spione
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lunedì 3 aprile 2023
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"l''uomo è l''unico animale che ride"
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Ma quanto dev'essere piaciuta a Gabriele Salvatores l'opera teatrale omonima di Trevor Griffiths, visto che l'aveva già messa in scena, schierando il suo "dream team" di allora, prima al mitico Teatro dell'Elfo, nel 1985, e poi per il cinema, tre anni dopo, in "Kamikazen - Ultima notte a Milano"?
Questo mi sono chiesto quando ho visto che RAI3 programmava l'episodio numero tre della serie, a cui confesso di essermi avvicinato con discreta diffidenza.
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Ma quanto dev'essere piaciuta a Gabriele Salvatores l'opera teatrale omonima di Trevor Griffiths, visto che l'aveva già messa in scena, schierando il suo "dream team" di allora, prima al mitico Teatro dell'Elfo, nel 1985, e poi per il cinema, tre anni dopo, in "Kamikazen - Ultima notte a Milano"?
Questo mi sono chiesto quando ho visto che RAI3 programmava l'episodio numero tre della serie, a cui confesso di essermi avvicinato con discreta diffidenza. E invece mi sono dovuto ricredure. Esso ha il suo perché.
Innazitutto - rispetto al "fratello maggiore", che saggiamente non osa sfidare in campo aperto - conserva un sobrio impianto teatrale pur senza mai sfociare nella claustrofobia. Poi ripropone e valorizza il tema fondamentale della pièce originale: una riflessione non banale sul significato e il valore della comicità. L'annoso dibattito, insomma, su come essa debba proporsi al pubblico pagante. Sfrucugliarne con l'aggressività propria della "vis comica" le paure e i pregiudizi oppure blandirlo, assecondandone la voglia di evasione superficiale e rassicurazione? Provocazione o semplice intrattenimento? Lo "sgurz" riondiniano evocato nella folle corsa dei carrelli lungo il binario della stazione in "Kamikazen" o le battute di grana grossa di "Drive In" e "Colorado"? Lenny Bruce o Brignano e Pieraccioni?
Infine per la sapiente scelta degli attori. Sarebbe stato ovviamente scriteriato cercare di schierare una squadra in grado di competere con la meravigliosa generazione (ormai di settantenni o quasi - affiorano inevitabili magone e lacrimuccia) dei due primi episodi. Neanche gli emiri del Paris Saint Germain avrebbero potuto reclutare una squadra con Paolo Rossi, Claudio Bisio, Silvio Orlando, Antonio Catania, Gigio Alberti, per tacere dei numerosi camei. E allora Salvatores si affida a un cast di attori poco o pochissimo conosciuti (tranne Ale e Franz), che però "fanno il loro" in maniera convincente. Spicca uno strepitoso Giulio Pranno (il figlio "un po' disturbato" di Claudio Santamaria in "Tutto il mio folle amore"), che la critica Paola Casella definisce a ragione "un elfo postmoderno che racchiude in sé la rabbia di una generazione e la grazia panica del Puck shakespeariano". Parole a cui mi sento solo di aggiungere che sarebbe anche ora di dedicargli una pagina su Wikipedia.
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lizzy
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sabato 23 ottobre 2021
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essere o non essere...(un comico)
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Onestamente pensavo meglio.
Oddio, non che il grandissimo Balasso non faccia la sua porca figura, così come la sua (ipotetica) antitesi, Christian De Sica.
Entrambi da soli varrebbero la pellicola.
Ma quel che forse "funziona" in terra d'Albione qua ha poca terra per attecchire.
Forse certe atmosfere, certi accorgimenti, certe situazioni e certi dialgoghi sono troppo "british" e poco si adattano al nostro Bel Paese.
All'inizio poi avevo anche pensato ad una svolta interessante: appena entrato in scena "L'Indiano" ho pensato "Questo è il vero talent scout che, recitando questa parte, vuol mettere alla prova gli aspiranti comici per vederli come realmente sono e non sul palco.
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Onestamente pensavo meglio.
Oddio, non che il grandissimo Balasso non faccia la sua porca figura, così come la sua (ipotetica) antitesi, Christian De Sica.
Entrambi da soli varrebbero la pellicola.
Ma quel che forse "funziona" in terra d'Albione qua ha poca terra per attecchire.
Forse certe atmosfere, certi accorgimenti, certe situazioni e certi dialgoghi sono troppo "british" e poco si adattano al nostro Bel Paese.
All'inizio poi avevo anche pensato ad una svolta interessante: appena entrato in scena "L'Indiano" ho pensato "Questo è il vero talent scout che, recitando questa parte, vuol mettere alla prova gli aspiranti comici per vederli come realmente sono e non sul palco.
