degiovannis
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mercoledì 8 febbraio 2017
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la fine di un micromondo?
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Molto completa ed esaustiva la recensione della Gandolfi, con la quale non si può non concordare.
Mi limiterò quindi ad alcune brevi osservazioni.
L'impossibilità per Louis di tenere fede alle sue intenzioni e svelare il suo dramma è proprio dovuta al fatto che egli realizza che forse la sua è la condizione migliore, la condizione di chi 'deve' abbandonare questo mondo e quindi non è costretto a scegliere se restare o andare.
Gli altri non sono alla sua altezza, non hanno lo stesso sguardo critico e quindi nuotano disperatamente alla ricerca di una salvezza che, ne siamo certi, non arriverà mai.
Il film è bello comunque anche e nonostante questo approdo disperato!
E' bello, tecnicamente parlando, perché c'è una perfetta coincidenza tra taglio delle inquadrature e psicologia dei personaggi.
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Molto completa ed esaustiva la recensione della Gandolfi, con la quale non si può non concordare.
Mi limiterò quindi ad alcune brevi osservazioni.
L'impossibilità per Louis di tenere fede alle sue intenzioni e svelare il suo dramma è proprio dovuta al fatto che egli realizza che forse la sua è la condizione migliore, la condizione di chi 'deve' abbandonare questo mondo e quindi non è costretto a scegliere se restare o andare.
Gli altri non sono alla sua altezza, non hanno lo stesso sguardo critico e quindi nuotano disperatamente alla ricerca di una salvezza che, ne siamo certi, non arriverà mai.
Il film è bello comunque anche e nonostante questo approdo disperato!
E' bello, tecnicamente parlando, perché c'è una perfetta coincidenza tra taglio delle inquadrature e psicologia dei personaggi. L'insistenza sui primi piani pertanto non è fine a se stessa, ma strumento perfetto per indagare la psicologia dei personaggi e guidare lo spettatore alla loro conoscenza e comprensione. Si capisce così che l'atteggiamento estremanete indisponente di Antoine, il fratello maggiore, altro non è che la spia di un malessere infinito di cui non si intravvede la soluzione
La famiglia quindi ha smesso di essere approdo esistenziale consolatorio e diventa essa stessa fonte di drammi e di nevrosi che poi rischiano di esplodere in tragedie (E la cronaca, ahimé, è ormai ricca di questi episodi).
Ma, anche se il mondo esterno non appare mai (volutamente il film non ha uno spazio e un tempo definiti) tuttavia lo spettatore esce dal cinema con la certezza che la crisi di questa famiglia è semplicemnete il portato di una crisi più grande, che è poi quella della civiltà occidentale all'inizio del terzo millennio.
Tutti bravissimi gli attori a cominciare da Ulliel, un volto interessantissimo e perfettamente nella parte!
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valterchiappa
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sabato 3 giugno 2017
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la famiglia luogo del dolore
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Tornare. Può essere un’idea che ci accarezza. Sciogliere i nodi del passato, i grumi che ostacolano il flusso della memoria.
È quello che Louis (Gaspard Ulliel), drammaturgo affermato, decide di fare. Tornare da dove è fuggito 12 anni prima: la famiglia. Ha un pretesto forte per farlo, annunciare la sua prossima morte. In un superbo ed estremo esercizio di controllo vuole ricucire i capitoli irrisolti della trama della sua vita.
Ma già sull’uscio la realtà si presenta nuda. Ad accoglierlo le schermaglie che evolveranno in un ininterrotto battibecco. Perché “È solo la fine del mondo” è fatto di un vociare continuo, di voci stridule che si sovrappongono, di frasi che si susseguono senza una costruzione logica.
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Tornare. Può essere un’idea che ci accarezza. Sciogliere i nodi del passato, i grumi che ostacolano il flusso della memoria.
È quello che Louis (Gaspard Ulliel), drammaturgo affermato, decide di fare. Tornare da dove è fuggito 12 anni prima: la famiglia. Ha un pretesto forte per farlo, annunciare la sua prossima morte. In un superbo ed estremo esercizio di controllo vuole ricucire i capitoli irrisolti della trama della sua vita.
