sergio dal maso
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giovedì 22 agosto 2019
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la paranza dei bambini
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“Ai morti colpevoli. Alla loro innocenza.”
Tyson, Briatò, Lollipop, Biscottino, O'Russ. Soprannomi di ragazzini.
Adolescenti ingenui e pieni di vita. Ma anche cinici e spregiudicati camorristi in erba. Apparentemente una contraddizione. Del resto con paranza si può intendere sia un gruppo di fuoco di una cosca criminale che la tecnica di pesca in cui i pesci piccoli, attratti dall’intensità della luce delle lampare, salgono in superficie e si impigliano nella rete. Colpevoli e innocenti nello stesso tempo, come annota Roberto Saviano nell’apertura dell’omonimo romanzo.
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“Ai morti colpevoli. Alla loro innocenza.”
Tyson, Briatò, Lollipop, Biscottino, O'Russ. Soprannomi di ragazzini.
Adolescenti ingenui e pieni di vita. Ma anche cinici e spregiudicati camorristi in erba. Apparentemente una contraddizione. Del resto con paranza si può intendere sia un gruppo di fuoco di una cosca criminale che la tecnica di pesca in cui i pesci piccoli, attratti dall’intensità della luce delle lampare, salgono in superficie e si impigliano nella rete. Colpevoli e innocenti nello stesso tempo, come annota Roberto Saviano nell’apertura dell’omonimo romanzo.
I ragazzini che si affiliano o lavorano per la camorra, talvolta si tratta di bambini di 10-12 anni, sono prima di tutto delle vittime, a prescindere dalla responsabilità penale.
Il mondo di Nicola e della sua banda gira attorno agli stretti vicoli del rione Sanità, circoscritto da un atavico sistema di potere in cui le famiglie camorriste dei vari quartieri controllano, oltre alle attività criminali, anche quelle legali, o perlomeno ne sono contigue, in un sistemasociale che di fatto è un anti-Stato.
I paranzinidei quartieri disagiati di Napoli, ma in generale gli adolescenti emarginati delle periferie povere di qualsiasi parte del mondo, crescono senza valori etici, senza un’educazione civica. Nel film l’assenza più evidente, oltre a quella delle istituzioni, è quella dei padri, spesso in galera o morti ammazzati. Questo vuoto educativo è facilmente colmato dal fascino del “branco”, dal culto delle armi e dell’organizzazione criminale, col suo sistema di valori in cui l’onore e la sopraffazione guidano tutto il resto.
Se non c’è futuro, o quanto meno non è percepita alcuna speranza di una vita migliore, si vive il presente a mille all’ora, e bisogna prenderlo subito, ostentarlo in tutti i modi. Ecco allora l’esaltazione dei vestiti firmati, del lusso pacchiano, come i mobili barocchi che Nicola regala alla madre. O la necessità di legittimarsi in discoteca esibendosi come privilegiati nel privè.
Non è un caso che il passaggio al mondo degli adulti, in una delle scene più intese e riuscite del film, avvenga con un rito iniziatico quasi tribale, bruciando l’albero di Natale appena rubato e spalmandosi del sanguinaccio in faccia e sul corpo.
La paranza dei bambini racconta l’educazione sentimentale e quella criminale dei giovani camorristi, in un percorso irreversibile che conduce inevitabilmente alla perdita dell’innocenza.
Claudio Giovannesi, senza dubbio uno dei migliori registi degli anni duemila, conferma la sua straordinaria capacità di raccontare gli adolescenti, senza retorica né pietismo, già ammirata in Fiore e Alì ha gli occhi azzurri. Non cerca letture pedagogiche o sociologiche, si limita a trasmettere l’umanità e il percorso emotivo dei “suoi” ragazzi. C’è una grande attenzione agli sguardi, alle espressioni del viso. La camera è spesso incollata ai volti, ma sempre con discrezione, senza essere invadente o sfacciata. Riduce così, fino ad annullare, la distanza tra lo spettatore e i personaggi, facendoci vivere la loro crescita emozionale. E’ proprio questa la peculiarità che contraddistingue le (splendide) opere di Giovannesi.
