themaster
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mercoledì 17 agosto 2016
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un capolavoro
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Vi sono due tipi di storia del cinema: quella che tutti si ricordano e quella che nessuno conosce e devo dire che la seconda è la più ricca e interessante,questo Bone Tomahawk si ficca a fondo in questa storia,incarnando qualcosa di mai visto prima,che esula dai canoni classici e riporta lo spettatore ad uno stato anarchico e fuori dagli schemi.
Se Craig Zahler gira tutta la prima ora con la maestria e la perizia di un John Ford qualsiasi,trasforma la seconda ora in un horror vero e proprio che va a citare da Cannibal Holocaust a Saw L'Enigmista fino ad arrivare agli slasher come Wolf Creek e altri,la particolarità però risiede nel fatto che pur giocando con gli stilemi dell'orrore,il film non si dimentica mai di essere un western e rimane ancorato a questo genere anche nella rottura dello schema dello stesso: lo splatter c'è ma è realistico e mai sopra le righe,l'azione è presente ma mantiene sempre un tono realistico,l'horror è presente ma rimane sempre soggiogato dalla bellezza e dalle atmosfere tipiche del genere western.
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Vi sono due tipi di storia del cinema: quella che tutti si ricordano e quella che nessuno conosce e devo dire che la seconda è la più ricca e interessante,questo Bone Tomahawk si ficca a fondo in questa storia,incarnando qualcosa di mai visto prima,che esula dai canoni classici e riporta lo spettatore ad uno stato anarchico e fuori dagli schemi.
Se Craig Zahler gira tutta la prima ora con la maestria e la perizia di un John Ford qualsiasi,trasforma la seconda ora in un horror vero e proprio che va a citare da Cannibal Holocaust a Saw L'Enigmista fino ad arrivare agli slasher come Wolf Creek e altri,la particolarità però risiede nel fatto che pur giocando con gli stilemi dell'orrore,il film non si dimentica mai di essere un western e rimane ancorato a questo genere anche nella rottura dello schema dello stesso: lo splatter c'è ma è realistico e mai sopra le righe,l'azione è presente ma mantiene sempre un tono realistico,l'horror è presente ma rimane sempre soggiogato dalla bellezza e dalle atmosfere tipiche del genere western.
Zahler come già detto gira benissimo,con panoramiche,primi piani,inquadrature ricche di pathos e un montaggio che rasenta la perfezione,inoltre la fotografia cambia in base al contesto e alla situazione,gli effetti speciali del gore e degli squartamenti sono fantastici a dire poco e superano a tratti quelli di altri film geniali come Wolf Creek 2 e The Green Inferno.
Gli interpreti portano in scena gli archetipi del genere facendoli propri e sviluppandoli in maniera più che azzeccata: Patrick Wilson è il cowboy,motivato a salvare sua moglie e il vero eroe della situazione,colui che risolve la situazione e a cui lo spettatore non avrebbe dato due lire,Kurt Russel sulla falsa riga di The Hateful Eight è una vera e propria "faccia da western" un attore che si presta benissimo a questo tipo di genere,sceriffo,uomo d'azione ma che risente del peso dell'età,Richard Jenkins porta uno dei miei personaggi preferiti in assoluto,ovvero Chicoria,un vecchietto risoluto e dotato di un fascino e di un carisma singolari che entra quasi subito nelle grazie dello spettatore,infine David Arquette in grande spolvero e un Matthew Fox apparentemente spietato e arrogante che prende una piega eroica nel suo epilogo.
Interessante notare come il film tratti la storia in maniera melodrammatica,il pathos è sempre alle stelle e i villain di turno sono veramente inquietanti.
In sintesi Bone Tomahawk è una pellicola snobbata e quasi neanche notata dalla critica ma che entrerà a forza nella storia del cinema di nicchia gettando nuovi standard per chiunque voglia girare un western o un film horror. Voto 9/10
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alex62
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giovedì 12 novembre 2015
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il primitivo che è in noi
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Di solito non mi piacciono gli horror e tanto meno gli "splatter", ma questa volta, senza esagerare i meriti di questo spietato western, ultimo rampollo di una famiglia recente - che va ingrandendosi - di piccoli film apparentemente di genere, potrebbe suggerire qualcosa di molto interessante. Il protagonista è uno dei più sfortunati (ma talentuosi) attori di Hollywood, che ha mancato recentemente l'occasione di un rilancio in grande stile con l'ultimo Tarantino, ma che aveva già trascorsi violenti (da personaggio, intendiamoci) che risalgono ai suoi primi successi, quando divenne attore-simbolo di John Carpenter e poi subornati in Grindhouse sempre di Tarantino (2007).
