jonnylogan
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domenica 22 gennaio 2023
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hard boiled transalpino
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Parigi. Anni ‘50. il cadavere di una giovane ragazza con numerose ferite con arma da taglio, viene ritrovato in un parco cittadino. Il caso viene affidato al commissario Maigret che prima di tutto dovrà riuscire a scoprire l’identità della vittima.
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Parigi. Anni ‘50. il cadavere di una giovane ragazza con numerose ferite con arma da taglio, viene ritrovato in un parco cittadino. Il caso viene affidato al commissario Maigret che prima di tutto dovrà riuscire a scoprire l’identità della vittima.
In una capitale francese lugubre e invernale si muove l’ennesima trasposizione cinematografica del personaggio creato negli anni ‘20 da Georges Simenon. A impersonarlo un Depadieu compassato e mai sopra le righe, distante da prove d’azione che in tal caso non servono, ma riflessivo come dev’essere il commissario ammirato in Italia con le fattezze di Gino Cervi. La Parigi dei primi anni ‘50 e il clima della Ville Lumière di metà ‘900 è ben ricostruito, merito della fotografia firmata da Yves Angelo e della scenografia di Loïc Chavanon. Il regista Patrice Leconte si limita a seguire la trama del romanzo Maigret e la giovane morta e a concedere la scena a un Depardieu che per la prima volta lavora con il regista nonostante si fossero lambiti più volte in precedenza. Regista che inizialmente aveva pensato a Daniel Auteuil come protagonista, prima che questi rinunciasse poco prima dell’inizio riprese.
Quindi non sapremo mai come sarebbe stato il Maigret di Auteuil ma è certo che il ‘panchinaro’ Depardieu riesce nell’impresa di incarnarlo come un anti eroe crepuscolare e malinconico, facendolo sembrare un personaggio decadente e uscito dalla penna di autori hard-boiled come Dashiell Hammett, più che da quella dell’autore Franco Belga. Il risultato finale è una splendida storia dark ambientata sulle rive della Senna in cui la parte investigativa sconfina velocemente nelle pieghe della vita privata del protagonista, fin dentro i confini domestici occupati dalla signora Maigret che con il marito conserva un ricordo che li può unire indissolubilmente alle vicende della giovane vittima.
Film quindi perfettamente riuscito se desiderate incontrare uno dei personaggi storici della letteratura gialla sia d’oltralpe che di sempre.
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eugenio
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sabato 21 gennaio 2023
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l’omaggio a simenon di leconte
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Ondivago, sapido di cinismo ma pregnante, capace di vivere grazie soprattutto al physique du role di Depardieu questo omaggio accorato di Patrice Leconte a Maigret. Un Maigret stanco, intristito, a tratti malato (a cui il dottore leva la pipa per una non meglio precisata malattia polmonare), ma vero. Un Maigret che beve vino bianco perché “il caso così come è iniziato, deve finire” e che di poche parole intuisce e ragione senza darlo a vedere. Un Maigret insomma, Maigret.
Caso oscuro, summa in realtà di tanti casi investigativi vagamente ispirati a "Maigret e la giovane morta", con al centro l’uccisione violenta di una giovane senza nome ritrovata in strada.
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Ondivago, sapido di cinismo ma pregnante, capace di vivere grazie soprattutto al physique du role di Depardieu questo omaggio accorato di Patrice Leconte a Maigret. Un Maigret stanco, intristito, a tratti malato (a cui il dottore leva la pipa per una non meglio precisata malattia polmonare), ma vero. Un Maigret che beve vino bianco perché “il caso così come è iniziato, deve finire” e che di poche parole intuisce e ragione senza darlo a vedere. Un Maigret insomma, Maigret.
Caso oscuro, summa in realtà di tanti casi investigativi vagamente ispirati a "Maigret e la giovane morta", con al centro l’uccisione violenta di una giovane senza nome ritrovata in strada. Caso “pretesto” per deviazioni di vario genere, non ultimo il contesto sociale di una metropoli oscura come Parigi, dalle molte ombre imborghesite dietro sfavillanti matrimoni d’essai ma nel quale oltre al cinismo pare sopravvivere quel delicato sentimento di affezione e solidarietà che caratterizza il corpulento commissario nel suo vagar appesantito tra i meandri della Senna.
L’ingombrante Depardieu occupa la macchina da presa nella cristalleria della fragilità umana, attento a non fare più danni di quanti non sia strettamente necessario fare, perché sa benissimo quanto sia difficile mettere assieme i cocci quando si va in pezzi. Un’esistenza spezzata come quella della ragazza senza nome, come quella di una figlia, sua, che non c'è più, e che è paventata nello specchio di un’altra giovane donna che il commissario incontrerà (per caso?) e che salverà riportandola al giusto nido.