Ma già sull’uscio la realtà si presenta nuda. Ad accoglierlo le schermaglie che evolveranno in un ininterrotto battibecco. Perché “È solo la fine del mondo” è fatto di un vociare continuo, di voci stridule che si sovrappongono, di frasi che si susseguono senza una costruzione logica.
Antoine (Vincent Cassel) sfoga la sua aggressività di uomo frustrato, rinfacciando al fratello le scarse attenzioni ricevute. La sorella minore Suzanne (Léa Seydoux) è una ragazza irrisolta, incline all’autodistruzione e all’abuso di spinelli. La madre (Nathalie Baye), cristallizzata nelle sue categorie mentali, non ha gli strumenti per ricomporre quel quadro frantumato. “Non capisco ma ti voglio bene”, battuta che la madre rivolge al figlio, è la sintesi di tutto: l’incapacità a comprendersi o semplicemente a venirsi incontro è la radice di quell’urlare sconnesso. Cui si contrappone il silenzio del protagonista. Perché Louis, durante tutta la sua permanenza tace, osserva tutto con i suoi occhi liquidi. Impotente, anche lui incapace, di ritessere una qualsiasi trama.
Ma la comunicazione impossibile con i familiari si instaura con l’unica persona esterna al nucleo: la cognata Catherine (Marion Cotillard), moglie succube di Antoine alle cui grida risponde con una tentennante balbuzie. Dolan sottolinea continuamente l’incrocio degli occhi di Louis e Catherine. Gli sguardi al posto delle parole, dialogo silente e profondamente empatico, è l’unico in un mare di parole urlate. Sarà Catherine infatti l’unica a intuire il doloroso segreto di Louis.
Xavier Dolan torna sulle tematiche familiari a lui care, da sempre lette in modo conflittuale, da “J’ai tué ma mère” a “Mommy”. C’è sempre una madre, mai un padre, c’è sempre rabbia, c’è sempre incomprensione, sullo sfondo l’omosessualità. Nel testo del drammaturgo francese Jean-Luc Lagarce Dolan trova la sintesi finale del suo discorso sulla famiglia, di cui decreta definitivamente il crollo, così come l’ultimo, innocente simbolo di essa che, nel finale, si schianta al suolo.
Nel trasporre il testo teatrale Dolan usa tutti gli strumenti a sua disposizione: una tecnica filmica sublime, che si esprime attraverso colori saturi e primi piani strettissimi; l’interpretazione dei suoi talentuosi interpreti (sublime ancora una volta Marion Cotillard, voce imprigionata dal balbettio, viso costretto a dire l’ineffabile); flashback che spezzano il rumore e riportano a una dimensione quasi elegiaca. Importante l’utilizzo di una colonna sonora quanto mai eterogenea, dal brano di Camille “Home is where it hurts” (titolo emblematico) al Moby di “Natural Blues”, dai Blink 182 a, addirittura, la hit romena “Dragostea Din Tei”. Alla musica difatti è affidato il compito di accendere gli spazi del sentimento.
Ma al tocco della bacchetta di Dolan che cambia bruscamente il registro, nell’animo dello spettatore il disturbo lascia spazio al dolore: questo è dato al suo sentire. Per Louis tornare a casa, per Dolan riaffrontare i fantasmi familiari, è stato inutile. Nessuna catarsi, nessuna speranza di redenzione, c’è solo sofferenza.
Per Xavier Dolan, ineluttabilmente, “Home is where it hurts”.
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michelino
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giovedì 16 novembre 2017
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forse non sarà la fine del mondo ma però...
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Xavier Dolan, regista canadese, 28 anni e almeno sei film
all'attivo, tutti film di ottima qualità. Dire che il ragazzo è uno
da tenere d'occhio è fare dell' eufemismo; questo giovane
regista deve essere cresciuto a pane e cinema e nei suoi
film si possono riconoscere le influenze di tanti di quei registi
che sembrano averlo ispirato parecchio, tanto per citarne uno
a me viene in mente il grande John Cassavetes.
I film di Dolan ci raccontano di microcosmi sociali ed affettivi
(amicizie, famiglie, amori ) visti dallo sguardo disincantato di
una gioventù contemporanea.
