robertalamonica
|
domenica 11 dicembre 2016
|
le sbarre invisibili del nuovo film di dolan
|
|
|
|
La sensazione è quella del cuore che 'scoppia' nel petto. Che batte e si sbatte per trovare uno spazio alla vita che pulsa e si agita nella gabbia. È l'uccello nell'orologio a cucù, è la polvere che si solleva dal materasso per poi riappoggiarvisi lieve, è il pugno non sferrato di Antoine, è l'urlo soffocato nello sguardo di Christine. E a far tacere il rumore assordante che stordisce e aliena Louis, è quel dito appoggiato sulle labbra che invita a un silenzio irredimibile, definitivo. È vero: 'è solo la fine del mondo', la fine di ciò che si poteva dire e non è stato detto, di ciò che non si è riuscito a dire. È la fine della possibilità di lenire il dolore con la condivisione... Qui ognuno è solo nel suo immenso, infinito dolore.
[+]
La sensazione è quella del cuore che 'scoppia' nel petto. Che batte e si sbatte per trovare uno spazio alla vita che pulsa e si agita nella gabbia. È l'uccello nell'orologio a cucù, è la polvere che si solleva dal materasso per poi riappoggiarvisi lieve, è il pugno non sferrato di Antoine, è l'urlo soffocato nello sguardo di Christine. E a far tacere il rumore assordante che stordisce e aliena Louis, è quel dito appoggiato sulle labbra che invita a un silenzio irredimibile, definitivo. È vero: 'è solo la fine del mondo', la fine di ciò che si poteva dire e non è stato detto, di ciò che non si è riuscito a dire. È la fine della possibilità di lenire il dolore con la condivisione... Qui ognuno è solo nel suo immenso, infinito dolore. Film molto intenso, una summa del percorso artistico del regista fin qui.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a robertalamonica »
[ - ] lascia un commento a robertalamonica »
|
|
d'accordo? |
|
maumauroma
|
sabato 17 dicembre 2016
|
e'solo la fine del mondo
|
|
|
|
Louis, giovane e affermato drammaturgo decide di tornare dopo dodici anni a trovare i suoi parenti, per rivelare loro di essere gravemente malato e di avere ormai poco tempo da vivere e anche per cercare di appianare vecchie incomprensioni che lo avevano spinto un tempo a lasciare la sua famiglia. Ma, una volta varcato l' uscio della casa familiare, si trovera' davanti la rappresentazione di quella tragedia che non avrebbe mai voluto o potuto scrivere. I personaggi sono una madre epidermicamente superficiale di carattere, avvizzita da un tempo parodisticamente esaltato da un trucco fuori ruolo, che non ha mai voluto o potuto capire, un fratello maggiore corroso dall'invidia per il successo di Louis, divorato da mille frustrazioni, in conflitto contro tutto e contro tutti,, una sorella minore in perenne crisi esistenziale, una cognata debole, inerme e rassegnata.