Si tratta di Kurt Russel, compagno di una delle più grandi attrici comiche americane, Goldie Hawn.
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Di solito non mi piacciono gli horror e tanto meno gli "splatter", ma questa volta, senza esagerare i meriti di questo spietato western, ultimo rampollo di una famiglia recente - che va ingrandendosi - di piccoli film apparentemente di genere, potrebbe suggerire qualcosa di molto interessante. Il protagonista è uno dei più sfortunati (ma talentuosi) attori di Hollywood, che ha mancato recentemente l'occasione di un rilancio in grande stile con l'ultimo Tarantino, ma che aveva già trascorsi violenti (da personaggio, intendiamoci) che risalgono ai suoi primi successi, quando divenne attore-simbolo di John Carpenter e poi subornati in Grindhouse sempre di Tarantino (2007).
Si tratta di Kurt Russel, compagno di una delle più grandi attrici comiche americane, Goldie Hawn. Lui è perfettamente in parte, ma il film non lascia spazio alle doti attoriali (praticamente non c'è neanche un primo piano!), per concentrarsi su una suspence spasmodica, ottenuta con mezzi rudi, con uno stile ruvido e senza orpelli.
Ci ritroviamo nell'età della pietra (ma non è un viaggio nel tempo) dove la distanza tra vita e morte si annulla e si risveglia in noi l'atavica paura, connaturata alla specie homo, di trasformarci in preda: Proprio di finire mangiati. Le fiabe dei fratelli Grimm ci avevano agghiacciati da fanciulli con questa orrenda prospettiva e questa sceneggiatura ce la ripropone nuda e cruda, con la massima dose di effetti realistici, ma con poco sangue.
Non è un film per serate solitarie...
Ma ora arrischiamoci a leggerne la potenza simbolica, per sottolineare la virtù evocativa e visionaria di qualsiasi genere cinematografico, anche di quello minore e criptico.
Ci sono dei "selvaggi", che più selvaggi non si può...addirittura trogloditi, usciti direttamente dall'età della pietra e antropofagi! Vivono in una caverna e per riprodursi usano donne catturate, schiavizzate e accecate. Contro questi mostri si erge la Civiltà, simboleggiata da una donna-medico (assolutamente impossibile in America nel'800 e nel West!), totalmente fuori luogo e tempo proprio per sottolinearne il valore simbolico. Una donna, tra l'altro, sicura di sé e delle sue ragioni, che riesce a sopravvivere a un viaggio tremendo in balia dei trogloditi. Accanto a lei, l'altro eroe, il marito "azzoppato" (Patrick Wilson) che nonostante tutto vuole salvarla. Due ladri assassini, avendo profanato le tombe dei cannibali li hanno attirati su di loro.
Non fa venire in mente qualcosa? Gli occidentali hanno portato la guerra in luoghi "lontani" dalla civiltà, dove i "selvaggi" aspettavano di essere civilizzati...almeno ce l'hanno data da intendere così... Ma la reazione provocata è incontrollabile e risveglia in uomini e donne civilissimi, paure che si credevano bandite per sempre. Risveglia una Belva assetata di sangue!
Può mietere vittime ovunque, può fare strage tra gli innocenti e l'unico modo possibile per fermarla, pare quello di portare il genocidio tra i trogloditi: ucciderli tutti, non lasciare superstiti. Alcune super-potenze (Russia, USA) ce lo dicono senza giri di parole: l'unica soluzione è abbatterli tutti...
Ma, anche se tutto dovesse andare secondo i piani, i "nostri" saranno capaci di ritornare alla LORO "civiltà", dopo aver visto quello di cui i loro progenitori erano capaci?! E dopo quello che loro hanno fatto ai "selvaggi"?