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Xavier Dolan, regista canadese, 28 anni e almeno sei film
all'attivo, tutti film di ottima qualità. Dire che il ragazzo è uno
da tenere d'occhio è fare dell' eufemismo; questo giovane
regista deve essere cresciuto a pane e cinema e nei suoi
film si possono riconoscere le influenze di tanti di quei registi
che sembrano averlo ispirato parecchio, tanto per citarne uno
a me viene in mente il grande John Cassavetes.
I film di Dolan ci raccontano di microcosmi sociali ed affettivi
(amicizie, famiglie, amori ) visti dallo sguardo disincantato di
una gioventù contemporanea.
Forse, la sua è una gioventù troppo borghese e agiata, ma
questo non toglie molto alla 'bellezza' di quello sguardo.
E' solo la fine del mondo racconta di un ritorno a casa dopo un
assenza più che decennale. Si tratta di un momentaneo ritorno
messo in atto con uno scopo preciso che è quello di dover fare
una importante rivelazione.
Stop, della trama non vi dico più niente.
Vi dico invece di volti inquadrati in primo piano e seguiti da una
cinepresa che sembra incollata ai corpi, quasi come a voler
cercare l'anima dei personaggi.
Vi dico di un film molto parlato il quale alla fine mi ha lasciato
con una forte sensazione di silenzio.
Vi dico di dialoghi all'apparenza banali ma che in realtà non
fanno altro che ripetere con altre parole le cose da dire che
non vengono mai dette.
Vi dico della sorpresa che mi ha fatto vedere un Vincent Cassel
che ( per una volta ) non fa la parte del duro e che in questo film
dimostra di saper essere un grandissimo attore (di questo film
consiglio caldamente la versione in lingua originale).
Vi dico che questo è un film claustrofobico.
Volutamente claustrofobico per rendere l'idea di una giornata in
famiglia e forse,anche per rendere l'idea di un destino ineluttabile.
Vi dico che forse non sarà la fine del mondo, ma che se amate
il cinema che apre le menti vi consiglio di non mancare a questo
appuntamento.
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tmpsvita
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giovedì 4 gennaio 2018
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splendido quadretto di una famiglia complessa
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Xavier Dolan, classe 1989 e già ben 6 film da regista, primo film a soli 20 anni, ma è con "Mommy" (2014) che raggiunge il successo, vincendo svariati premi, tra cui il Cesar, che lo rendono uno dei più promettenti cineasti degli ultimi anni.
Non ho ancora avuto modo di vedere tutti suoi lavori, ma dopo questo "È solo la fine del mondo" mi sa proprio che rimedierò il più presto possibile.
Dolan dimostra una maturità veramente notevole che gli permette di potersi confrontare con i migliori del cinema d'autore, in particolar modo quello europeo, senza alcun timore.
Infatti dirige con estrema consapevolezza un film veramente difficile da realizzare: sarebbe potuto essere di una banalità e pesantezza disarmanti, e invece riesce a rendere tutto una meraviglia per gli occhi e per le orecchie.
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Xavier Dolan, classe 1989 e già ben 6 film da regista, primo film a soli 20 anni, ma è con "Mommy" (2014) che raggiunge il successo, vincendo svariati premi, tra cui il Cesar, che lo rendono uno dei più promettenti cineasti degli ultimi anni.
Non ho ancora avuto modo di vedere tutti suoi lavori, ma dopo questo "È solo la fine del mondo" mi sa proprio che rimedierò il più presto possibile.
Dolan dimostra una maturità veramente notevole che gli permette di potersi confrontare con i migliori del cinema d'autore, in particolar modo quello europeo, senza alcun timore.
Infatti dirige con estrema consapevolezza un film veramente difficile da realizzare: sarebbe potuto essere di una banalità e pesantezza disarmanti, e invece riesce a rendere tutto una meraviglia per gli occhi e per le orecchie.
