eraldo
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giovedì 5 dicembre 2024
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emozioni
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Non voglio rinarrare la trama del film ampiamente ben descritta in più recensioni, in primis quella più che esaustiva e profonda di Marzia Gandolfi: vorrei solo scrivere le sensazioni che ho provato durante la visione del film.
Mi è stato impossibile non pensare che il regista fosse Clint Eastwood, quello che è stato anche quel grande attore alto asciutto col suo viso e i suoi occhi, unico ed unici, nei primi piani davanti alla macchina da presa, ora di un’anzianità estrema quanto lucida nei suoi 94 anni.
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Non voglio rinarrare la trama del film ampiamente ben descritta in più recensioni, in primis quella più che esaustiva e profonda di Marzia Gandolfi: vorrei solo scrivere le sensazioni che ho provato durante la visione del film.
Mi è stato impossibile non pensare che il regista fosse Clint Eastwood, quello che è stato anche quel grande attore alto asciutto col suo viso e i suoi occhi, unico ed unici, nei primi piani davanti alla macchina da presa, ora di un’anzianità estrema quanto lucida nei suoi 94 anni. Non avrei mai voluto che finisse, ma eppure doveva succedere dopo 114 minuti in cui neppure un istante è stato superfluo. Ho trovato fantastica la parabola dei contrasti, la lotta per rinascere del protagonista per uscire da una dipendenza e impegnarsi con una donna a fare una famiglia, ma come l’etichetta del passato possa travolgerti anche dopo anni, come se la redenzione personale non abbia mai un avallo sociale definitivo. Gesù disse: - Chi è senza peccato scagli la prima pietra!- E tutti se ne andarono. Ma questo non ha fatto grande insegnamento nemmeno nelle società che fanno riferimento in qualche modo a quei valori religiosi. Così come l’accusato innocente, anche lui redento da un passato criminale, ma ancora con la debolezza del vizio alcolico è considerato per questo il perfetto assassino per la giustizia che deve fare il suo sbrigativo corso, a costo di mandare all’ergastolo un innocente, come innocente è anche il giurato numero 2, che pensava di aver investito un cervo in quella terribile notte temporalesca, dove l’intensa pioggia toglie visibilità esterna nell’auto, mentre amplifica quella interna messa a nudo in tutto il suo dolore.
Il vero condannato qui per Clint Eastwood credo sia almeno in parte il pregiudizio, che ci riguarda tutti ed è difficilissimo da razionalizzare e soprattutto in questioni di giustizia e di pena non dovrebbe diventare un’aggravante fino ad oscurare le attenuanti reali, per cui la giustizia umana possa fare si il suo corso nel modo più giusto possibile senza cedere al giustizialismo sempre in agguato.
In ogni caso oltre a questo aspetto, il film è anche molto altro di imponderabile, di poetico sospeso, che mi ha trattenuto fino ala fine dell’ultimo titolo di coda, lasciando la sala solo ormai deserta.
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jean
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lunedì 6 gennaio 2025
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un film tecnicamente fatto bene.
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Tutti sono innocenti fino a prova contraria, questo è il "leitmotiv" della pellicola e il capostipite dello stile di Eastwood, che racconta la storia dell'America o degli americani (come ad esempio capolavori come American Sniper o Gran Torino) tracciando un'identità con i suoi personaggi che si riducono alla mera contrapposizione tra bene e il male, questa complessità si riflette anche nella costruzione e nella natura dei protagonisti delle sue opere: eroi ed anti eroi pieni di contraddizioni così come la realtà nella quale sono calati.
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Tutti sono innocenti fino a prova contraria, questo è il "leitmotiv" della pellicola e il capostipite dello stile di Eastwood, che racconta la storia dell'America o degli americani (come ad esempio capolavori come American Sniper o Gran Torino) tracciando un'identità con i suoi personaggi che si riducono alla mera contrapposizione tra bene e il male, questa complessità si riflette anche nella costruzione e nella natura dei protagonisti delle sue opere: eroi ed anti eroi pieni di contraddizioni così come la realtà nella quale sono calati.