Ma, ovviamente, il film è andato come è andato e l'Indiano, che "non ha fatto l'indiano", forse alla fine, come il Balasso/Barni ha suggerito consigliandogli l'iscrizione al futuro corso, era proprio lui il migliore della ghenga.
Magari in questo senso il film avrebbe potuto avere una svolta interessante (intendo con l'indiano/talent scout), ma nella sua semplice brevità... non mi ha provocato nessun sobbalzo di interesse.
E i circa 100 minuti di durata son passati via, lentamente e (quasi del tutto) noiosamente, con la promessa non mantenuta di qualcosa di valido.
E a parte un paio di battute realmente non ho riso mai.
Tra l'altro il tutto era molto raffazzonata, come la barzelletta "molto ristretta" del tipo con il figlio nato handicappato...Ne mancava mezz'ora!
E come questa barzelletta ho trovato il film: monco e con un finale non realmente apprezzabile a causa di molte mancanze narrative (tipo la mancata conoscenza della vita dei vari personaggi, vita solo suggerita, abbozzata, ma mai realmente approfondita).
Mii è quindi piaciuto questo film?
"NI" è la parola giusta.
Certo se esso lo si fosse stato interamente pubblicato in un grintoso bianco e nero possibilmente ne avrebbe tratto gran giovamento...
P.S. Il personaggio del Pranno poi è veramente ingiudicabile per quanto è presupponente e fuori strada...
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eugenio
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giovedì 7 ottobre 2021
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il ruolo del comico oggi
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Tornare all’atmosfera, all’essenza di una piece di Trevor Griffiths, portata in scena all’Elfo Puccini negli anni ottanta, tradotta in una commedia surreale, Kamikazen - Ultima notte a Milano suona di malinconica saudade per Gabriele Salvatores. Eppure Comedians, la nuova fatica del cineasta, nelle sue livide ambientazioni notturne, ai bordi di strade costellate da emarginati che cercano nella vis comica, un’apertura al bramato successo, frustrato nelle loro quotidiane attività lavorative, ben si discosta da quella celebre commedia della “Milano da bere”. Incorniciato da belle canzoni di Tom Waits, Comedians costituisce una rarità nel cinema italiano, ponendosi come confronto dialettico sulla filosofia della comicità, un’arte difficile da padroneggiare oggigiorno senza scadere nel grottesco o, peggio ancora, nel volgar eloquio, di cui molte trasmissioni trash, hanno fatto regolar partito di bandiera.
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Tornare all’atmosfera, all’essenza di una piece di Trevor Griffiths, portata in scena all’Elfo Puccini negli anni ottanta, tradotta in una commedia surreale, Kamikazen - Ultima notte a Milano suona di malinconica saudade per Gabriele Salvatores. Eppure Comedians, la nuova fatica del cineasta, nelle sue livide ambientazioni notturne, ai bordi di strade costellate da emarginati che cercano nella vis comica, un’apertura al bramato successo, frustrato nelle loro quotidiane attività lavorative, ben si discosta da quella celebre commedia della “Milano da bere”. Incorniciato da belle canzoni di Tom Waits, Comedians costituisce una rarità nel cinema italiano, ponendosi come confronto dialettico sulla filosofia della comicità, un’arte difficile da padroneggiare oggigiorno senza scadere nel grottesco o, peggio ancora, nel volgar eloquio, di cui molte trasmissioni trash, hanno fatto regolar partito di bandiera. In un dramma a porte chiuse quasi ibseniano, dove gli esterni sono semplici “comparse” funzionali alla tensione generativa dei protagonisti coinvolti, Salvatores tramite i suoi alter-ego, dalle antitetiche personalità: uno straordinario Eddi Barni (Natalino Balasso), il maestro che cerca di insegnare l'etica della comicità ai suoi scalcagnati studenti, e Bernardo Celli (il caciaro Christian De Sica), suo ex partner mercificato alla tv generalista, riflette amaramente su cosa significhi oggi “far ridere”. E lo fa in un film “a tesi” volutamente teatrale, dove il gruppo di volenterosi stand up comedians con nomi del calibro di Ale & Franz, Walter Leonardi, Vincenzo Zampa, Marco Bonadei e Giulio Pranno, di cui uno solo, al termine del saggio, sarà selezionato appunto dall’agenzia di Celli per un “inizio” nel difficile mondo dello spettacolo, mostrano le loro idiosincrasie, le loro fragilità, le loro conflittualità anche e soprattutto durante la messa-in scena, il contrasto sempre eterno su cosa si debba dire per far ridere. Ovvero, se svelare le storture del mondo, ridendoci su ma assestando violenti pugni allo stomaco dello spettatore (come fa il clown “triste” interpretato da Pranno) o avvalersi delle “classiche” e perché no, longeve, battute sessiste, per garantirsi un facile successo popolare.Comedians, in fondo è “solo” questo: un ensemble di variegata umanità, di traiettorie dialettiche che spesso deviano dalla via maestra in maniera imperfetta, ma capace, come nel bellissimo finale tra Pranno e Balasso, due identità quasi figlie del medesimo passato, di descriverci uno spaccato di grandissima attualità del mondo odierno, dove tutto è abbondantemente esacerbato da politiche social pronte a incentivare l’azione di ognuno, privandola dell’essenza umana e immalinconendola inevitabilmente. Nella vacua ricerca di un riscatto, perché no, anche contro i propri principi morali, scegliendo forse la via più facile e meno virtuosa, di una luce della ribalta, sempre più effimero baluginio.