Ho amato le sue inquadrature estremamente intime, i suoi primi piani talmente stretti da essere quasi claustrofobici, racchiudono ogni personaggio all'interno dei suoi pensieri, le sue parole dette con difficoltà, quelle dette con impulsività e quelle che non riesce e non vuole dire, in ognuno di questi primi piani il protagonista di essi è messo a nudo, di fronte a noi, della sua anima e di ciò che neanche lui vuole ammettere di essere o che semplicemente non sa di essere. Xavier Dolan così fa sentire te spettatore privilegiato a poterci entrare, di poter conoscere i vari segreti, problemi e rapporti di questa famiglia che non riesce a riconoscersi come tale ma che vorrebbe tanto poterlo fare.
E intanto tra di loro aleggia questo annuncio, una brutta notizia, notizia di morte, della sua morte, imminente, che il protagonista si tiene dentro e che anche il motivo per cui dopo tanti anni è tornato da loro, ma è bloccato tra la sua volontà di dirlo e la sua impossibilità a poterlo fare.
Dolan conclude questa pièce teatrale con una delle più significative e più emozionanti scene che ho potuto vedere in quest'ultimi anni.
Le sue straordinarie inquadrature sono accompagnate da una meravigliosa colonna sonora e trasportate da dialoghi scomodi, che straniano ma che rimangono sempre veri, sinceri e, all'interno del contesto del film, credibili e per questo stupiscono.
Una sceneggiatura che spiazza, attraverso momenti di isteria generale, tristezza, affetto, sentimenti forti e tanta incertezza.
Naturalmente per interpretare dei ruoli così completati serviva un cast all'altezza e infatti possiamo ammirare delle impeccabili interpretazioni da un cast composto interamente da grandissimi interpreti del cinema francese come Vincent Cassel, Léa Seydoux (già visti insieme nella trasposizione francese del 2014 de "La Bella e la Bestia"), Marion Cotillard, Nathalie Baye e Gaspard Ulliel.
Un film per niente facile da vedere, perché molto lento e complesso ma che se visto nel mood giusto, con la giusta attenzione e volontà saprà ricambiarvi con tante emozioni, difficili da assorbire, ma intense.
Voto: 8/10
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kaipy
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lunedì 26 dicembre 2016
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sono solo 5 stelle ma ne darei di più
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Agli attori si rimprovera di recitare, agli scrittori di raccontare storie, alla famiglia di amare disperatamente.
Un film intenso e lacerante che si snoda su dialoghi serrati, esasperati.
Fiumi di parole a cui i personaggi si aggrappano per nascondere la gioia, il dolore, la paura.
Dietro quel flusso inarrestabile di frasi, Louis, silenzioso e sensibile, è muto, travolto dalla fiumana dei sentimenti e da un senso di impotenza sempre più grande.
Parole che gridano e chiamano altre parole, taciute.
Urla silenziose di una verità che ha mille facce di cui è possibile affrontare solo i riflessi.
Intensa prova per tutti gli attori, travolti nel occhio del ciclone, nella calma della campagna, nel tormento del cuore.
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Agli attori si rimprovera di recitare, agli scrittori di raccontare storie, alla famiglia di amare disperatamente.
Un film intenso e lacerante che si snoda su dialoghi serrati, esasperati.
Fiumi di parole a cui i personaggi si aggrappano per nascondere la gioia, il dolore, la paura.
Dietro quel flusso inarrestabile di frasi, Louis, silenzioso e sensibile, è muto, travolto dalla fiumana dei sentimenti e da un senso di impotenza sempre più grande.
Parole che gridano e chiamano altre parole, taciute.
Urla silenziose di una verità che ha mille facce di cui è possibile affrontare solo i riflessi.
Intensa prova per tutti gli attori, travolti nel occhio del ciclone, nella calma della campagna, nel tormento del cuore.
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boffese
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venerdì 9 dicembre 2016
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dolan e' la fine del mondo
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Dolan , arista ormai affermato anche in Italia , dopo il bellissimo Mommy e il fantastico" ripescato Lawrence Anyways , esce nei nostri cinema con E' solo la fine del mondo , ultimo vincitore del Gran Prix a Cannes.
La storia per la prima volta non nasce da un soggetto del talento canadese , ma viene da un pièce teatrale di Lagarce,poi risceneggiata dallo stesso regista.
Un adattamento molto difficile da portare in sala , ma grazie anche ad un cast sopra le righe , riesce a far emozionare lo spettatore dal primo all ultimo minuto.
