“… all’improvviso la giungla è diventata tutta bianca, e gli animali della giungla, che non avevano mai visto la neve, hanno avuto paura e sono scappati lontano lontano.” dalla favola preferita da Carmen e Giada
Esuberante, spesso incontenibile. Sfacciata, manipolatrice, bugiarda fino a livelli patologici.
Ma anche fragile e vulnerabile, sincera nel suo disperato bisogno d’amore. Visceralmente vera.
Carmen è tutto questo, una donna con profonde ferite nell’anima e traumi infantili mai cicatrizzati.
La tempestosa relazione con Massimo, a cui si era aggrappata, è naufragata malamente, rivelandosi tossica e mandandole in frantumi il già precario equilibrio psichico.
Le è rimasta solo l’amatissima figlia Giada, la sua ragione di vita. Vuole essere la madre che lei non ha mai avuto. Deve riuscirci, è l’unico modo per dare un senso alla sua vita, l’unica possibilità di salvarsi.
Ma la realtà è amarissima, inaccettabile. Il giudice ha affidato Giada al padre, lei può vederla solo ogni due settimane, e l’assistente sociale paventa addirittura la perdita totale della patria podestà. Se Massimo sta cercando di rifarsi una vita, di ripartire con un’altra compagna, Carmen non riesce ad avere un rapporto equilibrato con nessuno. Come una tigre ferita, trascina tutte le persone che incontra - compresi gli spettatori - sull’orlo del precipizio del crollo psicologico, li porta all’esasperazione emotiva, dove realtà e delirio si confondono.
L’invenzione della neve, magnifica opera terza di Vittorio Moroni, riesce a cogliere l’essenza più intima della tragedia di una donna che sta perdendo anche l’ultimo motivo per cui vivere e trova l’unica via di fuga nell’immaginazione. L’intima verità che trasuda dalla storia mette a disagio lo spettatore, al quale è richiesta una partecipazione emotiva totale. Nei confronti della protagonista si passa spesso e rapidamente dall’empatia alla repulsione, dalla condiscendenza all’esasperazione. In cambio si percepisce il senso più profondo della sua sofferenza, quasi una cognizione di un dolore non nostro.
Magistrali, in questo senso, gli innesti con le visionarie scene di animazione di Gianluigi Toccafondo dove corpi marini fluttuanti si allungano e si trasformano, scandagliando gli abissi del male interiore di Carmen. Le espressioni dei loro volti alternano innocenza a tristezza, sguardi disperati diventano feroci.
Di fronte all’anima di Carmen così spietatamente messa a nudo, non c’è spazio per alcun giudizio, tantomeno di condanna, può esserci solo comprensione e rispetto.
Il film è suddiviso in sei lunghi piani-sequenza, girati con una febbrile camera a spalla e uno stile crudo e iperrealistico che ricorda quello dei fratelli Dardenne, dove inquadrature sghembe e occasionali sfocature non sono errori ma vanno colte come opportunità, come ha ben spiegato lo stesso regista. Ciascuna parte della storia diventa una sorta di quadro cinematografico in cui la protagonista interagisce con un personaggio chiave, ogni volta con un formato dell’immagine diverso, associato allo stato psicologico di Carmen. Così, il formato panoramico della casa al mare diviene ristretto e claustrofobico per le scene lisergiche girate nell’appartamento.
Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Giornate degli Autori, il film di Moroni dimostra che il cinema italiano è capace anche di uno sguardo nuovo e originale, fatto di percorsi autoriali inusuali e innovativi, con storie profonde e complesse come la vita vera.
Agli attori è stato chiesto di immergersi totalmente nei personaggi, di viverli e plasmarli con il proprio vissuto, rispettando l’essenza dell’eccellente sceneggiatura ma potendo anche andare oltre, aggiungendone verità.
Se tutti gli attori si sono dimostrati all’altezza con interpretazioni autentiche e credibili, quella di Elena Gigliotti con Carmen è una performance recitativa pazzesca. L’intensità della sua disperata vitalità raggiunge livelli che difficilmente si vedono nel cinema italiano. Istrionica ed esplosiva, ma con momenti di estrema dolcezza e fragilità. Sincera e smaccatamente falsa nello stesso tempo. E infatti non le crede nessuno, a parte i tanti animali che la osservano silenziosi, quasi con rispetto, forse perché ne colgono l’“animalità” che in Carmen è decisamente dominante.
Di fronte all’ineluttabile tragedia della realtà, si diceva, può salvarsi solo con l’immaginazione. Nel suo mondo le stelle possono diventare neve e mamma tigre può difendere il suo cucciolo dalle insidie della giungla. E nessuno potrà mai più dividere Carmen da Giada, che vivranno “per sempre felici nella giungla innevata.”
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