Erano anni che non si vedeva un film così valido, dove lo spettatore è finalmente coinvolto e non annoiato da inquadrature statiche, da soliti “campo e controcampo” in una conversazione a due, qui Eastwood sperimenta, muove la macchina da presa, usa le inquadrature in soggettiva, tiene lo spettatore anche il più distratto sempre sul pezzo anche grazie al Blocking (come vengono disposti gli attori sul set) e come posiziona la macchina da presa.
La trama è avvincente, ma verso la fine della pellicola il climax cala un po' di ritmo.
Una fotografia che rispecchia lo stile del regista,come in quasi tutte le sue pellicole, essenziale e minimalista, così come le colonne sonore e la sceneggiatura, tutto in modo semplice.
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fabio silvestre
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domenica 24 novembre 2024
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la vita di un innocente in mano ai giurati
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Il film è ambientato in Georgia e ha come fulcro della storia il processo per omicidio nei confronti di un imputato, un uomo, la cui fidanzata è stata trovata morta in una scarpata adiacente la strada vicina al bar dove i due stavano prima e dove avevano avuto una discussione dinanzi a diversi testimoni. Tra i 12 componenti della giuria vi è il giurato numero 2 che nel sentire la ricostruzione dei fatti dall'avvocato dell'accusa ricorda che quella sera nel bar si trovava anche lui e che uscito per rientrare a casa dalla moglie incinta credeva di aver investito un cervo con la sua auto sotto una pioggia torrenziale. Da qui lo spettatore assiste alle varie fasi del processo penale americano spiegate in modo semplice e diretto da una pregevole sceneggiatura ed una mirata regia del maestro Clint Eastwood con le argomentazioni dei 2 avvocati (accusa e difesa) circa le presunte prove di colpevolezza o innocenza e le testimonianze del medico legale e di chi ha visto qualcosa quella sera al bar e lungo la strada.
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Il film è ambientato in Georgia e ha come fulcro della storia il processo per omicidio nei confronti di un imputato, un uomo, la cui fidanzata è stata trovata morta in una scarpata adiacente la strada vicina al bar dove i due stavano prima e dove avevano avuto una discussione dinanzi a diversi testimoni. Tra i 12 componenti della giuria vi è il giurato numero 2 che nel sentire la ricostruzione dei fatti dall'avvocato dell'accusa ricorda che quella sera nel bar si trovava anche lui e che uscito per rientrare a casa dalla moglie incinta credeva di aver investito un cervo con la sua auto sotto una pioggia torrenziale. Da qui lo spettatore assiste alle varie fasi del processo penale americano spiegate in modo semplice e diretto da una pregevole sceneggiatura ed una mirata regia del maestro Clint Eastwood con le argomentazioni dei 2 avvocati (accusa e difesa) circa le presunte prove di colpevolezza o innocenza e le testimonianze del medico legale e di chi ha visto qualcosa quella sera al bar e lungo la strada. Inoltre ci si immerge nella stanza dei giurati che prima in modo un po' frettoloso e superficiale sono convinti della colpevolezza dell'imputato per poi pian piano avere dei dubbi su quanto realmente sia accaduto. Il regista, con un attento utilizzo di diversi flashback, pone al centro della vicenda giuridica comunque il giurato numero 2 che è eroso dal senso di colpa per la sua condotta la sera al bar e su quale cosa sia giusto fare durante il processo. Grazie ad una ottima interpretazione di tutto il cast di attori, ad una eccezionale fotografia e ad una azzeccata colonna sonora, il film mantiene la tensione viva per tutta la sua durata fino al finale aperto alla immaginazione dello spettatore. Sicuramente un bel film da vedere al cinema. Voto: 8/10.