Il confronto con la serie Gomorra – di cui peraltro il regista ha diretto alcuni episodi - non si pone nemmeno, avendo scelto in partenza di non dare spazio all’estetica criminale o all’immaginario epico delle rappresentazioni televisive della Camorra. Nellaparanza dei bambini non ci sono agguati spettacolari, né eroismi, tantomeno violenza gratuita.
Il lavoro enorme e paziente del casting, che ha visionato 4000 ragazzi direttamente nei quartieri napoletani, ha permesso di scovare un gruppo di giovani esordienti davvero sorprendente. Su tutti Francesco Di Napoli, nella vita pasticcere nel rione Traiano, assolutamente credibile, oltre che bravissimo, col suo sguardo duro e angelico nello stesso tempo.
L’aver girato le scene nella sequenza cronologica e senza far conoscere ai ragazzi la trama dei giorni successivi, il ritmo serrato, una fotografia capace di esaltare le variazioni di luce nelle scenografie naturali dei vicoli, contribuiscono a dare al film un senso di autenticità, quasi da neo-realismo.
Fin dalle prime scene si percepisce che i sogni di Nicola si riveleranno velleitari, pure illusioni, a cominciare da quello di una camorra “giusta”. La scelta criminale non prevede ripensamenti, è una strada senza ritorno che richiede il sacrificio dei sentimenti, a partire dall’amicizia.
Il significato di paranza più appropriato sarà alla fine quello dei pesci piccoli impigliati nelle reti, “strozzati dall’aria, con le bocche che si schiudono in piccoli cerchi disperati e le branchie che collassano e sembrano vesciche aperte. La corsa verso la luce è finita.”
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cinefoglio
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giovedì 14 febbraio 2019
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istantanea de la paranza dei bambini
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Un film potente nel suo inizio, inebriante nello svolgimento e drammaticamente conflittuale nel suo finale. Un’opera in grado, non solo di raccontare un’adolescenza irrazionale e priva di alternative, ma di renderci partecipi, in tutto il suo processo, dalla lotta all’affermazione, ad una dolorosa ed inevitabile caduta.
Claudio Giovannesi, dopo la clandestinità di Fiore (2016), ci porta per le strade di una Napoli contemporanea e conquistata dalle nuove tendenze, ma ancorata, tuttavia, ad un insieme di immagini arcaiche, stantie e devozionali. Una città nella quale, seppur conoscendo tutte le vie e le scorciatoie, ci si rimane intrappolati, ingabbiati.
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Un film potente nel suo inizio, inebriante nello svolgimento e drammaticamente conflittuale nel suo finale. Un’opera in grado, non solo di raccontare un’adolescenza irrazionale e priva di alternative, ma di renderci partecipi, in tutto il suo processo, dalla lotta all’affermazione, ad una dolorosa ed inevitabile caduta.
Claudio Giovannesi, dopo la clandestinità di Fiore (2016), ci porta per le strade di una Napoli contemporanea e conquistata dalle nuove tendenze, ma ancorata, tuttavia, ad un insieme di immagini arcaiche, stantie e devozionali. Una città nella quale, seppur conoscendo tutte le vie e le scorciatoie, ci si rimane intrappolati, ingabbiati. Un’architettura urbana che ben presto si lega, indissolubilmente, alla privazione di una vera libertà, nei vicoli e nelle piazze dove le gang di adolescenti, con in braccio pistole e fucili, perpetuano e perseverano la condotta dei propri padri: «kings della strada» di un quartiere senza vie d’uscita.
La pellicola eredita (data la genesi della sua scrittura), elementi narrativi dal suo cugino Gomorra (2008), la parlata vernacolare ed il protagonismo adolescenziale (Indivisibili, 2016), tutti tesi alla costruzione di un’opera artistica non solo ben fatta, ma in grado di penetrare nella coscienza dello spettatore, stimolarne il senso critico ed empatizzare con la violenza.
Estetica e contenuto capaci di far volare il film al Festival di Berlino, come opera di riflessione e di attenzione su di una tematica, purché attuale, confinata (come la «caverna del ritrovo») nel buio della sensibilità popolare e dell’indifferenza.