La storia e' di quelle gia' viste e sentite , alcuni le chiamano " Home Coming", cioe' piu' semplicemente un ritorno a casa dopo anni . Poi pero' quello che tocca Dolan ,non puo' essere semplicemente una storia come le altre, il ragazzo del Quebec, quello che filma diventa oro.
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Dolan , arista ormai affermato anche in Italia , dopo il bellissimo Mommy e il fantastico" ripescato Lawrence Anyways , esce nei nostri cinema con E' solo la fine del mondo , ultimo vincitore del Gran Prix a Cannes.
La storia per la prima volta non nasce da un soggetto del talento canadese , ma viene da un pièce teatrale di Lagarce,poi risceneggiata dallo stesso regista.
Un adattamento molto difficile da portare in sala , ma grazie anche ad un cast sopra le righe , riesce a far emozionare lo spettatore dal primo all ultimo minuto.
La storia e' di quelle gia' viste e sentite , alcuni le chiamano " Home Coming", cioe' piu' semplicemente un ritorno a casa dopo anni . Poi pero' quello che tocca Dolan ,non puo' essere semplicemente una storia come le altre, il ragazzo del Quebec, quello che filma diventa oro. La sua capacita' di catturare le emozioni degli sguardi e'fenomenale, nonostante il film e' colmo d'isterismi , quello che piu' colpisce allo stomaco sono gli sguardi e i silenzi assordanti di Louis , interpretato dal bravissimo e sconosciuto ai piu', Gaspard Ulliel.
Il film e' meno elegante e stilistico di Lawrence Anyways e meno magnetico e coraggioso di Mommy , ma ha una sua anima forte , che colpisce lo spettatore con un pugno forte allo stomaco per tutti i 95 minuti .
Xavier Dolan non sbaglia un colpo e dai suoi 6 film finora girati , viene fuori un lato artistico che pochissimi hanno , un saper emozionare grazie a stacchi musicali , slow motion e una regia originale che non perde neanche un piccolo particolare per far emozionare.
Siamo di fronte ad uno dei pochi contemporanei che potra' scrivere il suo nome tra i grandi del cinema mondiale.
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fabiofeli
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lunedì 12 dicembre 2016
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"quanto tempo? ..."
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Louis (Gaspard Ulliel), scrittore affermato di drammi teatrali torna nella provincia del Quebec, dopo una assenza di 12 anni, per annunciare ai familiari che ha i giorni contati. I suoi si meravigliano per quel ritorno e lo pressano per conoscere il motivo della interruzione della sua assenza da casa; hanno ricevuto da lui solo cartoline per auguri di compleanno. La risposta è in un sorriso enigmatico o in due-tre parole che non dicono niente, come gli rimprovera la madre (Nathalie Baye); neanche la sorella minore Suzanne (Léa Seydoux), lasciata bambina e ritrovata donna, né il fratello maggiore Antoine (Vincent Cassel) comprendono il motivo della visita. Solo la cognata Catherine (Marion Cotillard) sembra intuire qualcosa: gli rivolge una domanda diretta – “Quanto tempo? …” –, ma la risposta resta sospesa.