[+]
Louis, giovane e affermato drammaturgo decide di tornare dopo dodici anni a trovare i suoi parenti, per rivelare loro di essere gravemente malato e di avere ormai poco tempo da vivere e anche per cercare di appianare vecchie incomprensioni che lo avevano spinto un tempo a lasciare la sua famiglia. Ma, una volta varcato l' uscio della casa familiare, si trovera' davanti la rappresentazione di quella tragedia che non avrebbe mai voluto o potuto scrivere. I personaggi sono una madre epidermicamente superficiale di carattere, avvizzita da un tempo parodisticamente esaltato da un trucco fuori ruolo, che non ha mai voluto o potuto capire, un fratello maggiore corroso dall'invidia per il successo di Louis, divorato da mille frustrazioni, in conflitto contro tutto e contro tutti,, una sorella minore in perenne crisi esistenziale, una cognata debole, inerme e rassegnata. Un groviglio di rancori, di angosce, di sensi di colpa smerigliati nella violenza dei sentimenti . Luis tentera' con ognuno di loro un approccio verso una speranza di dialogo, ma finira' per fungere soltanto da catalizzatore negativo, accentuando addirittura quelle laceranti, terribili e soffocanti incomprensioni. Decidera' di uscire da quella casa senza aver nemmeno potuto accennare alla sua malattia, ma scegliera' di morire in liberta' piuttosto che consumare la propria esistenza dentro quella famiglia diventata un nido di serpenti . Quest'ultima opera di Xavier Dolan appare esremamente cupa e disperata, quasi senza speranza. Il concetto di famiglia ne esce drammaticamente frantumato. La struttura del film e' prettamente teatrale, e l'utilizzo continuo di stupendi giochi di luce che scolpiscono i primi piani dei protagonisti conferma la maestria del giovane regista canadese. Anche se tale maestria, a volte, rischia di sconfinare nel mero esercizio di stile. Bravi tutti gli attori, anche se la Cotillard sembra a volte un po' fuori ruolo. Ottima la scelta delle musiche
[-]
|
|
[+] lascia un commento a maumauroma »
[ - ] lascia un commento a maumauroma »
|
|
d'accordo? |
|
no_data
|
mercoledì 28 dicembre 2016
|
come uno starnuto trattenuto
|
|
|
|
E' solo la fine del mondo, di Xavier Dolan, è un film sui punti di sospensione troppo lunghi, sui ritorni fuori tempo massimo, sui temporali incombenti e borbottanti che poi non riescono a scaricarsi per la vergogna di se o per la pena degli altri, sull'incomunicabilità 2.0, sull'imbarazzo verso il figliuol prodigo, e sul rancore e il disagio che tale inadeguatezza provoca, è il malessere che lascia uno starnuto trattenuto... è un film di Xavier Dolan che non lascia indifferenti e che scava le apparenze come solo lui sa fare.
|
|
[+] lascia un commento a no_data »
[ - ] lascia un commento a no_data »
|
|
d'accordo? |
|
mattia li puma
|
giovedì 8 dicembre 2016
|
silenzi, sguardi e rimpianti
|
|
|
|
Xavier Dolan torna al cinema con un film dal titolo apparentemente preoccupante e catastrofico; prima che inizi il film si potrebbe pensare,leggendo il titolo, a chissà quale tragedia, ma non ci sono morti, non ci sono disastri naturali, non ci sono battaglie nè guerre, c'è il nucleo sociale più semplice dell'umanità: la famiglia.
Il giovane Dolan, con la sua bravura dietro la macchian da presa, inquadra una famiglia di basso rango e bastano solo pochi sguardi perchè gli spettatori capiscano quanta rabbia e sofferenza ci sia dietro ogni membro della famiglia ognuno con un dolore, ognuno con un rimpianto: dalla figlia (Suzanne) alla madre (Martine) rimasta vedova ,fino al fratello maggiore(Antoine) che potrebbe sembrare quello forte, insensibile e duro.
[+]
Xavier Dolan torna al cinema con un film dal titolo apparentemente preoccupante e catastrofico; prima che inizi il film si potrebbe pensare,leggendo il titolo, a chissà quale tragedia, ma non ci sono morti, non ci sono disastri naturali, non ci sono battaglie nè guerre, c'è il nucleo sociale più semplice dell'umanità: la famiglia.
Il giovane Dolan, con la sua bravura dietro la macchian da presa, inquadra una famiglia di basso rango e bastano solo pochi sguardi perchè gli spettatori capiscano quanta rabbia e sofferenza ci sia dietro ogni membro della famiglia ognuno con un dolore, ognuno con un rimpianto: dalla figlia (Suzanne) alla madre (Martine) rimasta vedova ,fino al fratello maggiore(Antoine) che potrebbe sembrare quello forte, insensibile e duro.
Louis il figlio che tutti "ammirano" se ne è andato ed è tornato a casa dopo dodici anni.
Tutti sono felici, si preparano a riceverlo e a festeggiare questo giorno, fino a quando Louis non annuncia la fine della sua "inaspettata" visita.