La storia, sebbene molto articolata, riesce a crescere robusta sui suoi cento minuti, toccando i nodi essenziali della formazione del clan, del prestigio, del rapporto con i «grandi» del sistema dell’estorsione e dello spaccio. In un cristallo di valori del lusso dei capi firmati e dell’ostento di mobili, arredamenti ed accessori, le leggi della sopravvivenza sono «faticà», non importa come e per chi.
La sequela delle azioni di Nicola, interpretato da Francesco di Napoli (che è il centro della narrazione), passando da fazione a fazione, riuscirà, per la sua banda, a conquistare l’attico, figurato, della discoteca, portando il suo quartiere Sanità a primeggiare sugli altri, che li ammirano da più in basso, fomentandone l’orgoglio spezzato.
Il prestigio, però, ha un prezzo, che verrà pagato inaspettatamente (anche se la morale della raccolta del proprio seminato, ci è d’antifona), con ciò che si ha di più caro e prezioso, altezzosamente allontanato, privato delle cure necessarie.
In un insieme di eventi tanto numerosi e complessi, l’autore riesce abilmente a dare spazio a tutte le voci, le rivendicazioni ed i punti di vista, tacendo, negli sguardi, quelle parole che non si ha la forza di pronunciare, per debolezza o per paura.
Un lungometraggio necessario nella nostra attualità, accompagnato da un cast inedito e ben assortito, da un’estetica luminosa che ci fa godere una capitale partenopea notturna sensazionale, ed una cura nei dettagli scenici (basti pensare all’uso variato dei motorini) quasi commovente, oltre al trasporto tonale sensibile, nell’amore adolescenziale grottesco ed annichilante, nel mostrare le radici simboliche criminali e la violenza, reale e subita.
13/02/2019
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loland10
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domenica 24 febbraio 2019
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paraventi docili
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“La paranza dei bambini”(2019) è il quarto lungometraggio del regista romano Claudio Giovannesi.
Fresco premio alla sceneggiatura al ‘Festival di Berlino’, il film ha un suo vigore narrativo e un suo aggrovigliamento facciale nei volti candidi-virgulti di adolescenti adulti.
La custodia di un cinema sociale e di pensiero, di indagine e, allo stesso tempo, di ampio respiro per festival immaginando anche un pubblico. In questi casi gli incassi sono veramente di nicchia per una pellicola che promette volti e viuzze, schemi e pistole come si conviene. Una storia che alla fine appare ordinaria, risaputa, nonostante la lettura a soggetto ( tratto dal libro omonimo di Saviane) e le riprese attaccate, quasi schiacciate in alcuni casi (alla Dardenne.
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“La paranza dei bambini”(2019) è il quarto lungometraggio del regista romano Claudio Giovannesi.
Fresco premio alla sceneggiatura al ‘Festival di Berlino’, il film ha un suo vigore narrativo e un suo aggrovigliamento facciale nei volti candidi-virgulti di adolescenti adulti.
La custodia di un cinema sociale e di pensiero, di indagine e, allo stesso tempo, di ampio respiro per festival immaginando anche un pubblico. In questi casi gli incassi sono veramente di nicchia per una pellicola che promette volti e viuzze, schemi e pistole come si conviene. Una storia che alla fine appare ordinaria, risaputa, nonostante la lettura a soggetto ( tratto dal libro omonimo di Saviane) e le riprese attaccate, quasi schiacciate in alcuni casi (alla Dardenne...ma i fratelli belgi sono ben altra cosa) sui volti amorosi e sputa-fuori di adolescenti in prima fila per accaparrarsi il potere ‘sporco soldi-droga’ della città partenopea gestita da clan contrapposti.
Ecco i volti, ecco gli sguardi, ecco il cambio delle prospettive, ecco gli incroci, ecco le sentenze con i grandi, ecco il fuoco della vita ed ecco le spavalderie per un tavolo in prima fila.