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Louis (Gaspard Ulliel), scrittore affermato di drammi teatrali torna nella provincia del Quebec, dopo una assenza di 12 anni, per annunciare ai familiari che ha i giorni contati. I suoi si meravigliano per quel ritorno e lo pressano per conoscere il motivo della interruzione della sua assenza da casa; hanno ricevuto da lui solo cartoline per auguri di compleanno. La risposta è in un sorriso enigmatico o in due-tre parole che non dicono niente, come gli rimprovera la madre (Nathalie Baye); neanche la sorella minore Suzanne (Léa Seydoux), lasciata bambina e ritrovata donna, né il fratello maggiore Antoine (Vincent Cassel) comprendono il motivo della visita. Solo la cognata Catherine (Marion Cotillard) sembra intuire qualcosa: gli rivolge una domanda diretta – “Quanto tempo? …” –, ma la risposta resta sospesa. Emergono tutti i conflitti familiari: le insofferenze, i rancori, le frustrazioni del fratello maggiore schiacciato dalla personalità brillante del minore e della sorella più piccola scarsamente considerata. E il momento dell’annuncio sembra non arrivare mai nella situazione giusta per la rivelazione …
Dolan accende e fa esplodere come mortaretti gli scontri familiari punteggiati da ricorrenti esclamazioni volgari per rafforzare il proprio punto di vista; stringe la camera su primi e primissimi piani dirigendo nella baraonda con la solita notevole efficacia attori navigati come Cassel e la Cotillard, ma anche la bravissima Seydoux, a suo tempo protagonista de La vita di Adele di Kechiche, Palma d’oro 2013 a Cannes; interrompe le sequenze di campi e controcampi inventando movimenti di macchina avvolgenti che fanno perdonare un superfluo “ralenti” che dovrebbe precedere la rivelazione: è forse l’unica scivolata che invece di accrescere la tensione, sfilaccia l’azione. Con questa pellicola, che ha un impianto teatrale ed è girato quasi tutto in interni, Dolan ha colto il gran premio della Giuria a Cannes 2016, confermando il valore del suo grande talento dopo Tom à la ferme e Mommy; la storia scorre liscia: trama, dialoghi, montaggio e fotografia – compresa quella dei paesaggi canadesi “sporcati” dalla ripresa dall’interno dell’auto nel giro dei due fratelli in cerca di sigarette – producono un film da non perdere.
Valutazione *** e ½
FabioFeli
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domenico astuti
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venerdì 9 dicembre 2016
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scene di famiglia
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Sarà anche il doppiaggese che appiattisce tutto, sarà che gli attori ( tutti assai bravi ma fuori ruolo) risultano poco credibili nei loro personaggi ( Dalla mamma Nathalie Baye, una che dovrebbe essere una casalinga di una provincia sperduta, a Vincent Cassel, un omino senza importanza, con un lavoro modesto e frustrato verso il mondo intero, fino a Marion Cotillard, una casalinga sottomessa dal rude marito tutta presa dai figli e da una vita malinconica: forse la più credibile, ma salta agli occhi un’immedesimazione da attrice ), sarà per i corpo a corpo continui, e a volte gratuiti, tra i protagonisti e nei confronti del parente ritornato a casa dopo 12 anni, ma questo film ( fin troppo teatrale, lascia una genericità di luoghi, sentimenti e rapporti ) non riesce nel suo intento.
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Sarà anche il doppiaggese che appiattisce tutto, sarà che gli attori ( tutti assai bravi ma fuori ruolo) risultano poco credibili nei loro personaggi ( Dalla mamma Nathalie Baye, una che dovrebbe essere una casalinga di una provincia sperduta, a Vincent Cassel, un omino senza importanza, con un lavoro modesto e frustrato verso il mondo intero, fino a Marion Cotillard, una casalinga sottomessa dal rude marito tutta presa dai figli e da una vita malinconica: forse la più credibile, ma salta agli occhi un’immedesimazione da attrice ), sarà per i corpo a corpo continui, e a volte gratuiti, tra i protagonisti e nei confronti del parente ritornato a casa dopo 12 anni, ma questo film ( fin troppo teatrale, lascia una genericità di luoghi, sentimenti e rapporti ) non riesce nel suo intento. Cioè raccontare le incomprensioni, i piccoli e grandi drammi, di un interno familiare piccolo borghese di provincia che sembra scoppiare a ogni minuto ma che non riesce a risolvere proprio nulla. In tutto questo c’è il protagonista, malinconico di suo e per una ragione ben seria, che è venuto a comunicare una notizia ma che andrà via senza avere il coraggio e la possibilità di confessarla. Se non fosse per una regia elegante ma narcisista e distonica, uno scritto un po’ isterico che ha troppi profondi legami con la commedia canadese di Jean-Luc Lagarce, se non fosse per degli attori tutti molto glamour e carismatici ( ma sbagliatissimi ) si potrebbe definire questa storia con un termine di alcuni decenni fa: un vero polpettone. Ma in questo caso non c’è melodramma e in fondo risulta algido e poco empatico. Sembra come se lo spettatore giungesse ad ogni scena con qualche secondo di ritardo. E incredibilmente, il giovane regista canadese Xavier Dolan ( ventisette anni e all’attivo già sei film ), ha ottenuto all’ultimo Festival di Cannes, il Grand Prix Speciale della Giuria, un premio che dovrebbe essere assegnato per l’originalità o lo spirito di ricerca.
