maramaldo
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mercoledì 11 dicembre 2019
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in nome dell'arte, assolviamo w.a.
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Dopo Polanski ci tocca sdoganare il lupetto spelacchiato. La commediola nostalgica è in realtà un regolamento di conti. Film che vuol piacere a tutti i costi per contrabbandare il livore che contiene. Sotto una patina a tinte pastello anche col maltempo, languori e facezie, la complicità di una New York che si mostra familiare anche a chi non c'è stato.
Ci si serve spregiudicatamente di esseri semplici ed ingenui. Gatsby ( un diafano Timothée Chalamet, sempre più androgino), non ha uno spessore sentimentale, teme infantilmente di essere lasciato.
All'esangue fan contrasto due belvette che il sangue lo rimettono in circolo, Elle Fanning (Ashleigh) e Selena Gomez (Chan).
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Dopo Polanski ci tocca sdoganare il lupetto spelacchiato. La commediola nostalgica è in realtà un regolamento di conti. Film che vuol piacere a tutti i costi per contrabbandare il livore che contiene. Sotto una patina a tinte pastello anche col maltempo, languori e facezie, la complicità di una New York che si mostra familiare anche a chi non c'è stato.
Ci si serve spregiudicatamente di esseri semplici ed ingenui. Gatsby ( un diafano Timothée Chalamet, sempre più androgino), non ha uno spessore sentimentale, teme infantilmente di essere lasciato.
All'esangue fan contrasto due belvette che il sangue lo rimettono in circolo, Elle Fanning (Ashleigh) e Selena Gomez (Chan). Entusiasmi inconsulti, stupori bambineschi, smarrimenti etilici, ruspanterie aggressive, tutti diretti alla leggiadria svestita di un'adolescenza rigogliosa. E' l'antico assillo sul quale, voi, padroni di riservare la riprovazione accodandovi alle creature angeliche che hanno inchiodato alla gogna Woody.
Non c'è da stupirsi che il vecchio abbia il dente avvelenato. Bisbetico e sardonico è sempre stato. Adesso ce l'ha col mondo intero: i wasp, i sudisti bifolchi, i repubblicani, gli ebrei... Infedeltà spicciole. Meretricio. Questo, non la tenera delicatezza che in Pretty Woman si invita ad emulare. Lo si rappresenta nella splendida Terry (Kelly Rohrbach) come fattore fondante di una cultura della società; nella madre di Gatsby (Cherry Jones) come elemento costitutivo del dna dell'upper class. Il tutto per poter appioppare un'ignominiosa battuta al "giornalismo" ossia i media che diventano fakemaker prezzolati quando ti maltrattano.
Subentrano incubi. Quando Ashleigh in carrozzella, sotto un cappellaccio e infagottata in un improponibile poncho (di certo imposti da uno sponsor, ce ne sono 5 o 6), sul suo volto innocente passa come un'ombra un'espressione che ricorda Diane Keaton.
Swing delizioso, fotografia d'autore, spiritosaggini da cabaret bastano a perdonare l'intramontabile (e incorreggibile) vegliardo?
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camillalavazza
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domenica 15 dicembre 2019
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stereotipato e superfluo
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Woody Allen ha scritto Un giorno di pioggia a New York, con un protagonista (il talentuoso ma non certo simpatico Timothée Chalamet) che non si chiama Holden Caulfield bensì Gatsby Welles (sempre nome letterario) e gira ugualmente smarrito per New York (o meglio gli interni sfarzosi di Manhattan), ma senza la leggerezza e la freschezza di Il giovane Holden, a cui pare ispirarsi (l’inizio al college, le battute sullo studio del Beowulf, le hall dei grandi alberghi, la prostituta, l’ambientazione newyorkese, i ricchi genitori a cui cerca di nascondere la sua presenza in città…), vagando a vuoto in una trama scontata, priva della comicità dei suoi bei film del passato, quando ridicolizzava gli snobismi degli intellettuali newyorkesi.
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Woody Allen ha scritto Un giorno di pioggia a New York, con un protagonista (il talentuoso ma non certo simpatico Timothée Chalamet) che non si chiama Holden Caulfield bensì Gatsby Welles (sempre nome letterario) e gira ugualmente smarrito per New York (o meglio gli interni sfarzosi di Manhattan), ma senza la leggerezza e la freschezza di Il giovane Holden, a cui pare ispirarsi (l’inizio al college, le battute sullo studio del Beowulf, le hall dei grandi alberghi, la prostituta, l’ambientazione newyorkese, i ricchi genitori a cui cerca di nascondere la sua presenza in città…), vagando a vuoto in una trama scontata, priva della comicità dei suoi bei film del passato, quando ridicolizzava gli snobismi degli intellettuali newyorkesi.
Chissà, magari Allen pensa che anche il capolavoro di Salinger sia “sopravvalutato” (sono lontano i tempi in cui imbastiva quei dialoghi memorabili con Diane Keaton) ma di sicuro lo è, purtroppo, questo suo Un giorno di pioggia a New York, magnificato da alcuni critici come l’ennesimo “Inno a New York” di Allen, tanto da chiedersi se abbiano visto lo stesso film...
Più che memorabili vedute della città, Allen ci mostra gli appartamenti dell’Upper East Side, ammirandone l’eleganza formale e borghese, come fagocitato, assorbito in essi, e non è più capace di quello sguardo esterno indispensabile all’ironia.
Un merito a Timothée Chalamet bisogna però darlo: è uno dei pochi attori che, interpretando il protagonista in un film di Allen, riesce a rimanere se stesso, senza scimmiottarne i modi ansiosi. Ma forse il giovane attore semplicemente si è ispirato più a Holden, con la sua ingenua sicurezza adolescenziale di ragazzo ricco, che ai personaggi di Woody che forse sente ormai troppo lontani.
Salviamo anche Elle Fanning, ochetta bionda ma non troppo ingenua, anche lei non proprio simpatica ma giusta per la parte, per la quale ha dovuto indossare gonnelle parecchio corte, non del tutto giustificate (saremmo in autunno!) se non dal gusto del regista per le giovani gambe ben tornite.
La fotografia di Storaro è purtroppo, in alcuni momenti, parodia della sua luce dei film migliori di Allen, così “invadente” (la pioggia con il sole, la luce dorata che avvolge il personaggio di Ashleigh) da risultare a tratti irritante.
Le mini-minigonne le deve indossare anche Selena Gomez, inespressiva e penalizzata da un doppiaggio monocorde, a cui sono riservate riprese del tutto gratuite, come quella in cui, invece di precipitarsi ad asciugarsi, dato che nella trama avrebbe preso la pioggia, si siede appoggiando le scarpe da tennis sul letto (i ricchi non badano che le lenzuola si sporchino?) e rimane a pensare sognante, mentre la cinepresa indugia sulla sua bellezza generosa.
Gli altri personaggi maschili sono tutti stereotipati: dal regista in crisi allo sceneggiatore tradito dalla moglie (pessimo, spiace dirlo, Jude Law, che recita sopra le righe come se fosse in un teatro di terz’ordine) al divo del cinema seduttore latino.
La trama non li aiuta, zeppa di divagazioni inutili e priva di battute veramente spiritose, carente purtroppo anche nei risvolti romantici a causa della superficialità con cui sono tratteggiati i personaggi. Deprimente, direbbe Holden Caulfield.
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