Paranza come destino finale dove l’assedio in parata, da venire, è pronto nella testa di tutti come del capo-bambino. Una schiera di ali sopra motorini, senza casco, con baldanza trucida, con focosita’ impertinente, idiozie di potere e magnificenze da tavoli in prima fila. L’apparenza di ragazzini in foga diventa reale con le armi in pugno e la tv-lista serial diventa anteprima per altre da venire. Non proprio un prodotto nuovo e degno di schemi originali, solo la sembianza, non retorica, quasi teatrante in farsa, di una gioventù senza barca vera e remi da caricare. Ecco che i fuochi d’artificio per la festa di popolo diventa il paradigma di esercitazione complementare di un sogno reale. Entusiasmo indecente e sguardi dentro il nemico stesso. Scorsesiano nelle intenzioni alquanto moscio negli astrali gigioneschi di ragazzi contornati da cifre da capogiro dove acquisto e godimento non si differenziano. Tutto normale anche quando la mamma abbraccia il figlio pieno di bigliettoni, con le armi e il destino avverso.
Manca uno stile o lo stile è la summa di ‘beltà’ autoriali, manca il distacco vero per inquadrare il vero, manca la dinastia dell’oggi per chiamare i ragazzi di ieri? Le morti come le speranze ignote. Difficile rispondere e difficile capire il cinema pieno di ignoti volti veri. Una città assediata a se stessa o è solo l’inizio iperbolico di un mondo che si decostruisce da solo? Rio Sanità di Napoli è il centro del potere facile e dei fiumi di denaro a fasci. Senza portafogli e con ostentazione a bevute doppie e a donne facili in tutto.
Nicola, Tyson, Biscottino, O Russ, Lillipop, Limonein abbracci, feste e fuoco, la madre che non vuole più pagare e avere la casa in lusso, Don Vittorio che gioca in casa, Agostino Striano che vuole ricominciare; poi i marchi usuali che addobbano corpi e piedi. Il denaro non spaventa più nessuno. Dove si trova, si trova…
Quindi soldi, armi, donne di giro, capi, porte blindate, mercatini rionali, affacci da padrino e litigi da bambini per una colazione o una partita a pallone senza campo. Una maglietta nuova, pulita acquistata con i soldi che servono, dal segno al sogno per i nuovi corrotti che adagio, adagio salgono la china e con lo sguardo sciorinano la loro forza nel rione che conta.
Da giocattoli, ad acquisto di giochi e di armi giocattolo, da sparare per divertirsi e puntare per intimorire fino a pallottole di carica. Che bello devo lavorare. È il sangue come la morte arriva senza attesa.
La paranza è uno schema senza sosta. Tra virtuosismi, dal teatro a Napoli al teatrino in posa, da casa sua, per osservare e farsi salutare. Prendere il latte con i biscotti con in testa il potere della città. Rosi modenista ecco che il regista calca lo sguardo sui volti che cambiano e incupiscono il loro destino aperto a tutto e tutti.
Dalla cameretta ai vicoli, da dietro alle richieste, dal sottopalco al palco, dalla finestra all’affaccio, dal visto agli abbracci, dal riso di scherno agli spari di fuori. Dal motorino solitario alla schiera ammaliante di un potere senza sapere oltre.
Attori con volti riconoscibili con un plauso a Francesco Di Napoli (Nicola) che sembra tenere il film con una certa facilità (sempre in parte); si ricorda la presenza di Renato Carpentieri (Don Vittorio). Fotografia di Daniele Ciprì che disegna una Napoli oscura, sbiadita e notturna.
Regia addosso e plastificata sui volti inermi e sbarbati.
Voto: 6½/10 (***).
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nino pellino
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domenica 17 febbraio 2019
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film di scottante impatto sociale
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Il film del regista Claudio Giovannesi evidenzia un problema ormai consolidato nei decenni, ma sempre di rilevante attualità: lo sfruttamento dei minorenni in azioni illegali ad opera della malavita campana. Questa pellicola ci fotografa una serie di situazioni che per la loro gravità estrema non possono che spingere ad una serie di riflessioni sullo stato di abbandono della gioventà del sud e di come certe problematiche sociali come la disoccupazione continuino ancora a fermentare nel meridione una certa facilità da parte di tanti ragazzi nel convertirsi al crimine organizzato, pur di sperare in un futuro migliore e possibilmente ricco di guadagni. La particolarità di questo film è ovviamente la capacità del regista nell'essere riuscito a focalizzare l'attenzione di noi spettatori riguardo una certa caratterizzazione psicologica dei giovani protagonisti e delle loro amare vicende di vita vissuta.
