raffiraffi
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domenica 30 dicembre 2018
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pensiero verde: la rinascita di homo astralis
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Il futuro del pianeta siamo noi, intrattenuti al godimento perpetuo, sospesi sul compromesso quotidiano di difendere il bene a giorni alterni, osservatori annichiliti e impotenti dinanzi al disastro ambientale, ipnotizzati da tecnologia e consumo, schiacciati da un sistema economico privo di scrupoli, narcotizzati dai social-media. Le conseguenze immediate di questa fragilità politica e culturale sono la distruzione di migliaia di forme di vita, l'avvelenamento dell'aria, dell'acqua, della terra, dei mari, quelle future sono imprevedibili.
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Il futuro del pianeta siamo noi, intrattenuti al godimento perpetuo, sospesi sul compromesso quotidiano di difendere il bene a giorni alterni, osservatori annichiliti e impotenti dinanzi al disastro ambientale, ipnotizzati da tecnologia e consumo, schiacciati da un sistema economico privo di scrupoli, narcotizzati dai social-media. Le conseguenze immediate di questa fragilità politica e culturale sono la distruzione di migliaia di forme di vita, l'avvelenamento dell'aria, dell'acqua, della terra, dei mari, quelle future sono imprevedibili. Halla, la coraggiosa e ostinata protagonista, ne è consapevole al punto da sentire il bisogno di difendere da sola il pianeta, impresa utopica che per qualche tempo sembrerebbe anche efficace: impossibile per lei sfuggire al grande occhio che sorveglia e punisce, mentre anche la speranza di adottare una bambina ucraina e divenire finalmente madre sembrerebbe sul punto di fallire. Ma il destino ha dotato Halla di una gemella, Àsa, la quale pratica yoga e meditazione e vorrebbe ritirarsi in un convento indiano: la prima arrabbiata con la vita, la seconda innamorata della vita si scambiano i ruoli. Àsa va in prigione al posto di Halla: il personale progetto di scavare dentro sè per comprendere il mondo racchiuso nel namasté che rivolge alla poliziotta del penitenziario, lascia intuire come l'agire pacifico stia già iniziando ad abbattere muri psicologici e barriere sociali. Halla può così intraprendere il viaggio dentro la maternità, trasformare la rabbia in amore verso Nika, la bambina ucraina simbolo universale di quell'infanzia abbandonata a causa delle ingiustizie del mondo e in attesa del calore di una famiglia. Nella narrazione di Erlingsson nessuna vanità. La bellezza e l'incanto dell'Islanda, territorio dove la natura resiste tenacemente all'antropocene capitalista, offre la speranza di riflettere su come possiamo immaginare il futuro: crescita umana determinata dalla solidarietà sociale, difesa dell'ambiente come ascolto del cosmo, uso della libertà personale e collettiva. Privo di autoritarismo, il pensiero verde può ridefinire l'agenda politica globale, il riconoscimento del pianeta come essere vivente universale può spingerci oltre l'antropocene, il desiderio di equità socio-ecologica aiutarci a condividere risorse, ricchezza, conoscenza: contro tutti i pessimismi e le egemonie, forse stiamo assistendo alla ri-nascita di homo astralis.
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hetgidaton
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lunedì 14 gennaio 2019
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dal global warming il canto della terra d'islanda
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Film che tratta i temi attualissimi del global warming, del neoliberismo, della mancanza di privacy in modo assolutamente originale, quasi surreale. Vi sono elementi simbolici che ricollegano alle tradizioni ed al pensiero tradizionale, schemi narrativi che ricordano il teatro greco, il tutto arricchito con la maestosità dei paesaggi islandesi mozzafiato, spazi vasti e primitivi, dove lo spirito della terra è presente in tutte le sue manifestazioni: aria, acqua, terra e fuoco.
Ravviso persino alcune citazioni di Tarkovskij in alcune parti del film, che comunque rimane sempre brillante, mai noioso, ricco di colpi di scena.
Per me il miglior film del 2019.
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cardclau
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sabato 22 dicembre 2018
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la terra è la nostra casa
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Cosa dovrebbe servire il mezzo cinematografico? A rinforzare il potere dei pochi, delle oligarchie, addormentando le coscienze, con polpettoni imbottiti di succedanei dell’oppio, nello stile “panem et circentes” (dal dizionario Treccani: [lat. «pane e giochi del circo»]. Espressione con la quale Giovenale (Satire X, 81) sintetizza le aspirazioni della plebe romana nell’età imperiale; viene ripetuta talvolta, ironicamente o anche in senso polemico, con riferimento ad atteggiamenti analoghi, reali o presunti, del popolo o a metodi politici bassamente demagogici).