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carlo
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sabato 7 agosto 2021
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il cinema che vorrei
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Una altissima qualità di realizzazione, un genio dietro la macchina da presa e una storia che amaramente apre a diverse interpretazioni. Non ci sono punti di forza in questa pellicola, non ci sono picchi realizzativi ma una media altissima. Gli attori sono diretti magistralmente e la coralità, gestita con maestria, diventa un unicum narrativo nel quale diventa impossibile scindere gli interpreti. Un film da vedere, digerire, rivedere e riflettere sul messaggio universale per combattere il futile presente impostoci da una società sconvolta dalla indifferenza e dalla mediocrità.
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maramaldo
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giovedì 17 giugno 2021
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ridi, pagliaccio
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Ne tenga conto l'aspirante buffone. Niente di più debilitante della vis comica che il ripiegarsi su su stessi, prendersi sul serio o, peggio, pensare che si abbia qualcosa da dire. Salvatores su questi drammi deve aver riflettuto a lungo, forse prima di scoprire Trevor Griffiths.
Nel piccolo deserto dell'ispirazione, profittando dell'economicità indotta dal riposo delle maestranze durante la pandemia, ha diretto con scioltezza un gruppetto di guitti, di corto e di lungo corso. All'altezza del compito tutti, per brevità mi soffermo su alcuni.
Quella specie di clown postmoderno, lo Zappa (Giulio Pranno), torna utile: colora, movimenta una rappresentazione che altrimenti avrebbe avuto soltanto la palla al piede della verbosità della recità di palcoscenico.
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Ne tenga conto l'aspirante buffone. Niente di più debilitante della vis comica che il ripiegarsi su su stessi, prendersi sul serio o, peggio, pensare che si abbia qualcosa da dire. Salvatores su questi drammi deve aver riflettuto a lungo, forse prima di scoprire Trevor Griffiths.
Nel piccolo deserto dell'ispirazione, profittando dell'economicità indotta dal riposo delle maestranze durante la pandemia, ha diretto con scioltezza un gruppetto di guitti, di corto e di lungo corso. All'altezza del compito tutti, per brevità mi soffermo su alcuni.
Quella specie di clown postmoderno, lo Zappa (Giulio Pranno), torna utile: colora, movimenta una rappresentazione che altrimenti avrebbe avuto soltanto la palla al piede della verbosità della recità di palcoscenico. Pur agitandosi di più, è quello che dice di meno.
Christian De Sica, per rilisciargli il pelo, aspettate. Qui, padrone e solido, quasi irriconoscibile.
Con Ale e Franz m'intenerisco. Ho un debito di riconoscenza. Benedetti, quando finalmente compaiono nell'ineluttabile liturgia domenicale.
Lavoro più che decoroso. Non ho perso battuta, gesto, ghigno. Ho pure badato alla scenografia, dal vero, quindi squallida, eppure emblematica: per imparare a fare i comici bisogna andare ad una "dura scuola".
Sono stato insolitamente attento, concentrato. Sapete perchè? Mi sono trovato ad essere l'unico spettatore, sperduto in una vallata di poltroncine vuote. Mi è già accaduto e debbo dire che con certi horror la faccenda mi è risultata un po', come dire, inquietante. Soggiaccio alla suggestione dello schermo. Sul momento, magari dopo ci ripenso. Stavolta si trattava di un'opera di un certo respiro intellettuale, ricco di spunti e di riflessioni. Mi sono adeguato.
Non tutti i lockdown vengono per nuocere.
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neverhood
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giovedì 17 giugno 2021
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un noioso nonsense efficace forse solo a teatro
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Purtroppo non riesco a salvare nulla di questa pellicola, che fa acqua da tutti parti.
Un interminabile vagare non si capisce per dove, a quale scopo, con quale fine, che provoca solo una sensazione di noia mista in certi momenti a irritazione.