Una pura messa in scena teatrale, in cui al centro ci sono le schermaglie familiari e personali, un dramma però senza una profondità di analisi psicologica, come fosse la punta di un iceberg, o peggio si dà per scontato il back ground che ha portato a questi rapporti familiari. Un film un po’ presuntuoso, che Dolan gira come se già si sentisse un Fassbinder o un Cassavetes, tuttavia è ancora distante dal raggiungere la maturità artistica di quei due grandi registi del secolo scorso. Ma sembra che non gli sia nemmeno ben chiara la messa in scena che ha allestito, si perde nella direzione degli attori e nella complicata verbosità senza profondità e originalità, che in fondo non mostra mai una direzione narrativa.
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flyanto
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lunedì 12 dicembre 2016
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un ritorno poco sereno
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Con "E' Solo la Fine del Mondo" ritorna in questi giorni nelle sale cinematografiche il giovane regista prodigio canadese Xavier Dolan. Il titolo riprende una battuta del protagonista che, ritornato a casa dopo dodici anni al fine di annunciare la sua prossima imminente morte ai propri familiari, pronuncia al fratello in riferimento al proprio luogo d'infanzia, luogo ormai lontano e perduto per sempre. Divenuto uno scrittore di successo, il protagonista ha rotto da, appunto, ben dodici anni, i rapporti difficili con la propria famiglia, ormai composta solo dalla madre, dal fratello maggiore (sposato) e dalla sorella minore. Nei luoghi dove egli, si intuisce, ha trascorso un'adolescenza travagliata, egli cerca di riunirsi serenamente ai propri cari e tentando di trovare il momento più opportuno al fine di annunciare l'imminente triste realtà della propria condizione di malato terminale.
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Con "E' Solo la Fine del Mondo" ritorna in questi giorni nelle sale cinematografiche il giovane regista prodigio canadese Xavier Dolan. Il titolo riprende una battuta del protagonista che, ritornato a casa dopo dodici anni al fine di annunciare la sua prossima imminente morte ai propri familiari, pronuncia al fratello in riferimento al proprio luogo d'infanzia, luogo ormai lontano e perduto per sempre. Divenuto uno scrittore di successo, il protagonista ha rotto da, appunto, ben dodici anni, i rapporti difficili con la propria famiglia, ormai composta solo dalla madre, dal fratello maggiore (sposato) e dalla sorella minore. Nei luoghi dove egli, si intuisce, ha trascorso un'adolescenza travagliata, egli cerca di riunirsi serenamente ai propri cari e tentando di trovare il momento più opportuno al fine di annunciare l'imminente triste realtà della propria condizione di malato terminale. Ma non tutto va come previsto e gli antichi dissapori, le gelosie, le frustrazioni mai sopite che hanno causato tempo addietro la difficile comunicazione con i propri familiari, peraltro di per sè parecchio particolari come individui per ciò che riguarda il carattere e la personalità, riemergono puntualmente e ben vivi, lasciando il protagonista nella condizione di essere costretto a ripartire senza nulla pronunciare di sè e senza mai più ritornare.
Tratto da una pièce teatrale, l'ultima pellicola di Dolan è strutturata, a differenza delle sue precedenti, proprio come la sua opera d'origine. Sicuramente nel contenuto meno originale ed "esuberante", nonchè sconvolgente e trasgressivo, dei suoi films antecedenti, "E' Solo la Fine del Mondo" troverà tra il pubblico maggior consenso e plauso rispetto a prima: se con "Mommy" e, ancor più indietro nel tempo con "Laurence Anyways" (purtroppo gli unici due films giunti sinora a noi in Italia o, per lo meno, a Genova) Dolan, per quanto grandemente apprezzato e riconosciuto dagli spettatori, era un artista riservato ad un élite parecchio ristretta del pubblico, ora finalmente si consacra e si rivolge ad un pubblico più vasto, sebbene sempre ricercato. Con questa sua ultima pellicola Dolan riesce in maniera perfetta, equilibrata e, ripeto, senza ricorrere ad immagini forti e talvolta estreme, a raccontare un dramma familiare che altro non è che quello che egli sempre rappresenta e sa, in maniera sublime, rappresentare in tutte le sue opere: la difficoltà, cioè, da parte di un giovane uomo o, addirittura di un adolescente, di solito omosessuale, a relazionarsi con i propri familiari, "in primis" la figura della madre, solitamente descritta come una persona fuori dal comune, preponderante e con una personalità forte, nonchè nevrotica. Insomma, la difficoltà a crescere, ad affermare la propria vera natura ed il tormento che viene vissuto in tutto il proprio "iter" personale: contenuti e stati d'animo quasi autobiografici che questo giovanissimo e prolifico regista canadese dimostra palesemente di ben conosce e saper esprimere.