Storia semplice, insomma, ma poco importa perché in questo Maigret non c’è la dolorosa caducità umana che caratterizza un Rocco Schiavone di Manzini. Non c’è mai un segno di intolleranza nei confronti delle istituzioni da lui rappresentate, mai la condanna giustizialista o moralista delle storture di una ricchezza che cerca di sotterrare sotto le gonne delle starlette o di puttane da quattro soldi tutto il suo marciume. No, c’è semplicemente la lucida accettazione unita all’amara consapevolezza della virtù umana, che pare dissolversi in una maturità mai goduta. E forse per questo ineluttabile.
Maigret è un film fatto di sguardi, ombre, e perché no, abbozzati sorrisi (come nello sketch della pipa), anomalo di questi tempi forieri alla grande produzione di massa odierna che si prende il gusto autorizzato di fare del bene, con la leggerezza di una burbera smorfia e nulla più.
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ralphscott
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domenica 16 ottobre 2022
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lui non giudica, osserva.
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L'umanità di Maigret incontra il gran mestiere di Depardieu, ispettore credibile, mai caricaturale, sensibile e protettivo, determinato, coinvolto come fosse un padre. La castrante madre di Aurore Clément é l'altra star della vicenda, indomita custode dei segreti di famiglia. Parigi anni '50 é raccontata senza facili nostalgie, con scene e fotografia privi di eccessi.
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maramaldo
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domenica 16 ottobre 2022
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ceci n''est pas un maigret
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La lezione di Magritte non aiuta. L'opera cinematografica frequenta già la falsificazione, parte spesso da idee confuse, prende partito viscerale. Meglio nel presente caso attenersi al criterio saggio e concreto di Paola Casella che ci vede tre "ispiratori". Direi la coabitazione coatta di tre anime diverse che non possono che becchettarsi, ciò che in politica suscita angosce ma che al film offre un discorso variegato e, soprattutto, lo affranca da manierismi e prevedibilità.
Patrice Leconte. Finge di rioccuparsene (sul Commissario aveva "già dato") ma se ne frega. Fa un film per conto suo. S'intrattiene in piacevoli morbosità, veste e traveste i suoi tipetti, immerge in uno sfumato onirico un accurato e mai lezioso vintage.
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La lezione di Magritte non aiuta. L'opera cinematografica frequenta già la falsificazione, parte spesso da idee confuse, prende partito viscerale. Meglio nel presente caso attenersi al criterio saggio e concreto di Paola Casella che ci vede tre "ispiratori". Direi la coabitazione coatta di tre anime diverse che non possono che becchettarsi, ciò che in politica suscita angosce ma che al film offre un discorso variegato e, soprattutto, lo affranca da manierismi e prevedibilità.
Patrice Leconte. Finge di rioccuparsene (sul Commissario aveva "già dato") ma se ne frega. Fa un film per conto suo. S'intrattiene in piacevoli morbosità, veste e traveste i suoi tipetti, immerge in uno sfumato onirico un accurato e mai lezioso vintage.
Simenon, inevitabile, affiora. Non si possono scansare le notazioni d'obbligo. L'inclinazione di Maigret per i nettari di Francia, per le sue pietanze (opinabile quel fricandò di lepre, omessa, in quanto oggi dieteticamente scorretta, la sua vera debolezza, il cassoulet). Ovviamente si dà spazio all'infantile libido orale e al dramma che deriva dall'astinenza, quella di succhiare una pipa.
La scelta del soggetto, "la giovane morta" dice di più. Dal film: nell'intrecciare al dito una ciocca di capelli si legge una vita, s'indovina il destino di chi, ingenua e speranzosa, si perde nella città tentacolare e pervertita. Così si "guarda", si fruga nel vissuto, nel sofferto del "mostruoso" romanziere il quale avrà pure ricavato qualche competenza da quelle vantate diecimila vittime del suo sopruso maschilista.
Dépardieu. Certo, fu lui a chiedere, a voler fare Maigret. Leconte lo ha accontetato, anzi lo ha fatto contento e gabbato. Effettua una specie di "sublimazione", un fatto che avviene in chimica, in fisica. Lo fa passare dall'ingombrante corporeità dell'obeso che si trascina stanco alla leggerezza di una silhouette o, meglio, di un'impalpabile sagoma nerastra. Per farlo svanire in una stradina deserta, nella dissolvenza di un ectoplasma.
Può finire un poliziesco così?
