cinephilo
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lunedì 4 febbraio 2019
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insomma
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Con Vice Adam Mckay non riesce a replicare il buonissimo lavoro fatto con La Grande Scommessa. Il film per molti tratti vuoto e melenso non rende piena idea di ciò che veramente ha implicato la vicepresidenza di Cheney per gli USA e il resto del mondo. Ci prova ma non ci riesce. Consiglio, come già qualcuno ha fatto, la visione di Fair Game. Da salvare, secondo il mio modestissimo parere, l'interpretazione di Bale. Un grande trasformista.
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flaw54
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domenica 3 febbraio 2019
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originale e accattivante
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Film costruito in modo originale tra fiction e falso documentario con un immenso Christian Bale porta sullo schermo la vita romanzata di un uomo potente come Dick Cheney. Chiaramente di parte sul piano politico mette però in evidenza le assurde e indiscutibili incongruenze del sistema americano all'interno del quale uomini di bassissimo profilo come Bush possono diventare presidenti dello stato più potente del mondo. Tra trovate inaspettate, come la falsa conclusione a metà del film ed una recitazione eccellente il film di snoda con grande scioltezza e fa trascorrere due ore piacevoli.
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maramaldo
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sabato 2 febbraio 2019
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basso impero
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All'altezza del buontempone McKay e del suo Christian Bale qui poliedrico e sornione. Per gustarveli consiglio di non far caso a forzature e mistificazioni del tipo: ragazza di talento, Lynne la moglie (Amy Adams), tarpata dal maschilismo , per realizzarsi si lega ad un "poco di buono"; Saddam, nel nucleare candido come un agnellino, rovinato dai petrolieri che lo indussero ad invadere il Kuwait.
Scrupolose ricostruzioni, ci siamo abituati: lo Studio Ovale mi è familiare come se andassi a spolverarlo ogni mattina. Pignoleria nei dettagli, dagli orologi al prezioso fucile italiano con cui il "big dick" impallinò un avvocato scambiandolo per una quaglia.
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All'altezza del buontempone McKay e del suo Christian Bale qui poliedrico e sornione. Per gustarveli consiglio di non far caso a forzature e mistificazioni del tipo: ragazza di talento, Lynne la moglie (Amy Adams), tarpata dal maschilismo , per realizzarsi si lega ad un "poco di buono"; Saddam, nel nucleare candido come un agnellino, rovinato dai petrolieri che lo indussero ad invadere il Kuwait.
Scrupolose ricostruzioni, ci siamo abituati: lo Studio Ovale mi è familiare come se andassi a spolverarlo ogni mattina. Pignoleria nei dettagli, dagli orologi al prezioso fucile italiano con cui il "big dick" impallinò un avvocato scambiandolo per una quaglia. Trovatine fresche ed amene come i falsi titoli di coda a metà film e il surreale menù che il cameriere snocciola ai maneggioni al ristorante.
Virtuosismo nel realizzare fisionomie in cui intuisci personalità e dramma interiore. Ho rivisto dal vero il discorso di Colin Powell (Tyler Perry), solo ora ne comprendo ansia e vergogna. Complesso e sofferto il Donald Rumsfeld (Steve Carrell), ne assaporate l'amaro di quel lungo silenzio quando apprende al telefono di essere stato liquidato. Del Bush (Sam Rockwell) mi sono invaghito, tornerei a riguardarmelo mentre mordicchia il cosciottino con l'aria furbetta, "racconta" perfino messo di profilo, il nasino adunco da pappagalletto. Ma avete visto la faccia che fa il Vice quando la figlia (Alison Pill) rivela piagnucolando che le "piacciono le ragazze". In disparte, la madre, affranta, singhozza sommessamente.
Incursioni nel psicologico che sembrano non corrispondere agli intenti e ai moventi del film. Di chi, allora, McKay vuole occuparsi? Appaiono strati di umanità più in giù della cricca di Washington. Gente comune, chi narra, chi va in guerra, chi partecipa a talk show come quello dato nel finale a sorpresa, culminato in una baruffa alla Sgarbi. Una burla, certo, ma anche una delicatezza , Adam vuol far passare liscio e allegro il fatto che tutti son lì dentro a qualsiasi risma appartengano.