Alla domanda dei familiari "Perchè sei tornato?" Louis non risponde, tutti pendono dalle sue labbra, da qualsiasi suono potrebbe uscire per capire di più della sua vita.
Tra momenti d'ansia, malinconia, e brevi attimi di apparente gioia si assiste, in un gioco fatto di non detti e silenzi, che valgono più di mille parole, alla distruzione di un mondo interiore costernato dal rapido fluire del tempo e dai profondi rimpianti.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a mattia li puma »
[ - ] lascia un commento a mattia li puma »
|
|
d'accordo? |
|
robert eroica
|
venerdì 9 dicembre 2016
|
ma non e’ la fine del cinema
|
|
|
|
Come annunciare la propria morte ? E’ questo l’interrogativo che porta avanti “E’solo la fine del mondo” del canadese ventisettenne Xavier Dolan che ha vinto il Gran Premio della Giuria all’ultima edizione del festival di Cannes. Il protagonista Louis (Ulliel), un autore teatrale di un certo successo, appena trentaquattrenne, torna dopo un’assenza di dodici anni, nella famiglia di origine. Il gravoso compito che lo attende è quello di rendere noto a tutti il suo passo d’addio (una malattia terminale, anche se non viene svelata). Lo attendono la madre (Baye), vedova, che vive assieme alla figlia piu’ piccola e più fragile (Seydoux) perché le è mancata troppo presto la figura paterna. Tra loro, per l’occasione si trova anche il fratello più anziano (Cassel) uomo violento e ottuso con la moglie Catherine (Cotillard) di cui viene presto a galla il lato più compassionevole.
[+]
Come annunciare la propria morte ? E’ questo l’interrogativo che porta avanti “E’solo la fine del mondo” del canadese ventisettenne Xavier Dolan che ha vinto il Gran Premio della Giuria all’ultima edizione del festival di Cannes. Il protagonista Louis (Ulliel), un autore teatrale di un certo successo, appena trentaquattrenne, torna dopo un’assenza di dodici anni, nella famiglia di origine. Il gravoso compito che lo attende è quello di rendere noto a tutti il suo passo d’addio (una malattia terminale, anche se non viene svelata). Lo attendono la madre (Baye), vedova, che vive assieme alla figlia piu’ piccola e più fragile (Seydoux) perché le è mancata troppo presto la figura paterna. Tra loro, per l’occasione si trova anche il fratello più anziano (Cassel) uomo violento e ottuso con la moglie Catherine (Cotillard) di cui viene presto a galla il lato più compassionevole. Poche ore nel corso di una domenica qualunque, tra una portata e l’altra, in cui emergono antichi conflitti e vacue speranze di un futuro diverso. Come andrà a finire ? A guardare lo smarrimento ipnotico del protagonista lo si intuisce da subito, ma il punto debole di un film da camera come questo non è tanto nell’inadeguatezza di alcuni interpreti (Ulliel in primis ma anche il grezzo Vincent Cassel, abbonato ai ruoli di figlio di buona donna, è davvero pessimo) quanto nella struttura portante, nel testo teatrale d’origine. Una delle tante variazioni sugli “dei del massacro” (come recita il titolo di un’altra piece da cui Polanski trasse il sopravvalutatissimo “Carnage”) ma senza estro, senza slanci, pieno di battute a vanvera, senza echi interni, e una letterarietà che neanche nel Miller più bolso. Dolan si adegua facilmente alla materia, si accontenta di inserire un personaggio gay in un ambiente ostile (tanto perché i critici mangino la foglia della politica degli autori), piazza un paio di videoclip girati anche maluccio e guarda senza sforzi il risultato finale. Et Voila’ conquista i giurati. Che, senza ritegno, non si devono essere fatti orrore neanche davanti alla pesantissima metafora del passerotto, che fugge dalla pendola a muro.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a robert eroica »
[ - ] lascia un commento a robert eroica »
|
|
d'accordo? |
|
stefano capasso
|
giovedì 15 dicembre 2016
|
il dolore degli incompresi
|
|
|
|
Louis è un giovane drammaturgo che ha raggiunto il successo lontano da casa, dove non torna da 12 anni. Sta morendo e per questa ragione ha deciso di tornare a trovare la sua famiglia, coltivando un vago sentimento di riscatto.