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Cosa dovrebbe servire il mezzo cinematografico? A rinforzare il potere dei pochi, delle oligarchie, addormentando le coscienze, con polpettoni imbottiti di succedanei dell’oppio, nello stile “panem et circentes” (dal dizionario Treccani: [lat. «pane e giochi del circo»]. Espressione con la quale Giovenale (Satire X, 81) sintetizza le aspirazioni della plebe romana nell’età imperiale; viene ripetuta talvolta, ironicamente o anche in senso polemico, con riferimento ad atteggiamenti analoghi, reali o presunti, del popolo o a metodi politici bassamente demagogici). Tanto, affermano con incrollabile quanto incerta determinazione, è quello che vogliono (il popolo), e quello noi gli diamo! O servire l’essere umano nella sua, perenne, lotta per la libertà, per affermare la diversità nel rispetto, e nel suo bisogno di crescita? Scomodiamo a questo proposito ancora il sommo Dante: Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza"» (Inferno, XXVI canto, 118-120). Ammetto, sarebbe pericolosissimo per lo status quo, potrebbe destabilizzarsi, si potrebbe innescare anche una …, con esiti incerti. Chissà. Ma per fortuna nel campo della cinematografia non vi troviamo solo degli ossequienti. Il film La Donna Elettrica, del coraggiosissimo regista islandese, Bendikt Erlingsson, denuncia nella sua storia, il gravissimo danno indotto da una multinazionale dell’acciaio, sull’ambiente, per il solito fine, il profitto. Complici, ma indirettamente in qualità di possibili investitori, i soliti cinesi. Che il film sia stato distribuito da un produttore indipendente e proiettato nei circuiti alternativi potrebbe dirla lunga sulla libertà di informazione, di opinione, e di poter fare sentire la propria voce, di cui godiamo. Ma getta una luce inquietante su quello che sappiamo già, ma che ci affanniamo a far finta di non sapere. Che lo sviluppo attuale non sia sostenibile e che ci porterà inevitabilmente al disastro, come in un dramma già preannunciato. Piccoli o grandi investitori non fa la differenza, se è solo l’entità del dividendo che conta, non da dove provenga. Ma finché si potrà raschiare il fondo del barile, affanniamoci a farlo, prima che lo faccia qualcun altro. La Donna Elettrica è la brava Halla/Àsa (Halldóra Geirharðsdóttir), sdoppiata per l’occasione in due gemelle, una combattente a difesa dell’ambiente, tutta esteriorizzata, e un’altra tutta spirituale alla ricerca del vero se’, tutta interiorizzata. Particolarmente angosciosa è la capacità che ha il potere di esercitare il controllo, separando i “buoni” dai “cattivi”, a cui Halla sfugge fin quasi alla fine, nei suoi attentati elettrici, con sorprendente abilità, aiutata anche dal cugino acquisito Sveinbjörn (Jóhann Sigurðarson), che ne condivide in pieno le motivazioni. Il regista inoltre si fa accompagnare nella suo avventuroso viaggio da tre musicisti, un tastierista, un batterista, un suonatore di basso tuba; e da tre coriste in abiti folklorici, con effetti sorprendenti e piacevolissimi, aggiungerei anche onirici. Infine, l’adozione di Nika, una bimba ukraina, orfana di genitori, vittime della recente guerra, ritrovata accanto alla nonna morta da tre giorni, dobbiamo assolutamente prenderla come la metafora di un inno alla vita, altrimenti rimarrebbe solo la disperazione in una terra desolata.
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giuseppe
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lunedì 21 gennaio 2019
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parzialmente d'accordo
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Ho visto il film con piacere anche se il finale pretestuoso resta non anticonformista ma piuttosto antirealista. Cosa che contrasta con lo sviluppo possibilista della storia: In men che no si dica lei viene beccata con un espediente che solo se si fosse trattato di uscire da Israele sarebbe stato possibile (quindi sarebbe stato meglio ambientarlo in Israele che tra l'altro ha dei paesaggi altrettanto belli e onirici), non solo ma con un sincronismo che neanche nella fisica quantistica sarebbe possibile: un pastore diventa terrorista per permettere a sua sorella di prendere la sua identità per lasciarla partire a recuperare questa figlia adottiva. Demolendo così un finale di storia molto più corretto, con lei a scontare una pena e sua sorella a compiere il gesto comunque importante di occuparsi della piccola.