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Il film del regista Claudio Giovannesi evidenzia un problema ormai consolidato nei decenni, ma sempre di rilevante attualità: lo sfruttamento dei minorenni in azioni illegali ad opera della malavita campana. Questa pellicola ci fotografa una serie di situazioni che per la loro gravità estrema non possono che spingere ad una serie di riflessioni sullo stato di abbandono della gioventà del sud e di come certe problematiche sociali come la disoccupazione continuino ancora a fermentare nel meridione una certa facilità da parte di tanti ragazzi nel convertirsi al crimine organizzato, pur di sperare in un futuro migliore e possibilmente ricco di guadagni. La particolarità di questo film è ovviamente la capacità del regista nell'essere riuscito a focalizzare l'attenzione di noi spettatori riguardo una certa caratterizzazione psicologica dei giovani protagonisti e delle loro amare vicende di vita vissuta. In particolare l'uso disinibito di armi mortali quasi come se fossero dei giocattoli e, per contrasto, diverse altre scene del film che mostrano questi stessi protagonisti manifestare certe loro abitudini tipiche di qualsiasi adolescente che desidera vivere la propria età (le discoteche, le corse in motorino, la prima colazione a base di latte e briosche). Certo, per chi da anni vive nei luoghi dove si svolge la trama del film, sembra non farci neanche più caso alla gravità del relativo contesto sociale, essendone ormai quasi assuefatto e rassegnato, ma per tutti coloro che invece abitano e vivono altre realtà sociali, sicuramente la visione di questa pellicola, ben curata negli usi e nel linguaggio locale, resta di scottante impatto sociale. Non a caso il film di Giovannesi è riuscito ad aggiudicarsi il premio dell'Orso d'argento come migliore sceneggiatura alla mostra cinematografica di Berlino e sicuramente altri premi attenderanno quest'opera di indiscutibile originalità e drammaticità.
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luca scialo
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venerdì 22 gennaio 2021
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come si diventa boss
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Nicola è un ragazzino di 15 anni che vive con la madre e il fratello più piccolo in un quartiere popolare. Gioca, come tanti della sua età che vivono in certi contesti, a fare la guerra tra bande. Avendo come mito qualche Boss locale. Un giorno però ha l'occasione di emergere, aiutando il figlio di un boss decaduto a riprendere il potere. Ma la malavita non è un gioco con le pistole finte... Giovannesi traspone un romanzo di Saviano, aggiungendosi così al filone del tema "Gomorra" ormai in auge al Cinema da oltre 10 anni. A volte anche con film ironici. Nella fattispecie, però, la strada scelta è quella di dimostrare come in certi contesti sociali sia molto facile cadere in errore. Finire in certi giri.
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Nicola è un ragazzino di 15 anni che vive con la madre e il fratello più piccolo in un quartiere popolare. Gioca, come tanti della sua età che vivono in certi contesti, a fare la guerra tra bande. Avendo come mito qualche Boss locale. Un giorno però ha l'occasione di emergere, aiutando il figlio di un boss decaduto a riprendere il potere. Ma la malavita non è un gioco con le pistole finte... Giovannesi traspone un romanzo di Saviano, aggiungendosi così al filone del tema "Gomorra" ormai in auge al Cinema da oltre 10 anni. A volte anche con film ironici. Nella fattispecie, però, la strada scelta è quella di dimostrare come in certi contesti sociali sia molto facile cadere in errore. Finire in certi giri. Vivere con certi miti sbagliati. E così Nicola e i suoi vedono tanti soldi, fanno la vita che hanno sempre sognato, in bei locali e tra belle ragazze. Tuttavia, ciò che manca rispetto a Gomorra (film e serie) è una morale, dove, se è vero che c'è una morte tragica tra i protagonisti, in realtà non viene proprio mostrato quanto sia sbagliato il tutto. Concludendosi di fatto con una faida da iniziare e un sentimento da coltivare: la vendetta. Il mito si trasforma in realtà. Il regista conferma comunque ancora una volta le sue buone doti di narratore di storie adolescenziali complicate, che hanno caratterizzato quasi tutta la sua filmografia. Nella speranza che un giorno, lui come altri colleghi, mostrino una Napoli non solo malavitosa o "pizza e mandolini"...
