La pellicola è il quinto capitolo della mitica serie sull’archeologo più famoso del Cinema, e la chiude in bellezza.
Per la prima volta non c’è più Steven Spielberg alla regia, così come è assente George Lucas nell’ideazione e scrittura del soggetto, della storia (ma entrambi sono ancora i produttori esecutivi).
La coinvolgente e interessante sceneggiatura, scritta da Mangold insieme a Jez Butterworth, John-Henry Butterworth e David Koepp, è un esatto dosaggio di azione e introspezione.
Nonostante questo film esca 42 anni dopo “I predatori dell'arca perduta”, è ambientato nel 1969, 33 anni dopo la storia del 1936 e riprende le vicende 12 anni dopo “Il regno del teschio di cristallo”.
Si può ritenere un episodio migliore del precedente film del 2008, sebbene inferiore al primo e al terzo.
La regia di James Mangold funziona, è efficace, e non fa rimpiangere più di tanto Spielberg nell’infondere all’opera la giusta dose di passione, senso dello spettacolo e ironia, sulle note iconiche di John Williams.
Formalmente è impeccabile: lo stile mozzafiato delle sequenze – soprattutto quelle di inseguimento – si sposa bene col comparto tecnico-visivo di qualità (scenografia, fotografia, montaggio accurati; ma ottimi anche gli effetti speciali visivi che “ringiovaniscono” il protagonista).
L’ottantenne (ma in forma smagliante) Harrison Ford non risente del tempo che passa, anzi, col suo personaggio ci viaggia attraverso; mentre i suoi duetti con la figlioccia colorano il racconto di un'umanità fragile e imprevista (Indy stavolta è colto in una nuova prospettiva, quella malinconica e crepuscolare della parte finale della sua vita e del suo ritiro dalla vita accademica, ma anche quella che lo vede a disagio in un mondo che inizia a scorrere diversamente e in cui non sa se è pronto ad affrontare ancora un’ultima corsa).
Il resto del cast è tutto in parte (Mads Mikkelsen come villain è convincente. Phoebe Waller-Bridge riesce brillantemente ad interpretare Helena, rendendola scaltra e grintosa – con la sua autosufficienza, audacia e intraprendenza, porta un’eco del passato, riaccende l’entusiasmo per l’avventura e ridona nuova linfa a Indiana Jones. Infine, Ethann Isidore, che da il volto al giovanissimo Teddy, non può non far pensare al Ke Huy Quan presente in “Indiana Jones e il Tempio Maledetto”), e i loro personaggi mostrano una fragilità umana molto toccante (Sallah, interpretato da John Rhys-Davies, accompagnando Indy all’aeroporto, gli dice che gli manca svegliarsi ogni mattina chiedendosi quale avventura porterà la giornata).
Associata al tema dell’inevitabile passare degli anni è anche l’idea del “viaggio nel tempo” (non si possono cancellare i propri problemi cambiando il passato, ma si può sempre ricordare quel bene che una persona ha donato e ha vissuto…).
Il mistero archeologico legato alla macchina di Anticitera costruita da Archimede è davvero intrigante e da un senso anche all’ultima (?) avventura di un Indiana Jones che ha vissuto a lungo nel passato e ora deve riscoprire se stesso e l'importanza del presente.
A livello di costruzione narrativa e di messinscena forse latita di autentico e intenso fascino (senso di meraviglia, respiro epico e trovate originali), ma il film, che si muove tra nostalgia e vitalità, è comunque molto godibile e piacevole.
La pellicola è un’avventura avvincente ed emozionante, che, tra evocative atmosfere e grande spettacolo, buon ritmo e commozione finale, saluta con rispetto e affetto la saga. Voto: 7.50
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