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amgiad
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martedì 31 dicembre 2024
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eastwood ci mancher
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Pagato il tributo a Lumet, Eastwood introduce un ulteriore elemento destabilizzante. Ferme restando le considerazioni sulla qualità delle persone che vengono prescelte per far parte di una giuria, per la maggior parte con poca voglia di valutare gli elementi processuali ma soprattutto esse risultano interessate a chiudere il giudizio velocemente. La necessità principale è poter tornare presto alle proprie occupazioni o ai propri affari, il regista ci mostra che il responsabile dell' accaduto non è seduto dietro il banco della difesa ma al tavolo della giuria. Con questo artificio egli scava nelle nostre coscienze e ci chiede: cosa fareste al suo posto? Altro non dico perché dovete vederlo.
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Pagato il tributo a Lumet, Eastwood introduce un ulteriore elemento destabilizzante. Ferme restando le considerazioni sulla qualità delle persone che vengono prescelte per far parte di una giuria, per la maggior parte con poca voglia di valutare gli elementi processuali ma soprattutto esse risultano interessate a chiudere il giudizio velocemente. La necessità principale è poter tornare presto alle proprie occupazioni o ai propri affari, il regista ci mostra che il responsabile dell' accaduto non è seduto dietro il banco della difesa ma al tavolo della giuria. Con questo artificio egli scava nelle nostre coscienze e ci chiede: cosa fareste al suo posto? Altro non dico perché dovete vederlo. L' unica cosa che mi è meno piaciuta è la chiusura della vicenda. Capisco che è stato necessario perché negli Stati Uniti questo vogliono, ripercorrere il mito dei buoni che alla fine vincono sempre, ma senza la scena finale il pugno nello stomaco avrebbe fatto più male.
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pintaz
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giovedì 2 gennaio 2025
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la verita'' non e'' giustizia
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Dalla prima inquadratura, magnifica, si possono già intuire le “avvisaglie” sull’ultimo (davvero?) ennesimo capolavoro del vecchio Clint.
La Spada, la Bilancia e la Benda sugli occhi!
Themis, Dea della Giustizia, che si manifesterà varie volte durante il film, verrà sovrapposta, dopo il primo ciak, a una donna anch’essa con la benda sugli occhi.
Ci accorgiamo che staremo per assistere a una pellicola all’interno della medesima.
È la moglie di Justin Kemp (bravissimo Nicholas Hoult) in procinto di scoprire la cameretta del figlio, che nascerà a breve, che il marito ha allestito per farle una sorpresa.
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Dalla prima inquadratura, magnifica, si possono già intuire le “avvisaglie” sull’ultimo (davvero?) ennesimo capolavoro del vecchio Clint.
La Spada, la Bilancia e la Benda sugli occhi!
Themis, Dea della Giustizia, che si manifesterà varie volte durante il film, verrà sovrapposta, dopo il primo ciak, a una donna anch’essa con la benda sugli occhi.
Ci accorgiamo che staremo per assistere a una pellicola all’interno della medesima.
È la moglie di Justin Kemp (bravissimo Nicholas Hoult) in procinto di scoprire la cameretta del figlio, che nascerà a breve, che il marito ha allestito per farle una sorpresa. La caduta della fascia, successivamente, ci porterà a intravedere il punto di vista della consorte nei confronti dell’uomo amorevole con un passato di alcolista.
Una notte Kendall è stata trovata senza vita in un dirupo a lato di una strada. Della morte è accusato James, il fidanzato, con cui poco prima aveva avuto un violento litigio. Il destino di quest’ultimo dipende dal verdetto di 12 giurati.