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carloalberto
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giovedì 14 febbraio 2019
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anche le "stese" hanno un'anima
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Saviano ha romanzato, attingendo come sempre a piene mani alla cronaca nera napoletana, Giovannesi ha realizzato il film, come fosse un altro episodio di Gomorra serie Tv di cui ha curato la regia, attori tutti giovanissimi e bravi e due partecipazioni di rango, Aniello Arena di Reality di Matteo Garrone, e Renato Carpentieri de La Tenerezza di Gianni Amelio. Ormai genere di intrattenimento, l’ennesimo film sulla criminalità partenopea riesce nell’intento e non annoia e del resto le storie di gangsters e malavitosi hanno fatto sempre successo giocando su ancestrali stimolazioni cerebrali dello spettatore che nel suo profondo è pur sempre un primate evoluto.
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Saviano ha romanzato, attingendo come sempre a piene mani alla cronaca nera napoletana, Giovannesi ha realizzato il film, come fosse un altro episodio di Gomorra serie Tv di cui ha curato la regia, attori tutti giovanissimi e bravi e due partecipazioni di rango, Aniello Arena di Reality di Matteo Garrone, e Renato Carpentieri de La Tenerezza di Gianni Amelio. Ormai genere di intrattenimento, l’ennesimo film sulla criminalità partenopea riesce nell’intento e non annoia e del resto le storie di gangsters e malavitosi hanno fatto sempre successo giocando su ancestrali stimolazioni cerebrali dello spettatore che nel suo profondo è pur sempre un primate evoluto. L’argomento è drammatico la pellicola non lo è. Non appassiona, non commuove, rimane in superficie nonostante i primissimi piani alla ricerca disperata di un pathos che non c’è. I personaggi sono appena abbozzati, non si tenta nemmeno di descriverne gli stati d’animo, come se non ne avessero. Come se fosse tutto un gioco, i ragazzini prendono pistole e mitra e iniziano a sparare, a fare le famose “stese” per i vicoli della città. Per fortuna o per disgrazia dei protagonisti veri delle vicende narrate la realtà è un po’ più complessa, i ragazzi di Napoli non sono automi ma esseri umani in carne ed ossa con speranze, disillusioni, passioni, rimorsi, insomma sentimenti, che nel film sono del tutto assenti o meglio non comunicati. Il mondo cosiddetto “perbene” può uscire rasserenato dalla sala sentendosi meglio, felice della propria condizione di cittadino della città di sopra dove si deruba con il sorriso, si rapina con educazione e si fa razzia di danaro e di sogni con la gentilezza ed il garbo che oggi si conviene, senza fare chiasso, senza sparare. Piuttosto che film di denuncia da definirsi film terapeutico per tutti noi irrimediabilmente diversamente onesti.
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no_data
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sabato 16 febbraio 2019
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molte sensazioni all'uscita
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E' difficile esprimere un giudizio su questo film, almeno per me. "Tecnicamente" è molto bello, rapidissimo, non ammette distrazioni, non è mai noioso, mai ripetitivo. Nonostante l'argomento sia simile, dopo un po' che lo si guarda si capisce che è decisamente diverso e molto più "moderno" di Gomorra. Il film non appoggia le sue basi sulla violenza o sullo shock voluto con essa, quanto piuttosto sui sentimenti di questi ragazzini, sulla loro amicizia, sulle "buone intenzioni iniziali" ed infine sulla loro graduale trasformazione che comunque lascia spazio ad una certa "malinconia", soprattutto nel protagonista. Per chi ricorda la prima stagione di Gomorra, questo film ha il sapore dell'episodio che trattava di "Danielino" un ragazzino protagonista di una vera e propria parabola nella malavita.