Ma l’incontro si rivelerà più complesso del previsto; la famiglia, ricomposta per l’occasione, torna ad essere il luogo di antichi e irrisolti conflitti, dove regna assoluta l’incapacità comunicare.
Xavier Dolan affronta il tema familiare focalizzando l’attenzione sui sentimenti di incomprensione e di inadeguatezza che caratterizzano tutti i personaggi. E per rendere partecipe lo spettatore, letteralmente lo molesta usando il linguaggio dell’esasperazione, lasciandolo costantemente senza riferimenti e confuso, incapace di comprendere come i personaggi sullo schermo.
[+]
Louis è un giovane drammaturgo che ha raggiunto il successo lontano da casa, dove non torna da 12 anni. Sta morendo e per questa ragione ha deciso di tornare a trovare la sua famiglia, coltivando un vago sentimento di riscatto.
Ma l’incontro si rivelerà più complesso del previsto; la famiglia, ricomposta per l’occasione, torna ad essere il luogo di antichi e irrisolti conflitti, dove regna assoluta l’incapacità comunicare.
Xavier Dolan affronta il tema familiare focalizzando l’attenzione sui sentimenti di incomprensione e di inadeguatezza che caratterizzano tutti i personaggi. E per rendere partecipe lo spettatore, letteralmente lo molesta usando il linguaggio dell’esasperazione, lasciandolo costantemente senza riferimenti e confuso, incapace di comprendere come i personaggi sullo schermo.
Sembra che anche il regista, al pari dei suoi protagonisti, voglia manifestare la sua necessità di destare l’attenzione sul suo lavoro, su di se; usa tutti i mezzi a disposizione per farlo raggiungendo una potenza espressiva che spesso è solo formale e fuori luogo.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a stefano capasso »
[ - ] lascia un commento a stefano capasso »
|
|
d'accordo? |
|
angelo umana
|
giovedì 29 dicembre 2016
|
famiglie che scoppiano
|
|
|
|
E’ risaputo - questo film sembra dimostrarlo ulteriormente – e forse empiricamente dimostrato che “la famiglia è il posto peggiore dove nascere”, e poi … lo disse Sigmund Freud. Chissà che non sia soprattutto il posto peggiore dove crescere, visto che appena nati si viene destinati di premure e consolati dell’esser nato (così Leopardi); nel crescere invece si innestano dinamiche particolari tra i membri della famiglia, ognuno col suo temperamento genetico e i suoi modi di reagire e rapportarsi.
Un ottimo film, particolare e di valore: Xavier Dolan ne è regista sceneggiatore produttore e autore del montaggio, un lavoro davvero rimarchevole.
[+]
E’ risaputo - questo film sembra dimostrarlo ulteriormente – e forse empiricamente dimostrato che “la famiglia è il posto peggiore dove nascere”, e poi … lo disse Sigmund Freud. Chissà che non sia soprattutto il posto peggiore dove crescere, visto che appena nati si viene destinati di premure e consolati dell’esser nato (così Leopardi); nel crescere invece si innestano dinamiche particolari tra i membri della famiglia, ognuno col suo temperamento genetico e i suoi modi di reagire e rapportarsi.
Un ottimo film, particolare e di valore: Xavier Dolan ne è regista sceneggiatore produttore e autore del montaggio, un lavoro davvero rimarchevole. Lui, ancora giovanissimo, nato a Montreal nell’89, ha posto l’attenzione su questi temi, basti pensare che il suo primo film, appena 20enne, si chiamava “Ho ucciso mia madre”, sul difficile rapporto di un ragazzo omosessuale con la madre..