Attori tutti da dimenticare, partendo da Balasso che pare spento, innaturale, imbrigliato, e finendo con Giulio Pranno, veramente imbarazzante (il monologo del clown credo sia una delle scene più insensate, fastidiose e brutte mai viste prima).
Paradossalmente l'unico che si salva è De Sica, che in questa marginale parte dà vita ad un personaggio credibile, cinico il giusto, pungente ed efficace.
Non capisco come Salvatores possa aver sfornato una mostruosità simile.
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giovedì 17 giugno 2021
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ma ha visto il film?
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perchè quando leggo "cast eccellente", "messinscena elegante e raffinata", "riflessione intellettuale e bella prova attoriale" mi vengono forti dubbi...
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mauridal
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mercoledì 16 giugno 2021
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un comico solo, non fa ridere.
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Il film scritto e diretto da Salvatores ,è la trasposizione a cinema di un pezzo teatrale inglese del drammaturgo Trevor Griffiths, che non parla di comicità ,anzi è la storia di sei persone che da dilettanti vorrebbero diventare attori comici seguendo un corso serale di un vecchio attore in pensione. Il tutto per cambiare mestiere poiché i sei personaggi sono operai, lavoratori precari, insomma gente umile ai limiti della sopravvivenza, con il sogno dell’arte e del riscatto. Questo in sintesi il testo teatrale che rimane integralmente nel film.
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Il film scritto e diretto da Salvatores ,è la trasposizione a cinema di un pezzo teatrale inglese del drammaturgo Trevor Griffiths, che non parla di comicità ,anzi è la storia di sei persone che da dilettanti vorrebbero diventare attori comici seguendo un corso serale di un vecchio attore in pensione. Il tutto per cambiare mestiere poiché i sei personaggi sono operai, lavoratori precari, insomma gente umile ai limiti della sopravvivenza, con il sogno dell’arte e del riscatto. Questo in sintesi il testo teatrale che rimane integralmente nel film. La questione che il film vuole proporre è se il comico o la comicità ha un senso come attività artistica , oppure è solo un mestiere e quindi commerciale senza altre pretese .Ora poiché Salvatores che noi conosciamo come un regista autore di film impegnati nelle tematiche sia sociali che umane, ha deciso di fare il film per riaffermare attraverso i personaggi e le loro storie, che i comici, e la comicità possono avere una funzione utile alla società per tutti quelli che da pubblico seguono e pure si divertono alle loro esibizioni , a teatro ma più facilmente in televisione.Dunque una questione che potrebbe sembrare scontata solo per il fatto che “ là fuori la vita è difficile allora facciamoci una bella risata” come recita in una battuta uno dei personaggi. Intanto allora , perché questo film proprio ora che non è una situazione affatto comica. Il film non è
comico , anzi al limite neanche un film divertente , solo molto parlato nei fitti monologhi dei personaggi , tutti ottimi attori , che cercano di rivolgersi ad un pubblico che forse a teatro c’è , e funziona , ma a cinema, nemmeno un poco. Dunque , viene da chiedersi , questo film, perché forza così tanto la mano allo spettatore di cinema, già tanto privato e indebolito di cinema, per tanti mesi . Provo a riflettere allora sulle figure di comici più popolari che negli ultimi tempi hanno invaso gli schermi intendo della televisione. Salta alla mente uno che del comico e della comicità ne ha fatto un’arma politica addirittura imponendosi agli italiani con le proprie battute e paradossi , il comico Beppe Grillo, che fonda un movimento politico premiato con milioni di voti alle elezioni , dagli italiani. Un comico al servizio della società uno che dalla comicità è passato all’attacco del sistema sociale, quasi rivoluzionario, con molti seguaci e tanti elettori. Dopo tutto perché un comico o i comici non possono conquistare il potere, perché pensano solo a far ridere ? Tuttavia il film propone una risposta , il comico deve fare ridere senza fare il filosofo .Tutto il resto è un accidente della Storia e una risata seppellirà tutto. (Mauridal)
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cira
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lunedì 14 giugno 2021
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noioso
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Il film non riesce a essere credibile, purtroppo. I personaggi e i loro drammi non sono credibili. L'impianto teatrale - che non è un difetto di per sé - qui però imbriglia in un procedere lento e posticcio tutto il film. Gli attori eccessivamente impostati, soprattutto il giovane clown punk. Le due comicità messe a confronto non fanno ridere e soprattutto sono datate. La riflessione "filosofica" sulla comicità è l'unica cosa interessante ma è veramente troppo poco. Dispiace. Abbiamo smaniato sulla poltrona. Noia.
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