P.S. Doveroso ricordare che a Gérard vogliamo tutti bene. Senza malizia ma per puro intrattenimento accenno ad alcune sue peculiarità "umane". Proprietario di un ristorante di lusso, a Parigi, portava la sua congrega a mangiare alle Halles, Au Pied de Cochon. Bazzicò l'Islam. In una comparsa in TV fece un personaggio, quello sì eccessivo, che per una casuale assonanza gli fece conferire, solennemente, un passaporto di cui oggi non può menar vanto.
Renitenza al fisco. Abbracciatelo, "tiene un cuore italiano".
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cardclau
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sabato 15 ottobre 2022
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l''elaborazione di un lutto
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Il film di Patrice Leconte MAIGRET, tratto liberamente dal libro, che non ho letto, Maigret et la jeune morte, potrebbe fare un po’ arricciare il naso a quelli che a un “film policier” richiedono una serie di sfolgoranti di colpi di scena e un finale altrettanto a sorpresa. Che ovviamente a loro non sarebbe mai venuto a mente, per quanto si fossero sforzati. Niente di tutto questo. La lettura di Leconte è lo svolgimento di un apprendimento psicologico lungo un sentiero che può portare alla verità, e che possiamo condividere forse se in compagnia della pietas. Motivato in particolare da che? Penso che la chiave di lettura sia nella frase del suo vecchio conoscente di Vilnius, Kaplan, che gli dice: “quando hai perso un figlio, hai perso tutto, entri nel buio”.
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Il film di Patrice Leconte MAIGRET, tratto liberamente dal libro, che non ho letto, Maigret et la jeune morte, potrebbe fare un po’ arricciare il naso a quelli che a un “film policier” richiedono una serie di sfolgoranti di colpi di scena e un finale altrettanto a sorpresa. Che ovviamente a loro non sarebbe mai venuto a mente, per quanto si fossero sforzati. Niente di tutto questo. La lettura di Leconte è lo svolgimento di un apprendimento psicologico lungo un sentiero che può portare alla verità, e che possiamo condividere forse se in compagnia della pietas. Motivato in particolare da che? Penso che la chiave di lettura sia nella frase del suo vecchio conoscente di Vilnius, Kaplan, che gli dice: “quando hai perso un figlio, hai perso tutto, entri nel buio”. Veniamo a conoscenza che Maigret dovrebbe avere, temiamo avere avuto, una figlia, come la jeune morte, sui vent’anni, della quale non sappiamo altro ma ci troviamo di fronte a un Maigret per molti aspetti stanco, perfino nauseato, della vita, con una relazione maritale che si trascina in quella che sembra una routine impoverita, ma che penso sia l’elaborazione impossibile di un lutto fra i genitori. L’inchiesta il tentativo impossibile di riportarla in vita. E a questo punto socchiudiamo per un attimo la porta della vita di George Simenon. E Depardieu? È vero, più grassottello e con qualche anno di più, ma è ritornato ai fulgori del Cirano di Bergerac.
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marco
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domenica 2 ottobre 2022
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depresso e deprimente
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Ho messo due stelle solo per il rispetto che ho di Laconte e dei suoi film migliori, ma non è certo in questo film che lo si ritrova. Un film deludente, depresso e deprimente. Qui e là si intrevade forse l'intenzione di focalizzare stati d'animo compressi e taciuti, ma l'esito è sinceramente nullo. Depardieu inutilmente monocorde e noioso, la vicenda raccontata banalmente, la messa in scena scarsa e svogliata. Da rivedere il Laconte di "Lo strano caso di mr. Hire" sempra da Simenon dove il regista ha creato un film magistrale. Cercando di dimenticare questo triste e inutile Magrait.
[+] chi lo dice sa forse di esserlo?
(di adriana bianchin)
[ - ] chi lo dice sa forse di esserlo?
[+] non basta il pensiero
(di carli)
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flaw54
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domenica 25 settembre 2022
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insipido
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Film che non lascia niente: banale, insipido, incapace di restituire le atmosfere del libro e privo di una effettivo approfondimento dei personaggi che appaiono vere e proprie macchiette. Monocorde in maniera eccessiva il Maigret di Depardieu.