Il film nasce con un viaggio in aereo, il passeggero Louis si prepara sereno al suo posto, un bambino dal sedile posteriore gioca mettendogli le manine davanti agli occhi. Pensa a quello che sta per fare, andare a ritrovare la sua famiglia dopo 12 anni di assenza, del resto lui fa quello che deve fare, come sempre (lo dirà sua madre più tardi), pensa che esiste una serie di motivazioni che ci spingono a partire senza voltarci indietro, così come ne esistono per tornare. Lui, scrittore e autore di pièce teatrali, vuole rivelare ai familiari che sta per morire. Un ultimo ritorno al nido dunque, prima della fine, come gli animali che cercano un angolo quando sentono la morte vicina. Ma quel nido si rivela il posto meno indicato per comunicare il suo segreto, un luogo per nulla accogliente, dove ognuno ha qualcosa da recriminare contro l’altro: la madre (Nathalie Baye) che discute sempre animatamente con la figlia Suzanne (Léa Seydoux), questa che ribatte colpo su colpo al fratello Antoine, “il cattivo” (eccelso Vincent Cassel), pieno di rabbia e frustrazione, sicuramente invidioso della calma del fratello Louis e delle parole efficaci che questi riesce a trovare in ogni situazione, oltreché della stima di cui gode presso mamma e sorella. Sospetta che le parole, le frasi ellittiche, servano a circuirlo o stanarlo e perciò dice Non parlo perché voglio che nessuno mi parli, esprimerà il sospetto di essere considerato dalla famiglia lo scemo del villaggio. Quando parla però urla rabbioso come un vulcano che spara lapilli e massi contro gli altri, frasi violente che feriscono. Rimprovera la moglie Catherine (notevolissima Marion Cotillard), di non difenderlo. Catherine è colei che osserva molto il nuovo venuto che non conosceva e sembra instaurare con lui l’unico rapporto empatico della scena, una cognata che con Louis non trova facilmente le parole ma le cui espressioni e sguardi sono di certo leggibili.
E’ stato salutato bene però Louis all’arrivo sull’uscio, un saluto struggente a questo fratello-figlio-cognato di poche parole e sempre appropriate. Un momento interessante è il viaggio in taxi che Louis fa dall’aeroporto fino a casa dei suoi, guarda i passanti per strada che vivono e sembrano soffermarsi a guardarlo: così deve sentirsi qualcuno che sa di morire presto, mentre la vita di quegli sconosciuti proseguirà. Un film scarno, essenziale, le tante parole sembrano riempire dei vuoti ma sono tutte utili, necessarie. La fotografia e le canzoni ottime, in questo momento iniziale in esterni, corredato dai colori del cibo che si prepara a casa in attesa del suo arrivo, come poi negli interni dove tutto il film si svolge. Protagonista non è solo uno ma tutti e cinque, all’interno di questo “set teatrale” che diventa la famiglia. La visita di Louis sembra acuire conflitti, ma procura almeno rassicurazioni alla giovane Suzanne che lo venera e interesse nella dimessa Catherine. Louis dice ad un amico che lo chiama: Ho paura di loro. Ripartirà senza rivelare il suo segreto.
[-]
[+] il passeggero louis
(di angelo umana)
[ - ] il passeggero louis
|
|
[+] lascia un commento a angelo umana »
[ - ] lascia un commento a angelo umana »
|
|
d'accordo? |
|
astromelia
|
domenica 26 marzo 2017
|
disturbante
|
|
|
|
a tratti imbarazzante anche per lo spettatore,trovo questo film troppo enfatizzato,il personaggio di cassel è oltremodo oltraggioso per sè come attore che non fa nulla per rendersi simpatico,sia per l'enfasi con cui recita ,non c'era bisogno di un accanimento così senza senso,alcune scene troppo lunghe inutilmente,ma se andassimo ad analizzare il perchè una persona morente torna a casa sapendo che sgangherata famiglia ha lasciato,invece che annunciare la sua condizione in altro modo ci convinciamo che è solo lo svolgersi dei fatti e la curiosità del "ora lo dirà" che tiene lo spettatore seduto fino alla fine,anche se ci si convince che ulliel desisterà da questa impresa improbabile.