Non dimentichiamo, anche McKay appartiene alla pattuglia dei fustigatori, i flagellanti di una volta. L'approccio è però positivo. Convinti che libertà/democrazia/osservanza delle leggi siano un copyright esclusivo yankee essi amano la loro Nazione. Illuminati o liberal, patriotti. Termine da noi obsoleto, tra poco incomprensibile. In compenso, spenglerianamente sappiamo del tramonto e non ci stupiamo che qualcuno ricorderà l'11 Settembre in altro modo, sognando il califfato anche per il dopo di questa Bisanzio sul Potomac.
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tmpsvita
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mercoledì 23 gennaio 2019
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un film che non si dimentica
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Adam McKay ha la peculiarità di rendere argomenti quali l'economia ("The Big Short") o la politica, come in questo "Vice", fruibili come se fossero un elemento di semplice intrattenimento, un gioco godibile e divertente. Questo rende i suoi film estremamente particolari, direi unici e dal taglio narrativo assolutamente originale.
"Vice" è un film frenetico, instancabile, una biografia che fa della satira e dell'ironia i suoi punti di forza senza badare all'imparzialità e al punto di vista oggettivo; si tratta infatti di un vero e proprio sfogo rancoroso di McKay verso la politica americana degli ultimi trent'anni e il suo spirito conservativo e, dal suo punto di vista, tanto furbo quanto cinico.
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Adam McKay ha la peculiarità di rendere argomenti quali l'economia ("The Big Short") o la politica, come in questo "Vice", fruibili come se fossero un elemento di semplice intrattenimento, un gioco godibile e divertente. Questo rende i suoi film estremamente particolari, direi unici e dal taglio narrativo assolutamente originale.
"Vice" è un film frenetico, instancabile, una biografia che fa della satira e dell'ironia i suoi punti di forza senza badare all'imparzialità e al punto di vista oggettivo; si tratta infatti di un vero e proprio sfogo rancoroso di McKay verso la politica americana degli ultimi trent'anni e il suo spirito conservativo e, dal suo punto di vista, tanto furbo quanto cinico.
Tutto ciò porta ad un prodotto divertito e divertente, capace di prendere in giro e prendersi in giro, facile da amare ma anche facile da odiare. Il suo approccio sarcastico, sfacciato e bizzarro può essere visto,a seconda della persona, come un pregio o come un difetto, personalmente amo questo tipo di cinema perciò ho gradito praticamente l'intera pellicola, riconosco però i suoi limiti nel rappresentare il tutto attraverso una mentalità liberale che difficilmente incorpora altre linee di pensiero di cui critica praticamente ogni aspetto, inoltre il suo ritmo insaziabile e il montaggio sfrenato rende estremamente difficile incorporare l'enorme quantità di informazioni che vengono scaraventate allo spettatore che in alcuni momenti si trova un po' spaesato e confuso. Nonostante ciò il film è semplicemente uno spasso, un ritratto talvolta brutale, spasmodico e brillante di un personaggio poco conosciuto che ha cambiato il corso della storia, un personaggio per il quale si provano svariate sensazioni durante il film, spesso contrastanti.
Grazie alla regia geniale di McKay che lo ammira, lo rispetta, talvolta lo ama eppure non può che odiarlo, provarne astio, rancore e irritazione; tutte queste sfumature vengono magistralmente espresse da Christian Bale, in una delle sue migliori performance, che perfettamente immedesimato nel ruolo, ne ripropone un ritratto fulminante, preciso nei dettagli e nei movimenti a rendere, grazie anche allo straordinario trucco, irriconoscibile la sua identità.
Un film che più volte ricorda allo spettatore la sua ignoranza e stupidità, lo critica e lo disprezza eppure esso non può che annuire e sottomettersi a queste spregevoli verità ma è anche un film che spinge a volerne sapere sempre di più, apre lo stomaco e alimenta una fame per l'informazione ed è qui che raggiunge il suo vero scopo dare informazione in modo coinvolgente, addirittura divertente e in maniera credibile.
Voto: 8+/10
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giuseppe
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lunedì 21 gennaio 2019
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andreotti e cheney, due protagonisti del potere
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Ho recentemente visto due film: Il divo di Paolo Sorrentino e Vice Un uomo nell’ombra di Adam McKay.