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Ho visto il film con piacere anche se il finale pretestuoso resta non anticonformista ma piuttosto antirealista. Cosa che contrasta con lo sviluppo possibilista della storia: In men che no si dica lei viene beccata con un espediente che solo se si fosse trattato di uscire da Israele sarebbe stato possibile (quindi sarebbe stato meglio ambientarlo in Israele che tra l'altro ha dei paesaggi altrettanto belli e onirici), non solo ma con un sincronismo che neanche nella fisica quantistica sarebbe possibile: un pastore diventa terrorista per permettere a sua sorella di prendere la sua identità per lasciarla partire a recuperare questa figlia adottiva. Demolendo così un finale di storia molto più corretto, con lei a scontare una pena e sua sorella a compiere il gesto comunque importante di occuparsi della piccola. Nel film invece si fa proprio il gioco di chi è al potere relegando nel mondo dei sogni la speranza che le cose cambino. Al di fuori di questo, la metaforica compagnia dei musicisti e del coro è per me poesia cinematografica di assoluto valore. E fattivamente anche gli episodi che coinvolgono il povero turista barbuto ci stanno, (negli Usa un imprenditore di borsa italiano si è fatto un mese di carcere, ripeto un mese non tre giorni, per una interpretazione errata della sua attività). Che sia una commedia o meno, se c'è un messaggio non l'ho capito.
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(di mana1971)
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vanessa zarastro
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martedì 12 febbraio 2019
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doppio impegno per le donne
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In maniera fantasiosa e grottesca, Benedikt Erlingsson tratta tematiche estremamente serie e importanti come la salvaguardia ecologica del pianeta e le diverse visioni politiche. Il regista ha bisogno di due gemelle (interpretate magistralmente da Halldóra Geirharðsdóttir) per esprimere posizioni ideologiche contrapposte: quella politicizzata e rivoluzionaria versus quella spiritual intimista. Entrambe vorrebbero essere madri – hanno fatto domande di adozione – poiché in Islanda lo si può essere anche da single. Il regista rende evidente anche la difficoltà della donna di mettere insieme le proprie parti, il pubblico e il privato, la ribellione e la conservazione.
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In maniera fantasiosa e grottesca, Benedikt Erlingsson tratta tematiche estremamente serie e importanti come la salvaguardia ecologica del pianeta e le diverse visioni politiche. Il regista ha bisogno di due gemelle (interpretate magistralmente da Halldóra Geirharðsdóttir) per esprimere posizioni ideologiche contrapposte: quella politicizzata e rivoluzionaria versus quella spiritual intimista. Entrambe vorrebbero essere madri – hanno fatto domande di adozione – poiché in Islanda lo si può essere anche da single. Il regista rende evidente anche la difficoltà della donna di mettere insieme le proprie parti, il pubblico e il privato, la ribellione e la conservazione. Thriller o film action? Commedia surreale o film ribelle? Avevo già notato lo humour bizzarro nella cinematografia islandese attraverso il film 'L'Albero del vicino' di Hafsteinn Gunnar Sigurðsson del 2017 che mostra un'umanità litigiosa, spigolosa e dispettosa che sopporta la convivenza e, dal problema dell'ombra di un albero sulla veranda dei vicini, in modo paradossale, sarà innescata una spirale di violenza. Qui ne 'La donna elettrica il dato grottesco è palese. Halla, una delle due gemelle quasi sessantenni, ha una doppia vita: da un lato è un po' Robin Hood o Giovanna d'Arco - in maglione islandese jacquard – in guerra contro le multinazionali, dall'altra una signora pacifista che insegna canto agli adulti e ha appesi alle pareti i ritratti di Nelson Mandela, Gandhi e Virginia Wolf. Asa, l'altra gemella, insegna yoga, si veste di arancione e sta per partire per un Ashram in India per due anni. Halla è un nome comune in Islanda, ma è anche un riferimento alla storia del Paese perché è il nome di uno dei due fuorilegge (Halle ed Eyvindur), ribelli e ladri di pecore, che nel diciassettesimo secolo sfuggirono alla cattura per