Di colpo, il primo impatto, ricorda il film del 1957 “La parola ai Giurati”, pellicola in bianco e nero di Sidney Lumet. Solo per i cinefili, ricordo che la trama si discostava solo in parte. La morte di un uomo con il figlio accusato di esserne l'assassino. Il verdetto deve essere espresso all'unanimità, poiché se così non fosse porterebbe alla ripetizione del processo. I dodici giurati dall'aula del tribunale si dirigono verso la stanza in cui svolgeranno il proprio lavoro e dove, discutendo il caso, conosceranno la personalità l'uno dell'altro. All'inizio il raggiungimento della consonanza sembra semplice: per votazione esplicita 11 giurati si esprimono a favore della colpevolezza, mentre il giurato numero 8 vota per l'assoluzione, dichiarandosi in realtà dubbioso. Non solo per la cronaca, ricordiamo un giovanissimo Henry Fonda semplicemente inarrivabile. Da vedere.
Ritorniamo a noi.
“Giurato numero 2” è un continuo andirivieni sull’emotività del visibile e dell’invisibile. Cosa siamo disposti a vedere per non scoprire realtà inavvicinabili? Della Dea Themis, così come della moglie Allison, abbiamo già parlato con le rispettive bende sugli occhi. Anche il protagonista abbacinato dal temporale, il pubblico ministero Faith (eccezionale Toni Collette) accecata dalla carriera per non parlare del testimone chiave confuso dalla distanza indirizzato dalla polizia sull’unico indiziato. Tutti ciechi. Sembra un film a “rimpiattino” dove l’ottuso ottenebramento dei personaggi è talmente evidente da chiedersi, spudoratamente, cosa vogliano vedere davvero nei punti presumibilmente sfocati che Eastwood gli e ci mette davanti agli occhi.
Grazie ai flash-back durante il processo, si evidenzia che Justin è l’involontario criminale che ha ucciso la ragazza credendo, durante un diluvio notturno, di aver urtato un cervo. La propria innocenza termina lì. Sarà un susseguirsi di ritmi calzanti che porteranno il giurato numero 2 a cercare di allontanare gli indizi verso di sé e a ripulire la propria coscienza anche verso la moglie e il figlio appena nato.
Se la verità, a differenza della giustizia appare indimostrabile e il giudizio equivale tanto quanto un pregiudizio, come è possibile emettere una sentenza giusta? O solo una sentenza definitiva? Può esistere una etica al di fuori della coscienza morale, oppure a quella individuale di Dio?
Domande a cui i giurati, diventati 11 per la ricerca della verità di un ex poliziotto (non casuale), non inseguono in quanto più che la soluzione finale mirano al consenso personale come due fazioni in continua lotta fra loro.
Il bene e il male, il giusto e l’indebito, e, per ricordare il mentore di Clint Sergio Leone, il cattivo e il buono, insieme al brutto.
A novantaquattro anni Eastwood ha realizzato un film straordinario con cui fa necessariamente i conti con la propria coscienza riportandoci, con la sua cinematografia, a una riflessione molto personale sulla solitudine degli uomini con la ricerca ossessiva (ricordiamo Gran Torino) della verità che deve obbligatoriamente andare a braccetto alla giustizia, volte anche personale per ideologia.
Nel recensire un film penso sia un dovere non spoilerare il finale e non lo farò. Mi si consenta però una lieve divagazione sulla scena finale dove due sguardi si inchiodano l’uno con l’altro.
Non so se l’ho sentito solo io (una suggestione?) o se invece in un impercettibile sussurro di sottofondo ho potuto udire il carillon con cui il bimbo appena nato è intento al gioco. Inevitabilmente sono stato riportato ai dettagli che per alcuni registi sono tutto. Come ho accennato prima, il riferimento a Leone non mi appare così velato. Ogni oggetto in scena racconta in silenzio una parte della storia, o addirittura ne è la chiave dello svolgimento. Questo accadde anche in “Per Qualche Dollaro in Più”, un film nel quale un carillon segnava il confine tra la vita e la morte, una sinfonia malinconica contro l’ingiustizia di una scomoda verità. Eppure anche quella fiaba fu raccontata in maniera spietata e romantica, per un finale nel segno degli onesti così come nel “Giurato numero 2”.