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lbavassano
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martedì 20 settembre 2022
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"maigret" di patrice leconte e gérard depardieu
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Doverosamente premesso che della fedeltà di un film al romanzo da cui è tratto, o cui si è ispirato, non me ne importa nulla, ed anzi, una pedissequa fedeltà, a mio parere, rende la trasposizione cinematografica puramente e semplicemente inutile, così come trovo stucchevole l'affermazione "mi ha deluso, non mi ha restituito le atmosfere del libro": le immagini di un film non potranno mai corrispondere a quelle che hanno evocato le parole del romanzo, che abbiamo proiettato sul nostro privato schermo mentale. Sono il frutto di scelte personali, al pari delle nostre, sono immagini compiute, a differenza delle nostre, con i loro limiti e la loro bellezza. Un film, come ogni lettura, come ogni interpretazione, è l'espressione di un punto di vista, ciò che conta è se tale punto di vista, se le inevitabili scelte compiute dal regista, hanno senso, o se viceversa risultano unicamente il frutto gratuito di una pretesa originalità autoriale, se arricchiscono la nostra comprensione dell'opera, rivelandone aspetti, potenzialità, che non avevamo preso in considerazione.
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Doverosamente premesso che della fedeltà di un film al romanzo da cui è tratto, o cui si è ispirato, non me ne importa nulla, ed anzi, una pedissequa fedeltà, a mio parere, rende la trasposizione cinematografica puramente e semplicemente inutile, così come trovo stucchevole l'affermazione "mi ha deluso, non mi ha restituito le atmosfere del libro": le immagini di un film non potranno mai corrispondere a quelle che hanno evocato le parole del romanzo, che abbiamo proiettato sul nostro privato schermo mentale. Sono il frutto di scelte personali, al pari delle nostre, sono immagini compiute, a differenza delle nostre, con i loro limiti e la loro bellezza. Un film, come ogni lettura, come ogni interpretazione, è l'espressione di un punto di vista, ciò che conta è se tale punto di vista, se le inevitabili scelte compiute dal regista, hanno senso, o se viceversa risultano unicamente il frutto gratuito di una pretesa originalità autoriale, se arricchiscono la nostra comprensione dell'opera, rivelandone aspetti, potenzialità, che non avevamo preso in considerazione. Su questo il "Maigret" di Leconte offre ampia materia di discussione, perché indubbiamente di libertà, regista e sceneggiatore, se ne prendono molte. A partire dal dettaglio, che dettaglio non è, del vestito della giovane morta, dal suo colore, dalla sua manifattura soprattutto, che da dozzinale si trasforma in alta moda, seppur di decenni invecchiata. Dall'eliminazione del personaggio di Lognon, tanto caro ai lettori simenoniani, ma che inevitabilmente avrebbe spostato il baricentro del film, a meno di ridurlo a macchietta, il che mi sarebbe dispiaciuto ben più. Dall'introduzione, dall'invenzione, di personaggi che nel romanzo non compaiono affatto, quello di Kaplan, prigioniero del proprio passato, dei propri fantasmi, che però mi ricorda le figure dei piccoli sarti ebrei che costellano l'opera di Simenon, dentro e fuori i Maigret (con buona pace di quei detrattori che lo vorrebbero antisemita). Quello di Betty soprattutto, che traduce il rapporto del Commissario con la giovane morta in un dialogo in presenza, ne esplicita il senso più intimo. Fino al radicale cambiamento delle modalità e delle motivazioni dell'omicidio, dell'identità stessa dell'assassino. "Tradimento" clamoroso, che però non falsifica il senso del romanzo, la banalità dell'evento, del male, ed anzi forse lo sottolinea maggiormente. Scelte radicali, ma ben motivate a mio parere, così come l'interpretazione di Gérard Depardieu, che rinuncia in questo film al gigioneggiare caratteristico di molte delle sue apparizioni più recenti, per donarci un Maigret stanco, un Maigret costretto a fare i conti con il trascorrere del tempo. Un Maigret che è quello degli ultimi romanzi. Il Commissario che sale faticosamente i tre gradini della Brasserie Dauphine, ad esempio, combattuto fra la voglia di bersi un aperitivo, un pernod, e i saggi consigli dell'amico Pardon ("Maigret perde le staffe"), o il Maigret che trova proprio in Pardon quel confidente di cui ha bisogno, per condividere i propri dubbi, i fallimenti della sua vocazione di “raddrizzatore dei destini”, in un lungo dopocena scandito dall'agonia, appunto, di un piccolo sarto ebreo ("Maigret si confida"). Un Maigret che vuole ad ogni costo scoprire l'identità della vittima, per donarle la sua comprensione, e che viceversa forse addirittura teme di scoprire l'assassino, l'orribile futilità delle sue motivazioni. Quella consapevolezza diversa che dona alla dolente umanità del Commissario una dimensione ancor più profonda. Quella che ha saputo magistralmente interpretare Gérard Depardieu. Perché questo è il film di Depardieu, è il Maigret di Depardieu.
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