vent'anni. La nostra eroina ha come obiettivo i tralicci dell'alta tensione dei giganteschi impianti industriali fortemente inquinanti, da qui il titolo italiano della pellicola che invece è 'Woman at War'. Sarà aiutata, nelle sue battaglie, dal simpatico pastore cugino (supposto) di campagna (Jóhann Sigurðarson) e dalla sua cagnetta, che abbaia a comando. Quando poi torna a casa mette sempre il cellulare in frigorifero o nel microonde per la paranoia di essere controllata. Nel suo messaggio scritto, che fotocopiato in diversi esemplari spargerà dalla cima di un tetto, Halla affermerà: «Il sabotaggio contro la natura ha causato il riscaldamento globale. È un crimine contro l'umanità e contro la vita tutta». Il film, attraverso il personaggio di Halla, esalta sia la Natura naturale sia la natura umana: lei è lottatrice eco-terrorista per un ideale nobile, ma anche una donna sola desiderosa di maternità e di prendersi 'cura' di qualcun'altra che non sia se stessa. Infatti, adotterà Nika, una deliziosa bambina ucraina di quattro anni rimasta orfana durante la guerra. Così racconta l'attrice Halldóra Geirharðsdóttir: «In una società patriarcale c'è qualcuno che stabilisce chi può o non può essere genitore o come deve essere un buon genitore siamo tutti d'accordo che un buon genitore è quello che si prende cura del benessere del figlio e per questo a volte è meglio crescere un bambino da soli piuttosto che all'interno di una pessima relazione. Se Halla porterà avanti le proprie battaglie anche da mamma, il regista sceglie di non dircelo, lasciando il finale aperto». Le vicende sono seguite da una sorta di coro greco formato da tre cantanti vestite da ucraine e dal terzetto tuba/percussioni/fisarmonica DavÃð Þór Jónsson/Magnús Trygvason Eliasen/Ómar Guðjónsson, con musica 'in campo' folk e classica. Così spiega il regista: «La musica è stata la prima visione originale che mi ha condotto al film. Stavo fantasticando e sognando a occhi aperti sul mio prossimo film e all'improvviso ho visto una donna correre in una strada vuota, sotto la pioggia, verso di me. Quando si è fermata l'ho guardata da vicino e ho visto che a fianco c'era un complesso di tre musicisti: ascoltando la musica con attenzione ho capito che si trattava della colonna sonora della vita di quella donna». Ci sono un paio di citazioni cinematografiche esplicite in 'La donna elettrica': la copertura ovina per sfuggire al monitoraggio dei droni in stile Di Caprio nel film 'The Revenant', e quella più aulica di "2001 Odissea nello Spazio", con l'accostamento della scimmia che vibra colpi con Nelson Mandela. Molto divertenti i siparietti con il 'turista per caso' interpretato da Juan Camillo Roman Estrada arrestato come 'il solito sospetto'. Il film mostra un'Islanda in cui sono vivi antichi riti vichinghi, allevamento di bovini e modernissimi droni con videocamere di sorveglianza. Il tutto è raccontato con minimalismo scenico, poco movimento della macchina da presa, ambienti e persone ridotti all'essenziale, e con una splendida natura ripresa da Bergsteinn Björgúlfsson. 'La donna elettrica' ha vinto il premio Lux del Parlamento europeo, premio che ogni anno viene assegnato alla migliore produzione europea, portando di fatto a Strasburgo temi importanti che la storia tratta in alcuni momenti come commedia divertente in altri come film d'azione.
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enzo70
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domenica 29 novembre 2020
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ottima intenzione, ma il film alla fine è piatto
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Il regista Benedikt Erlingsson trova un modo intelligente per affrontare un tema di grande attualità, la sostenibilità ambientale. La donna elettrica, Halla, non è un eroe, anzi è una donna semplice che dirige un piccolo coro in Islanda, sta per avere la gioia di un’adozione internazionale non avendo potuto avere figli. Ma è una terrorista ricercata da mesi dalla polizia del suo Paese: Halla non usa le armi, ma sistemi artigianali per boicottare le linee elettriche per mettere in difficoltà le industri siderurgiche che attentano all’ambiente dell’Islanda, una terra per definizione magica. Ed è proprio l’Islanda con i suoi straordinari paesaggi la cosa più bella del film.