Inoltre, mirabilmente interpretato da soli cinque, ma ottimi, attori francesi quali, Marion Cotillard, Léa Seydoux, Vincent Cassel, Gaspard Ulliel e Nathalie Baye, spiccano però sugli altri in una maniera particolare gli ultimi due citati e precisamente nella parte rispettivamente dello scrittore protagonista malato e della madre. Ma tutti complessivamente interagiscono all'unisono, interpretando dei ruoli difficili ed altamente drammatici di individui tormentati ed assai sensibili.
Sicuramente consigliabile.
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boffese
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venerdì 9 dicembre 2016
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dolan e' la fine del mondo
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Dolan , arista ormai affermato anche in Italia , dopo il bellissimo Mommy e il fantastico" ripescato Lawrence Anyways , esce nei nostri cinema con E' solo la fine del mondo , ultimo vincitore del Gran Prix a Cannes.
La storia per la prima volta non nasce da un soggetto del talento canadese , ma viene da un pièce teatrale di Lagarce,poi risceneggiata dallo stesso regista.
Un adattamento molto difficile da portare in sala , ma grazie anche ad un cast sopra le righe , riesce a far emozionare lo spettatore dal primo all ultimo minuto.
La storia e' di quelle gia' viste e sentite , alcuni le chiamano " Home Coming", cioe' piu' semplicemente un ritorno a casa dopo anni . Poi pero' quello che tocca Dolan ,non puo' essere semplicemente una storia come le altre, il ragazzo del Quebec, quello che filma diventa oro.
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Dolan , arista ormai affermato anche in Italia , dopo il bellissimo Mommy e il fantastico" ripescato Lawrence Anyways , esce nei nostri cinema con E' solo la fine del mondo , ultimo vincitore del Gran Prix a Cannes.
La storia per la prima volta non nasce da un soggetto del talento canadese , ma viene da un pièce teatrale di Lagarce,poi risceneggiata dallo stesso regista.
Un adattamento molto difficile da portare in sala , ma grazie anche ad un cast sopra le righe , riesce a far emozionare lo spettatore dal primo all ultimo minuto.
La storia e' di quelle gia' viste e sentite , alcuni le chiamano " Home Coming", cioe' piu' semplicemente un ritorno a casa dopo anni . Poi pero' quello che tocca Dolan ,non puo' essere semplicemente una storia come le altre, il ragazzo del Quebec, quello che filma diventa oro. La sua capacita' di catturare le emozioni degli sguardi e'fenomenale, nonostante il film e' colmo d'isterismi , quello che piu' colpisce allo stomaco sono gli sguardi e i silenzi assordanti di Louis , interpretato dal bravissimo e sconosciuto ai piu', Gaspard Ulliel.
Il film e' meno elegante e stilistico di Lawrence Anyways e meno magnetico e coraggioso di Mommy , ma ha una sua anima forte , che colpisce lo spettatore con un pugno forte allo stomaco per tutti i 95 minuti .
Xavier Dolan non sbaglia un colpo e dai suoi 6 film finora girati , viene fuori un lato artistico che pochissimi hanno , un saper emozionare grazie a stacchi musicali , slow motion e una regia originale che non perde neanche un piccolo particolare per far emozionare.
Siamo di fronte ad uno dei pochi contemporanei che potra' scrivere il suo nome tra i grandi del cinema mondiale.
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