambiando e che necessita di cura e di attenzione, si somma quello di una famiglia? In particolare essendo madre, la responsabilità della figlia? Che fare quando non si riesce più ad adattarsi alle situazioni, tanto da iniziare a provare orrore per quasi tutta l’umanità? La mia risposta sarebbe senza dubbio, quella di entrare in terapia, ma sembra che la protagonista del film l’abbia già affrontata con scarso successo o scarso impegno.
Ma chi capisce il vero malessere di Bernadette è proprio Bee, la giovane figlia che malgrado l’età, intuisce che le inquietudini di sua madre dipendono dall’aver dedicato troppo tempo alla famiglia dimenticandosi del proprio lato creativo che le procura entusiasmo ed energia vitale.
Così un happy end e un panorama naturalistico anti-urbano riuscirà a portare il sorriso sul volto di Cate Blanchette, finalmente senza occhialoni scuri, e in parte anche agli spettatori.
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