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E' difficile esprimere un giudizio su questo film, almeno per me. "Tecnicamente" è molto bello, rapidissimo, non ammette distrazioni, non è mai noioso, mai ripetitivo. Nonostante l'argomento sia simile, dopo un po' che lo si guarda si capisce che è decisamente diverso e molto più "moderno" di Gomorra. Il film non appoggia le sue basi sulla violenza o sullo shock voluto con essa, quanto piuttosto sui sentimenti di questi ragazzini, sulla loro amicizia, sulle "buone intenzioni iniziali" ed infine sulla loro graduale trasformazione che comunque lascia spazio ad una certa "malinconia", soprattutto nel protagonista. Per chi ricorda la prima stagione di Gomorra, questo film ha il sapore dell'episodio che trattava di "Danielino" un ragazzino protagonista di una vera e propria parabola nella malavita. L'argomento ovviamente lascia un enorme tristezza, c'erano anche persone che ridevano in sala, io personalmente sono uscito con un pugno allo stomaco, ma un pugno diverso da quello di Gomorra. Lo consiglio soprattutto a chi pensa che il filone sia sempre lo stesso, perché io mi sono ricreduto.
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felicity
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lunedì 25 maggio 2020
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la storia di una disillusione
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Il mondo raccontato da Saviano e Giovannesi ne La paranza dei bambini è un mondo dominato dal tempo presente, da un'immediatezza che stritola sul nascere qualsiasi ambizione che non sia quella criminale.
Del domani non c'è neppure il pensiero; non c'è una vera alternativa a quella vita, tutto è già scritto, tutto è già determinato. Non c'è un oltre.
L'ingresso nella vita criminale arriva naturalmente, senza che vi sia alcuna possibilità di scelta.
Ecco allora che in questo mondo e con queste regole, perfino il racconto di formazione, inteso come ricerca e raggiungimento di una consapevolezza di sé, perde completamente di senso.
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Il mondo raccontato da Saviano e Giovannesi ne La paranza dei bambini è un mondo dominato dal tempo presente, da un'immediatezza che stritola sul nascere qualsiasi ambizione che non sia quella criminale.
Del domani non c'è neppure il pensiero; non c'è una vera alternativa a quella vita, tutto è già scritto, tutto è già determinato. Non c'è un oltre.
L'ingresso nella vita criminale arriva naturalmente, senza che vi sia alcuna possibilità di scelta.
Ecco allora che in questo mondo e con queste regole, perfino il racconto di formazione, inteso come ricerca e raggiungimento di una consapevolezza di sé, perde completamente di senso. Perché alla fin fine, nonostante gli sforzi, non c'è nulla da cercare. Perché si può solo seguire un percorso prestabilito. Perché non esiste un futuro.
Il regista, trovando la perfetta misura tra il naturalismo della rappresentazione e i meccanismi del genere, racconta in breve la storia di una disillusione, quella di Nicola che vuole in fondo solo ribaltare il suo punto di vista sul quartiere, non sovvertire le regole ma farle proprie e applicarle a modo suo.
È, come sempre, una questione di sguardi, e dopo aver osservato Nicola vuole diventare l’oggetto dello sguardo delle persone, di coloro che fino a un minuto prima ha guardato con ammirazione, paura o compassione e che ora ora devono girare gli occhi e sapere chi devono guardare, rispettare, temere o ringraziare.
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mauridal
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domenica 24 febbraio 2019
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immaturità criminale
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UNO SGUARDO di tenerezza su pezzi di gioventù’ da bruciare . La paranza , termine marinaro , indica anche gruppo di pesciolini da friggere nella gastronomia napoletana, e nel film di Giovannesi il gruppo di giovani che si organizzano a compiere violenze e atti di delinquenza per conquistare un posto nella malavita di quartiere della città di Napoli, sembrano destinati , alla fine dei giochi , proprio ad essere fritti nella padella dei potenti e storici clan che non lasciano certo spazio ai ragazzini.