Sono entrambe due biografie di famosi uomini politici. Il primo Giulio Andreotti ed il secondo Dick Cheney, molto diversi nelle biografie ufficiali, ma entrambi molto cinici ed “attaccati” al potere e pressoché incuranti delle conseguenze che la loro azione politica sui cittadini, sulle nazioni e persino sulla perdita delle vite umana, determinava.
Mettiamoli brevemente a confronto pur essendo consapevoli del rischio che un tale confronto possa apparire troppo arbitrario per chi legge, ma è solo per semplicità di trattazione. Soffermiamoci quindi sui punti in comune tra i due nella loro azione politica, tralasciando i particolari inevitabili sulle differenze caratteriali e sui differenti paesi sui quali hanno governato.
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Ho recentemente visto due film: Il divo di Paolo Sorrentino e Vice Un uomo nell’ombra di Adam McKay.
Sono entrambe due biografie di famosi uomini politici. Il primo Giulio Andreotti ed il secondo Dick Cheney, molto diversi nelle biografie ufficiali, ma entrambi molto cinici ed “attaccati” al potere e pressoché incuranti delle conseguenze che la loro azione politica sui cittadini, sulle nazioni e persino sulla perdita delle vite umana, determinava.
Mettiamoli brevemente a confronto pur essendo consapevoli del rischio che un tale confronto possa apparire troppo arbitrario per chi legge, ma è solo per semplicità di trattazione. Soffermiamoci quindi sui punti in comune tra i due nella loro azione politica, tralasciando i particolari inevitabili sulle differenze caratteriali e sui differenti paesi sui quali hanno governato.
Entrambe hanno usato il potere politico a fini personali, piuttosto che per il bene della comunità di cui facevano parte. Andreotti ha costituito assieme a Craxi e Forlani una vera e propria cordata del potere. Si chiamava CAF il loro poco anonimo “sodalizio” politico. Essi si alternarono alla guida del paese negli anni 70 e 80 fino alla loro completa defenestrazione e scomparsa a seguito delle vicende di Tangentopoli. In verità Andreotti è uscito dalla politica dopo, per il processo di associazione mafiosa che si concluse in appello con una formula dubitativa e tutta italiana “perché il fatto non sussiste”. Andreotti è stato comunque un protagonista assoluto della prima repubblica e un uomo del potere della democrazia consociativa prima con il partito comunista e con la benedizione del Vaticano, e poi con il partito socialista di Craxi, e per molte legislature.
Dick Cheney un uomo assolutamente grigio e pilotato dalla moglie ha invece percorso la sua carriera, appoggiandosi prima a Donald Rumsfeld e poi, dopo avere risalito tutti i gradini della scalata al potere degli Stati Uniti, come vice presidente di George W. Bush, forse il peggiore presidente americano. Dick Cheney agì con un potere quasi assoluto da presidente dal giorno del crollo delle torri gemelle, ma sin da prima aveva preparato la sua ascesa avendo ottenuto una interpretazione a suo favore della costituzione americana, ovvero la unicità del potere esecutivo nelle mani del presidente e quasi tutti i poteri delegati o delegabili al suo vice. Già favorevole alla guerra nel Vietnam, il crollo delle torri gemelle del 2001 costituì il pretesto per una rappresaglia militare contro l’Iraq di Saddam Hussein e contro l’Afganistan, ritenuta la base del terrorismo di matrice islamica, di Al Quaeda e di Osama Bin Laden. Centinaia di migliaia di morti civili in quei paesi, decine di migliaia di militari americani e degli alleati, milioni di danni alle istallazioni petrolifere, furono il bilancio di quella folle “vendetta”. Halli Burton un importantissimo contractor petrolifero americano di cui Dick Cheney era amministratore delegato, acquisì molti contratti per la ricostruzione, guarda caso dopo i bombardamenti americani sull’Iraq.
Insomma Andreotti e Cheney, due figure controverse e diverse, certamente, ma unite dalla stessa ambizione di potere sulle quali la Storia non si è ancora pronunciata ma si è interrogata, restituite molto bene dalla fiction cinematografica.
