fabio 3121
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domenica 16 maggio 2021
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cast sprecato per un film claustrofobico!
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il film è l'adattamento cinematografico dell'omonimo libro di AJ Finn e racconta la storia della psicologa infantile la dottoressa Anna Fox (Amy Adams) che soffre da circa un anno di ansia, attacchi di panico e agorafobia, disturbi che non le consentono di uscire e, pertanto, vive reclusa nel suo grande appartamento a più piani a New York lontana dal marito e dalla figlia. Anna trascorre le sue giornate fotocopia al computer, vedendo in televisione vecchi film e bevendo vino nonostante l'assunzione di diverse pillole prescrittegli dal suo collega psicologo che le fà sedute a domicilio. Nel sottoscala vive l'inquilino David, un giovane sbandato con piccoli precedenti penali.
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il film è l'adattamento cinematografico dell'omonimo libro di AJ Finn e racconta la storia della psicologa infantile la dottoressa Anna Fox (Amy Adams) che soffre da circa un anno di ansia, attacchi di panico e agorafobia, disturbi che non le consentono di uscire e, pertanto, vive reclusa nel suo grande appartamento a più piani a New York lontana dal marito e dalla figlia. Anna trascorre le sue giornate fotocopia al computer, vedendo in televisione vecchi film e bevendo vino nonostante l'assunzione di diverse pillole prescrittegli dal suo collega psicologo che le fà sedute a domicilio. Nel sottoscala vive l'inquilino David, un giovane sbandato con piccoli precedenti penali. Quando una nuova famiglia proveniente da Boston si trasferisce nell'edificio di fronte la casa di Anna, la donna dalla finestra inizia a osservare e spiare, anche con una macchina fotografica, i nuovi vicini, i Russell, una coppia formata da Alistair (Gary Oldman), Jane e dal figlio adolescente Ethan. Una sera Anna assiste ad un omicidio nell'appartamento dei Russell ma all'arrivo dei 2 detective questi ritengono che il fatto sia solo il frutto di una sua allucinazione. La pellicola è caratterizzata da una continua suspense e tensione che il regista nella prima parte riesce bene a trasmettere attraverso situazioni, rumori, musiche e soprattutto grazie ad una convincente interpretazione di Amy Adams. Purtroppo la sceneggiatura nella seconda parte del film presenta innumerevoli falle dando vita a tutta una serie di eventi inverosimili (che non scrivo per non svelare la trama) per giungere al colpo di scena finale la cui rappresentazione è a dir poco imbarazzante. In sostanza vedere 100 minuti tutti girati nell'appartamento della protagonista alla lunga stancano la visione rendendo il risultato complessivo alquanto claustrofobico. Le buone performance di Amy Adams nonchè di Gary Oldman e Julianne Moore - questi ultimi 2 relegati però a ruoli marginali - non bastano a sollevare le sorti di un film il cui sceneggiatore Tracy Letts (I segreti di Osage County), che si ritaglia un cameo nel ruolo del terapista di Anna, si è praticamente incartato creando un pasticcio a tratti grottesco. Infine, direi, passo indietro per il regista Joe Wright (Orgoglio e pregiudizio, Espiazione, L'ora più buia) che se è vero che omaggia in più di un'occasione i film di Alfred Hitchcok, il paragone con il maestro del cinema è assolutamente improponibile. Voto finale: 6/10.
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mae
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giovedì 3 giugno 2021
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open the window!
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Una scialba Amy Adams interpreta l'agorafobica Anna che vive sola e ha come unico passatempo quello di curiosare nella vita dei suoi vicini.
Anna "vive" guardando la vita che gli altri vivono attraverso le sue finestre, unici "passaggi" che attraversa.
Quando qualcuno aprirà quella "finestra" del suo passato che sembra aver dimenticato, Anna prenderà percezione di sé stessa.
Ma pazza e visionaria non è.
Quello che ha visto non è frutto della sua mente...
Amy Adams dà corpo e carattere a questo solitario personaggio che comincia anche a dubitare di quello che ha visto, salvo poi riemergere e riprendersi sé stessa.
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Una scialba Amy Adams interpreta l'agorafobica Anna che vive sola e ha come unico passatempo quello di curiosare nella vita dei suoi vicini.
Anna "vive" guardando la vita che gli altri vivono attraverso le sue finestre, unici "passaggi" che attraversa.
Quando qualcuno aprirà quella "finestra" del suo passato che sembra aver dimenticato, Anna prenderà percezione di sé stessa.
Ma pazza e visionaria non è.
Quello che ha visto non è frutto della sua mente...
Amy Adams dà corpo e carattere a questo solitario personaggio che comincia anche a dubitare di quello che ha visto, salvo poi riemergere e riprendersi sé stessa.
