“… mare mare, qui non viene mai nessuno a trascinarmi via, mare mare, qui non viene mai nessuno a farci compagnia ... e io che non riesco a parlare nemmeno con me” oredana Bertè (Il mare d’inverno)
Due anime fragili, sole e ferite. Due vite precarie, socialmente e sentimentalmente. Molto diverse, praticamente opposte. Quella di Paolo, taciturno e introverso, commesso in un megastore simil Ikea. Quella di Mia, stravagante cantante punk allo sbando, incinta al sesto mese. Paolo è in crisi perché il suo compagno l’ha lasciato dopo otto anni. Mia vive alla giornata, non sa cosa fare della sua vita. Si incontrano per caso, nel posto più improbabile, una dark room di una discoteca gay, dove Mia sviene tra le braccia di Paolo. Si riconoscono subito, dopo essersi “annusati” si aggrappano l’uno all’ altra. Inizieranno uno strampalato viaggio on the road da nord a sud, da Torino alla Calabria, per portare Mia dal misterioso padre della bambina. Un viaggio dell’anima, alla ricerca di se stessi, per fare i conti con un passato mai affrontato. L’infanzia di Paolo è stata segnata dal trauma straziante dell’abbandonato della madre che lo ha lasciato alle suore dell’ orfanatrofio. Mia invece se n’è andata da casa giovanissima, fuggendo dal soffocante provincialismo meridionale e dal rapporto conflittuale con la famiglia. Le loro solitudini si sorreggono, si prendono cura l’uno dell’altra con un sentimento puro, gratuito, senza implicazioni erotiche né morbosità. Ripartono inconsciamente proprio dall’infanzia perduta, giocando, truccandosi, riscoprendo l’innocenza della purezza dei sentimenti. “Dimmi qualcosa …” - chiede candidamente Mia - “Sei bella”. Tornano ragazzi per (poter) vedere e riconoscere quella possibilità di un futuro di cui hanno sempre avuto paura. Dovranno decidere se affrontarlo o meno, diventando così adulti. Il padre d’Italia, pur nella linearità della storia raccontata, affronta tematiche complesse, socialmente spinose e cinematograficamente scivolose. Ci vuole una grande sensibilità e una profonda onestà intellettuale per parlare con tanta delicatezza di paternità omosessuale o di rifiuto della maternità. Al centro del film c’è proprio il senso della genitorialità. “Essere genitore fa parte della natura dell’essere umano? E non esserlo? Cosa è naturale e cosa è contro natura?”. Fabio Mollo, giovane regista calabrese al secondo lungometraggio, conferma le straordinarie qualità che hanno fatto acclamare a Berlino e a Roma il film d’esordio Il sud è niente. Il suo è un cinema che fa pensare e commuovere per la grazia e la dolcezza con cui racconta i suoi personaggi. E’ un cinema intimo e personale, fatto di sguardi, di volti e di inquadrature ravvicinate, senza mai essere invadente. Mollo non ha alcun intento ideologico, tantomeno tesi da dimostrare, lascia che sia lo spettatore a giudicare. Il coinvolgimento emotivo è amplificato dalle superlative interpretazioni di Luca Marinelli e Isabella Ragonese, due tra i migliori attori italiani di questi anni. Mollo e i due protagonisti hanno lavorato per un anno sulla sceneggiatura, curandone i minimi dettagli. L’intensità della malinconia dello sguardo di Marinelli trasuda autenticità, come del resto l’esuberanza mesta di Mia, interpretata dalla Ragonese. Il pathos che si crea tra i due mostra una notevole affinità e un’intima partecipazione al progetto di Fabio Mollo. Molto bella la fotografia di Daria D’Antonio, perfetta la colonna sonora pop elettronica di Giorgio Giampà, arricchita da diversi richiami agli anni ottanta con le canzoni di Loredanà Bertè cantate da Marinelli - Il mare d’inverno e Non sono una signora - e con la Ragonese che interpreta in modo originale There is a light that never goes out degli Smiths. Nel finale, delicato e inaspettato, si compie un piccolo miracolo. Paolo ha finalmente di fronte il futuro, e lo affronta commosso. E se “i miracoli, per definizione, sono contro natura”, la risposta ce la dà la vita stessa “che di miracoli ogni giorno ne compie molti”.
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