[+]
a tratti imbarazzante anche per lo spettatore,trovo questo film troppo enfatizzato,il personaggio di cassel è oltremodo oltraggioso per sè come attore che non fa nulla per rendersi simpatico,sia per l'enfasi con cui recita ,non c'era bisogno di un accanimento così senza senso,alcune scene troppo lunghe inutilmente,ma se andassimo ad analizzare il perchè una persona morente torna a casa sapendo che sgangherata famiglia ha lasciato,invece che annunciare la sua condizione in altro modo ci convinciamo che è solo lo svolgersi dei fatti e la curiosità del "ora lo dirà" che tiene lo spettatore seduto fino alla fine,anche se ci si convince che ulliel desisterà da questa impresa improbabile....
[-]
|
|
[+] lascia un commento a astromelia »
[ - ] lascia un commento a astromelia »
|
|
d'accordo? |
|
folignoli
|
lunedì 26 dicembre 2016
|
la cicatrice sul viso di gaspard ulliel
|
|
|
|
Il teatro al cinema non funziona. Ma gli attori bravissimi riescono nell'impresa di renderlo piacevole. Troppi dialoghi, troppe inquadrature ravvicinate in primo (o primissimo) piano, non riescono a far emergere la vera natura degli attori a cui si vorrebbe osservare il corpo. Il corpo parla e se questo non si riesce a vedere quasi mai, il film diventa mozzato. Tutto il contrario del teatro in cui la mimica corporea è fondamentale. Qui invece si recita col viso e il simbolo del film secondo me è la cicatrice del bellissimo Gaspard Ulliel, questa volta in un ruolo taciturno ed introverso, ma a cui la MDP regala forza espressiva grazie alla sua cicatrice in volto. Credevo fosse una piega del viso, della bocca, invece in questo film ho capito che si tratta di una cicatrice, quasi un solco che non deturpa il volto del giovane Hannibal.
[+]
Il teatro al cinema non funziona. Ma gli attori bravissimi riescono nell'impresa di renderlo piacevole. Troppi dialoghi, troppe inquadrature ravvicinate in primo (o primissimo) piano, non riescono a far emergere la vera natura degli attori a cui si vorrebbe osservare il corpo. Il corpo parla e se questo non si riesce a vedere quasi mai, il film diventa mozzato. Tutto il contrario del teatro in cui la mimica corporea è fondamentale. Qui invece si recita col viso e il simbolo del film secondo me è la cicatrice del bellissimo Gaspard Ulliel, questa volta in un ruolo taciturno ed introverso, ma a cui la MDP regala forza espressiva grazie alla sua cicatrice in volto. Credevo fosse una piega del viso, della bocca, invece in questo film ho capito che si tratta di una cicatrice, quasi un solco che non deturpa il volto del giovane Hannibal. Bravissimo Vincent cassel. Le donne invece mi appaiono più scontate, più teatrali e retoriche. Struggente il brano del finale.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a folignoli »
[ - ] lascia un commento a folignoli »
|
|
d'accordo? |
|
andrea alesci
|
venerdì 27 gennaio 2017
|
il doloroso scarto dell’indicibile
|
|
|
|
Tornare è sempre la parte più difficile. Ma dire, dire ciò che non vorremmo sentire, quella è la parte davvero difficile. Lo sa Louis Knipper (Gaspard Ulliel) e lo sappiamo noi, dacché le regole sono chiare dal principio. Da quando le immagini sbilenche di un giovane col cappellino in testa ci portano verso la meta di un ritorno calcolato dal 27enne Xavier Dolan.
È solo la fine del mondo, d’altra parte. Nulla di più che questa storia, mutuata dall’omonima pièce teatrale di Jean-Luc Lagarce. Una storia normale, ce lo dice già l’avverbio del titolo, salvo smarrirci subito dopo con il resto della frase.