Buona anche l'interpretazione di Wyatt Russell, figlio di due grandi divi hollywoodiani Kurt Russell e Goldie Hawn.
Quello che non comprendo però è perché non dare spazio anche agli altri attori. Capisco che tutto ruota intorno ad Anna ma è davvero deludente sprecare il talento di Gary Oldman e Jennifer Jason Leigh.
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felicity
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lunedì 15 novembre 2021
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quando ciò che vediamo è reale?
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La donna alla finestra di Wright adatta un romanzo di evidente derivazione hitchcockiana, ma invece di soccombere al modello vi innesta un discorso sulla contemporaneità riaffermando la forza della messa in scena.
Come sempre nel cinema di qualità, anche qui ci si appella all’immagine. Quella d’apertura, a parte i fiocchi di neve su sfondo scuro che presto verranno spiegati, è quella di una stanza infestata da una luce in movimento, da subito irrequieta e respingente.
Quella di Anna è prima di tutto una storia di spettri. Nel terzo atto ne avremo conferma, ma già nella prima parte è evidente che qualcosa in quella casa è fuori fuoco, instabile, come il fermo immagine di James Stewart in pericolo che all’inizio appare sullo schermo del televisore.
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La donna alla finestra di Wright adatta un romanzo di evidente derivazione hitchcockiana, ma invece di soccombere al modello vi innesta un discorso sulla contemporaneità riaffermando la forza della messa in scena.
Come sempre nel cinema di qualità, anche qui ci si appella all’immagine. Quella d’apertura, a parte i fiocchi di neve su sfondo scuro che presto verranno spiegati, è quella di una stanza infestata da una luce in movimento, da subito irrequieta e respingente.
Quella di Anna è prima di tutto una storia di spettri. Nel terzo atto ne avremo conferma, ma già nella prima parte è evidente che qualcosa in quella casa è fuori fuoco, instabile, come il fermo immagine di James Stewart in pericolo che all’inizio appare sullo schermo del televisore.
Non sarebbe una ghost story ma i fantasmi ci sono eccome, imprigionati nella mente, nelle inquadrature e nelle parole. La sequenza d’apertura, quella in cui viene presentato l’ambiente, dimostra come per Wright fosse prioritario mostrare gli spazi della messa in scena, evidenziare e rammentare proprio quelle derivazioni su cui poggia il testo, annunciare e disinnescare la ricostruzione postuma del percorso cinefilo. Corpi, luce e cinema vengono così fotografati, digitalizzati, scannerizzati, ri(rap)presentati.
In questo senso, la casa di bambole sulla quale carrella la macchina da presa non è didascalica riformulazione in scala della realtà sensibile, ma appunto uno sprazzo di presentificazione per quella realtà bloccata nel tempo e nello spazio di un reiterato ritorno.
Il senso di colpa diventa per Anna una serratura, prende le forme di finestre e tende, video e schermi, perché non è più possibile stabilire la differenza e soprattutto la distanza fra le cose e la loro replica.
E comunque ciò si potrebbe dire del contemporaneo, se è vero che camminando per strada sembriamo avere tutti un ombrello che ci separa dal mondo esterno, chiusi come siamo nella bolla dei nostri contatti social. Esserci sempre e ovunque, rispondere a messaggi già letti, mummificare la comunicazione in un’eterna visualizzazione. Anna deve solo riuscire a superare quel che crede di sapere su di sé e sul ruolo che ricopre nella vicenda che sta vivendo. Smettere, ogni giorno, di rinascere sempre uguale sotto un lenzuolo bianco.
Ma è pur vero che quel lenzuolo è il cinema stesso, almeno nella sua formulazione tradizionale.
È il chroma key degli esterni in La donna che visse due volte (1958), il panno che copre i segreti in Occhi senza volto (1960) di Georges Franju. Inoltre, nel film di Wright c’è soprattutto molto delle prime opere di Roman Polanski: quell’idea tutta europea dell’assedio con la quale l’autore polacco esorcizzava il ricordo dell’occupazione nazista nelle allucinate violazioni di Repulsion (1965) – questa pellicola, in particolare, salta alla mente molto spesso durante la visione – e Rosemary’s Baby (1968). In questo delicato momento storico bisogna tornare ad esplorare le possibilità cinematografiche per attivare un anticorpo, un vaccino al virus della condivisione compulsiva e dell’annullamento dell’identità personale. Una paura ancestrale, archetipica quanto la solitudine, che però in tempi di pandemia risulta essere patologica. Se sapremo lasciarci alle spalle la pericolosa perfezione delle nostre stanze digitali, ritroveremo l’ambiguità del reale.
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