Del resto, si dice che padre tempo operi in silenzio; la bilancia, in fondo, può pesare soltanto l’identico con l’identico…
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pippo
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domenica 8 dicembre 2024
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finale mancante e occasione sprecata
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"Giurato Numero 2" di Clint Eastwood ha generato opinioni contrastanti, in particolare per il suo finale aperto che lascia molte domande senza risposta. La trama segue Justin Kemp, un giurato che scopre di poter essere coinvolto nell'omicidio al centro del processo. Nonostante le premesse intriganti e un forte conflitto morale, il film non sfrutta appieno il suo potenziale, risultando meno incisivo rispetto alle migliori opere del regista.
Il finale è stato criticato per la sua ambiguità. Non chiarisce mai il grado di colpevolezza del protagonista né il destino delle sue azioni, lasciando lo spettatore con una sensazione di incompletezza. Molti si aspettavano un confronto più diretto con la verità e una risoluzione narrativa più soddisfacente.
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"Giurato Numero 2" di Clint Eastwood ha generato opinioni contrastanti, in particolare per il suo finale aperto che lascia molte domande senza risposta. La trama segue Justin Kemp, un giurato che scopre di poter essere coinvolto nell'omicidio al centro del processo. Nonostante le premesse intriganti e un forte conflitto morale, il film non sfrutta appieno il suo potenziale, risultando meno incisivo rispetto alle migliori opere del regista.
Il finale è stato criticato per la sua ambiguità. Non chiarisce mai il grado di colpevolezza del protagonista né il destino delle sue azioni, lasciando lo spettatore con una sensazione di incompletezza. Molti si aspettavano un confronto più diretto con la verità e una risoluzione narrativa più soddisfacente. Questa scelta stilistica, invece di arricchire il dramma, rischia di compromettere il coinvolgimento emotivo e di deludere chi cerca una conclusione più netta e significativa.
Nonostante le interpretazioni eccellenti di Nicholas Hoult e Toni Collette, il film manca di una tensione crescente e di una struttura narrativa pienamente appagante. La lentezza riflessiva tipica di Eastwood, invece di approfondire il conflitto morale del protagonista, sembra dissipare l'urgenza emotiva che avrebbe potuto caratterizzare la storia.
In sintesi, "Giurato Numero 2" offre spunti di riflessione interessanti, ma il finale poco chiaro e la narrazione priva di incisività lasciano nello spettatore un senso di incompiutezza che limita l'impatto complessivo dell'opera.
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luciano sibio
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venerdì 22 novembre 2024
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una vera noia
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Francamente stento a capire l'entusiamo generale difronte a questo film . Film che ricalca un format consueto e sfruttatissimo del cinema americano che oramai non entusiasma più di tanto. Una vera noia senza alcun dubbio con un protagonista lamentoso e patetico che non rende bene la sua lacerazione interiore. Ma si sa che il genere è una perla per una certa economicità di produzione. E Clint, detto ciò, vi aggiunge la sua proverbiale ruffianeria verso il publlico. Dipinge infatti, come tutti lì, un America in cui non viene messo nel mirino il funzionamento di una giustizia americana che non riesce a difendersi nel produrre sentenze ingiuste informate al concetto di giustizialismo,questo è un dettaglio.
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Francamente stento a capire l'entusiamo generale difronte a questo film . Film che ricalca un format consueto e sfruttatissimo del cinema americano che oramai non entusiasma più di tanto. Una vera noia senza alcun dubbio con un protagonista lamentoso e patetico che non rende bene la sua lacerazione interiore. Ma si sa che il genere è una perla per una certa economicità di produzione. E Clint, detto ciò, vi aggiunge la sua proverbiale ruffianeria verso il publlico. Dipinge infatti, come tutti lì, un America in cui non viene messo nel mirino il funzionamento di una giustizia americana che non riesce a difendersi nel produrre sentenze ingiuste informate al concetto di giustizialismo,questo è un dettaglio. Intanto, alla fine, da quelle parti, la giustizia vera in un modo o in un altro trionfa sempre.
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