[+]
Tornare è sempre la parte più difficile. Ma dire, dire ciò che non vorremmo sentire, quella è la parte davvero difficile. Lo sa Louis Knipper (Gaspard Ulliel) e lo sappiamo noi, dacché le regole sono chiare dal principio. Da quando le immagini sbilenche di un giovane col cappellino in testa ci portano verso la meta di un ritorno calcolato dal 27enne Xavier Dolan.
È solo la fine del mondo, d’altra parte. Nulla di più che questa storia, mutuata dall’omonima pièce teatrale di Jean-Luc Lagarce. Una storia normale, ce lo dice già l’avverbio del titolo, salvo smarrirci subito dopo con il resto della frase. Entriamo confusi e desiderosi di conoscere la storia, quella che Dolan ci mostra con la strumentale maestria del cineasta, capace di trattare un tema convenzionale e perfino banale (l’incomunicabilità famigliare) in un modo del tutto spiazzante.
Ci spiazza conoscere subito il senso del ritorno a casa di Louis dopo dodici anni: l’annuncio della sua morte. Non ci importa sapere perché né quanto gli resti da vivere; ciò che conta è l’irrimediabilità della sentenza. A sballottarci però è il come, il modo in cui stiamo con Louis al cospetto della sua famiglia.
Nei modi sta la chiave per leggere un film che fa sorridere e immalinconire, soprattutto fa provare quel sentimento che sempre ci irretisce quando siamo con gli altri: l’imbarazzo. Siamo imbarazzati come lo saremmo nella vita reale quando Louis varca la soglia di casa, trovando la madre (Nathalie Baye) intenta ad asciugarsi col phon lo smalto sulle unghie, la sorella Suzanne (Léa Seydoux) ad abbracciarlo timidamente, il fratello Antoine (Vincent Cassel) che appena lo saluta, la cognata Catherine (Marion Cotillard) che gli sorride con la ritrosia degli sconosciuti.
Un fatto questo, perché Louis è uno sconosciuto, è uno straniero in casa sua. Il tempo ha cancellato ogni sua orma in quella famiglia, tutto ha le sembianze vaporose di un imbarazzo che si traduce in inquadrature sfuocate, figure spezzate, oggetti che prendono lo spazio delle persone. E persone che in quel salotto esistono soltanto nei momenti di urla furiose, scatti volgari, battute venali, tentennamenti eloquenti.
Ogni personaggio si definisce dentro quest’atmosfera di agitazione perenne, definendo i contorni di un dramma familiare che va componendosi tra sfuocamenti e balbettii, soprattutto grazie a Catherine. Lei sempre ammodo, ingessata nel suo abito di carinerie, lei che non ha mai visto Louis ma è l’unica a cercare di farlo sentire in famiglia, lei che nel continuo scusarsi e nelle esitazioni sa intuirne il segreto.
Quella verità che gli altri non vedono o forse hanno soltanto bisogno di capire a loro modo. Così, nel procedere di Xavier Dolan senza rispettare la consuetudine tecnica, si rispecchia l’insolito garbuglio di un dramma familiare che possiamo capire soltanto negli incontri tête-à-tête fra Louis e gli altri, come dentro un confessionale, empio però dei (presunti) peccati del confessore.
E alla fine non c’è più nulla da aggiungere. Nulla da dire per chi sta in quella casa nell’ennesimo imbarazzo di un film che si è annunciato come missione di dichiarazione e termina senza averla fatta quella dichiarazione. Termina nel volo spezzato di un uccellino che sembra essere rimasto intrappolato nell’orologio a cucù per il tempo necessario a raccontare l’inafferrabilità, le paure, le solitudini che separano chi rimane da chi se n’è andato. E in fondo ci dice dell’inevitabilità degli affetti e dei suoi incontrollabili effetti.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a andrea alesci »
[ - ] lascia un commento a andrea alesci »
|
|
d'accordo? |
|
|