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lunedì 21 gennaio 2019
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vorrebbe essere michael moore
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Grande aspettativa per un film pompato dalla critica, metodo regia stile Michael Moore ma troppo scollegato. Solo i 2 attori principali riescono a farti sopportare di aspettare la fine deludente
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aldot
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domenica 20 gennaio 2019
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regia e interpretazione eccellenti
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Una regia che ti sorprende, mai retorica, continuamente sul filo del rasoio tra il grottesco e la cruda crealtà. Christian Bale interprete eccellente. Da non perdere.
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cinefoglio
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domenica 20 gennaio 2019
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istantanea di vice - l’uomo nell’ombra
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Il brillante sceneggiatore, nonché premio oscar, de La Grande Scommessa (2015) Adam McKay si ripropone, e “scommette”, con la stessa ironia e didascalia in un biografico, che ripercorre l’ascesa del vicepresidente del governo Bush: uomo e padre di famiglia devoto, burattinaio ed esperto stratega delle logiche di potere che governano, de facto,il centro decisionale più influente del mondo.
Il Bio-pic segue un iter cronologico lineare, con qualche flashback ed ellissi temporali ad anticipare un futuro storicamente conosciuto, che cerca di regalare una vivace dinamica alla visione, che in alcuni momenti si arena nell’ossessivo inseguimento del potere.
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Il brillante sceneggiatore, nonché premio oscar, de La Grande Scommessa (2015) Adam McKay si ripropone, e “scommette”, con la stessa ironia e didascalia in un biografico, che ripercorre l’ascesa del vicepresidente del governo Bush: uomo e padre di famiglia devoto, burattinaio ed esperto stratega delle logiche di potere che governano, de facto,il centro decisionale più influente del mondo.
Il Bio-pic segue un iter cronologico lineare, con qualche flashback ed ellissi temporali ad anticipare un futuro storicamente conosciuto, che cerca di regalare una vivace dinamica alla visione, che in alcuni momenti si arena nell’ossessivo inseguimento del potere.
Di per sé la pellicola regala una partecipazione attiva allo spettatore, che se non passa per il racconto a volte caotico, a volte volutamente saltellante ed intriso di elementi di finzione, si scontra con delle prese di posizioni filosofiche, ancorché politiche, condivisibili o ferocemente criticabili, tutte incarnate nella figura di Dick Cheney.
Il politico, abilmente interpretato da Christian Bale, avvalendosi del supporto dell’attrice Amy Adams e del suo ruolo di moglie forte (una di quelle che spinge il marito ad aspirazioni sempre più elevate, attributo e promotrice della donna conservatrice, peccando ahimè come mater familias), risulta sempre coerente ed intrigante, nonostante gli avvenimenti si originano intorno a lui, non si dimostra mai eccessivo ed auto-referenziale.
Oltre a ciò,la sensazione di una vera e propria mancanza di posizione da parte dell’autore sulla chiave di lettura del film (una visione conservatrice o ad una liberale in relazione alle politiche statunitensi) può disorientare lo spettatore, oltre, e qui è “un marchio di fabbrica”, il costante utilizzo di forme didascaliche, dai camei di note celebrità al riassunto testuale, portano la pellicola da una biografia solida e certa, ad una sorta di documentario, che cerca di stuzzicare e provocare, ma che realmente risulta contraddittoria e di difficile interpretazione nel messaggio, e nell’attesa reazione del pubblico.
Un film lungo, sì, con parti più introduttive e dilatate, ed altre più adrenaliniche, al meno nel montaggio, il qualerisulta piacevole, con una interpretazione giusta ed equilibrata, efficace quanto il Golden Globe vinto.
11/01/2019
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astromelia
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sabato 19 gennaio 2019
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geniale per certi versi
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la genialità di questo docufilm secondo me sta nel montaggio che d'altronde ricorda la grande scommessa per ritmo compulsivo,sebbene annoi la storia a tratti,quello che incuriosisce è il personaggio/attore christian bale,assolutamente meritevole dell'oscar ,il resto è risaputo.forse un pò troppe didascalie verbali ma comunque da vedere,ottimo cast.
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giovedì 17 gennaio 2019
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brillante
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Bale bravissimo, così come ci ha abituati da tempo. Il film scorre veloce
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