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UNO SGUARDO di tenerezza su pezzi di gioventù’ da bruciare . La paranza , termine marinaro , indica anche gruppo di pesciolini da friggere nella gastronomia napoletana, e nel film di Giovannesi il gruppo di giovani che si organizzano a compiere violenze e atti di delinquenza per conquistare un posto nella malavita di quartiere della città di Napoli, sembrano destinati , alla fine dei giochi , proprio ad essere fritti nella padella dei potenti e storici clan che non lasciano certo spazio ai ragazzini. Il merito di questo film tuttavia, oltre a focalizzare i tipi umani che ben descrive tra adulti e ragazzi, è un particolare sguardo , alieno di violenza gratuita, di ferocia bestiale che invece caratterizza il genere gommorroide che tanto cinema e ora anche TV ha affrontato con grande successo . Quando un regista sceglie per il suo film un genere cinematografico , tende a ripiegare su cliché collaudati, ma non è il caso del film la paranza dei bambini, che allora si distacca per una differente angolatura di sguardo che in alcune parti Ë addirittura tenero verso le vicende e gli stessi personaggi visti con la loro innocenza e immaturità con cui agiscono negli esordi malavitosi. Dunque il film non rappresenta solo una realtà ormai socialmente conosciuta e accertata delle gang giovanili, in quartieri disagiati nelle metropoli , e qui intanto Napoli è dunque ben descritta, ma un fenomeno internazionale che facilmente ritroviamo in tutta Europa e non solo. Tuttavia i ragazzini della paranza hanno peculiarità care alla tradizione popolare di Napoli hanno un generico senso del rispetto verso i valori della fedeltà alla famiglia, cercano l'amore fosse anche di una coetanea ancora timida e incerta, il personaggio di Nicola, del protagonista , il bravo Francesco di Napoli, ancora difende la mamma e i fratelli e si innamora di una brava ragazza ,pur cercando una durezza in sé che ancora non possiede. Non sarà la sua pistola a maturare un criminale pur sparando, il suo destino è già segnato come tutti gli altri .Un film necessario e destinato alla discussione nei giovani anche diretti interessati al tema . (mauridal)
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maurizio.meres
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lunedì 18 febbraio 2019
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ma è veramente un racconto di finzione?
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Dall'ultimo romanzo di Saviano il bravissimo regista Claudio Giovannesi compone una perfetta sintesi dello stato in cui versa la criminalità organizzata,pur essendo un romanzo di finzione e di pochi giorni l'annuncio di alcuni Prefetti l'allarme che le ultime bande che si stanno organizzando sono per lo più adolescenti senza scrupoli e soprattutto con una grande voglia di arrivare al dominio della loro zona.
Il film tutto sottotitolato e non poteva che essere così in quanto tutti i ragazzi scelti provengono dai quartieri citati nel film,girato tutto in presa diretta nei vicoli con i rumori della vita quotidiana,quando si gira con attori non professionisti ma soprattutto reali presi dal posto l'espressività diventa essenziale per dare il vero senso della realtà.
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Dall'ultimo romanzo di Saviano il bravissimo regista Claudio Giovannesi compone una perfetta sintesi dello stato in cui versa la criminalità organizzata,pur essendo un romanzo di finzione e di pochi giorni l'annuncio di alcuni Prefetti l'allarme che le ultime bande che si stanno organizzando sono per lo più adolescenti senza scrupoli e soprattutto con una grande voglia di arrivare al dominio della loro zona.
Il film tutto sottotitolato e non poteva che essere così in quanto tutti i ragazzi scelti provengono dai quartieri citati nel film,girato tutto in presa diretta nei vicoli con i rumori della vita quotidiana,quando si gira con attori non professionisti ma soprattutto reali presi dal posto l'espressività diventa essenziale per dare il vero senso della realtà.
I bambini così vengono chiamati lo sono veramente,una scena in particolare da risalto alla loro adolescenza quando i due fratelli nel fare colazione fanno emergere nel litigarsi un dolce tutta la loro mancata gioventù.
La sceneggiatura trasporta lo spettatore ad una riflessione,sto ad assistere alla realtà di tutti i giorni oppure ad una storia fantastica direi irreale,diventa quasi incredibile.
Un film di vita che va visto in un ottica ottimistica,sperando che le istituzioni facciano tutto il possibile anche con leggi speciali per tutelare tutti i giovani minorenni e riportare alla vera vita tutti quelli che si sono fatti deviare dai facili guadagni.
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