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Il regista Benedikt Erlingsson trova un modo intelligente per affrontare un tema di grande attualità, la sostenibilità ambientale. La donna elettrica, Halla, non è un eroe, anzi è una donna semplice che dirige un piccolo coro in Islanda, sta per avere la gioia di un’adozione internazionale non avendo potuto avere figli. Ma è una terrorista ricercata da mesi dalla polizia del suo Paese: Halla non usa le armi, ma sistemi artigianali per boicottare le linee elettriche per mettere in difficoltà le industri siderurgiche che attentano all’ambiente dell’Islanda, una terra per definizione magica. Ed è proprio l’Islanda con i suoi straordinari paesaggi la cosa più bella del film. L’attrice Hallora Geirharosdottir è molto brava e la regia posata non limita la sua capacità espressiva. Ma alcuni intelligenti tentativi di ravvivare il tono narrativo del film, come quello del coro di montagna, non riescono nell’obiettivo. Rimane un film intelligente e di cui consiglio la visione. Ma non è un grande film.
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carloalberto
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mercoledì 23 febbraio 2022
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film dalla scrittura complessa e ricca di temi
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Molti sono i temi, dal particolare all’universale, che si intrecciano sovrapponendosi nella trama, dal conflitto interiore della protagonista, divisa tra il desiderio di maternità e l’aspirazione a svolgere un ruolo decisivo nella società a quello della lotta epocale per la difesa dell’ambiente, minacciato dall’industrializzazione globalizzata giunta fin nella sperduta Islanda, fino all’eterna battaglia che si combatte da sempre nell’animo umano tra eros e polemos nel relazionarsi con il prossimo e con il mondo.
I generi che si alternano nel film sono i più vari e vanno dal drammatico alla commedia, dall’action movie al thriller politico.
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Molti sono i temi, dal particolare all’universale, che si intrecciano sovrapponendosi nella trama, dal conflitto interiore della protagonista, divisa tra il desiderio di maternità e l’aspirazione a svolgere un ruolo decisivo nella società a quello della lotta epocale per la difesa dell’ambiente, minacciato dall’industrializzazione globalizzata giunta fin nella sperduta Islanda, fino all’eterna battaglia che si combatte da sempre nell’animo umano tra eros e polemos nel relazionarsi con il prossimo e con il mondo.
I generi che si alternano nel film sono i più vari e vanno dal drammatico alla commedia, dall’action movie al thriller politico.
Benedikt Erlingsson aggiunge alla sceneggiatura, già sovraccarica concettualmente, l’elemento surreale degli immaginari suonatori, che appaiono sullo sfondo, partecipando talvolta all’azione, e delle cantanti vestite in abiti tradizionali, che sorprendentemente prende il sopravvento su tutto il resto avvolgendo il film in un’atmosfera fiabesca.
La favola esopica sembra il mezzo più efficace per sintetizzare la complessità dei contenuti del film veicolandoli nella forma di una metafora, in cui l’amore della madre per la propria figlia adottiva, simbolicamente ed in modo speculare, rappresenta la cura che l’uomo dovrebbe avere per la madre terra e lo sdoppiamento della protagonista, nelle due personalità diverse delle gemelle, mima icasticamente le opposte scelte che l’individuo può fare di fronte al destino, in apparenza ineluttabile, del mondo avviatosi alla catastrofe, ossia il ritiro ad una vita ascetica oppure l’impegno civile e politico per fermare a tutti i costi e con ogni mezzo, anche con la violenza, il processo autodistruttivo in corso.
La risoluzione del conflitto tra le opposte visioni del mondo, con le conseguenti prese di posizione, incarnate dal sacrificio di sé stessa per l’umanità nell’una e dalla ricerca spirituale e quasi solipsistica nell’altra, Erlingsson la trova, ricorrendo ad un ennesimo genere, in un escamotage che sta a metà strada tra la narrazione favolistica ed il colpo di scena del giallo alla Hitchcock.
La cerebralità del film non impedisce un certo coinvolgimento emotivo, sebbene limitato alla naturale empatia che suscitano le gesta spettacolari ed audaci dell’eroina sola contro tutti pronta ad immolarsi per la difesa di madre natura.
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fabio
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lunedì 21 gennaio 2019
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don chisciotte in islanda...
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Abbastanza noiosa questa finta commedia (non si ride mai...). I temi della globalizzazione, del liberismo in economia, della democrazia non vengono nemmeno sfiorati. Tutto abbastanza ripetitivo. La protagonista alterna due identità: da innocua maestra di coro si trasforma in una sorte di eroina no-global e se ne va' scorrazzando per la tundra islandese rivolgendo il suo sacro furore contro poveri tralicci elettrici. Belle le musiche che letteralmente ne "accompagnano" (nel senso che i musicisti sono presenti nella scena) le gesta. Per il resto l'impressione che ne ho avuto è quella di un film che gira intorno inutilmente.
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