È solo la fine del mondo |
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Un film di Xavier Dolan.
Con Gaspard Ulliel, Nathalie Baye, Léa Seydoux, Vincent Cassel.
continua»
Titolo originale Juste la fin du monde.
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 95 min.
- Francia 2016.
- Lucky Red
uscita mercoledì 7 dicembre 2016.
MYMONETRO
È solo la fine del mondo
valutazione media:
3,41
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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MA NON E’ LA FINE DEL CINEMAdi ROBERT EROICAFeedback: 9266 | altri commenti e recensioni di ROBERT EROICA |
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venerdì 9 dicembre 2016 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Come annunciare la propria morte ? E’ questo l’interrogativo che porta avanti “E’solo la fine del mondo” del canadese ventisettenne Xavier Dolan che ha vinto il Gran Premio della Giuria all’ultima edizione del festival di Cannes. Il protagonista Louis (Ulliel), un autore teatrale di un certo successo, appena trentaquattrenne, torna dopo un’assenza di dodici anni, nella famiglia di origine. Il gravoso compito che lo attende è quello di rendere noto a tutti il suo passo d’addio (una malattia terminale, anche se non viene svelata). Lo attendono la madre (Baye), vedova, che vive assieme alla figlia piu’ piccola e più fragile (Seydoux) perché le è mancata troppo presto la figura paterna. Tra loro, per l’occasione si trova anche il fratello più anziano (Cassel) uomo violento e ottuso con la moglie Catherine (Cotillard) di cui viene presto a galla il lato più compassionevole. Poche ore nel corso di una domenica qualunque, tra una portata e l’altra, in cui emergono antichi conflitti e vacue speranze di un futuro diverso. Come andrà a finire ? A guardare lo smarrimento ipnotico del protagonista lo si intuisce da subito, ma il punto debole di un film da camera come questo non è tanto nell’inadeguatezza di alcuni interpreti (Ulliel in primis ma anche il grezzo Vincent Cassel, abbonato ai ruoli di figlio di buona donna, è davvero pessimo) quanto nella struttura portante, nel testo teatrale d’origine. Una delle tante variazioni sugli “dei del massacro” (come recita il titolo di un’altra piece da cui Polanski trasse il sopravvalutatissimo “Carnage”) ma senza estro, senza slanci, pieno di battute a vanvera, senza echi interni, e una letterarietà che neanche nel Miller più bolso. Dolan si adegua facilmente alla materia, si accontenta di inserire un personaggio gay in un ambiente ostile (tanto perché i critici mangino la foglia della politica degli autori), piazza un paio di videoclip girati anche maluccio e guarda senza sforzi il risultato finale. Et Voila’ conquista i giurati. Che, senza ritegno, non si devono essere fatti orrore neanche davanti alla pesantissima metafora del passerotto, che fugge dalla pendola a muro.
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