Di riprendere le loro vite "normali", sapendo che a 5 giorni di cammino, appena oltre le colline, ci sono ancora altri divoratori di carne umana?
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noia1
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giovedì 23 giugno 2016
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imperfetto ma unico
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Quattro uomini in viaggio per salvare una donna dal manipolo di indiani che l’ha catturata.
Un western crepuscolare come ai tempi lo erano quegli ultimi film che testimoniavano l’incapacità del genere nel dare altro al cinema, film lento che fa dei silenzi e dei giochi di luci tutto quanto, mentre i dialoghi scorrono quasi solenni e con un tocco d’autore.
Potrebbe definirsi un’epopea esistenziale, non tanto per i concetti messi a nudo durante il lungo viaggio dei protagonisti quanto più per come questi affrontano il determinato viaggio, quasi come un caput finale, come arrivare alla meta fosse la fine di tutto.
Il regista è bravissimo, forse però aveva in mente altro dal risultato finale, resta il fatto che non si resta indifferenti davanti ai claustrofobici interni notturni, tantomeno lo si resta davanti alle sterminate valli americane che fanno sembrare i protagonisti così piccoli.
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Quattro uomini in viaggio per salvare una donna dal manipolo di indiani che l’ha catturata.
Un western crepuscolare come ai tempi lo erano quegli ultimi film che testimoniavano l’incapacità del genere nel dare altro al cinema, film lento che fa dei silenzi e dei giochi di luci tutto quanto, mentre i dialoghi scorrono quasi solenni e con un tocco d’autore.
Potrebbe definirsi un’epopea esistenziale, non tanto per i concetti messi a nudo durante il lungo viaggio dei protagonisti quanto più per come questi affrontano il determinato viaggio, quasi come un caput finale, come arrivare alla meta fosse la fine di tutto.
Il regista è bravissimo, forse però aveva in mente altro dal risultato finale, resta il fatto che non si resta indifferenti davanti ai claustrofobici interni notturni, tantomeno lo si resta davanti alle sterminate valli americane che fanno sembrare i protagonisti così piccoli.
In ogni caso la morale che traspare nell’ultima mezzora è quanto di più atroce ci possa essere, non importa chi vince o chi perde perché sta proprio nell’amarezza del tutto l’essenza del film. Un film che non dà giudizi o spunti, due ore completamente anticommerciali persino quando il ritmo cresce e quando ciò mostrato diventa più serio e ruvido.
La deflagrazione del protagonista come non avevo mai visto, il concetto dell’eroe avventuriero americano al suo ultimo stato, la cosa peggiore è forse l’essersi fatti fregare da tutto quanto poteva far sembrare eroi i quattro sprovveduti e che invece si rivela semplice stupidità.
Un tocco documentaristico che non si percepisce se non solo alla fine nella sua maniera più nitida e cinica. Non ci sono giudizi reali o morali che si possano afferrare, non penso nemmeno fosse nell’interesse del regista, penso l’unico scopo fosse quello di scioccare senza troppi ragionamenti morali o visivi. Sangue e corpi aperti nella stupidità di una società che ha perso sé stessa nella propria vanità destinata al ridicolo.
Bello sì ma forse non completamente riuscito per quello che penso fosse l’intento originale, sicuramente qualcosa a cui non si resta indifferenti. Un messaggio spiazzante; due ore d’immagini che fanno male (per un motivo o per un altro); e infine una regia che fa dell’essenziale il suo barocco e della luce la sua ispirazione.
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dandy
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domenica 31 ottobre 2021
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cannibal west...
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Come exploitation odierno senza pretese ci può stare,ma dal punto di vista serio il debutto di Zahler patisce vari difetti.La storia e i personaggi sono arcinoti,i dialoghi perlopiù scontati e le forzature legate al personaggio di Arthur riguardo tutto quello che riesce a fare a dispetto delle sue condizioni(oltre al fatto che gli altri se lo portino dietro senza battere ciglio)esagerate.Anche dal punto di vista del gore i momenti veramente trucidi arrivano solo negli ultimi 20'.Ve bene per una serata con gli amici.Ha partecipato a diversi festival internazionali e si è conquistato una certa fama presso gli amanti del genere,e un discreto successo.Forse troppo,ma c'è di peggio senz'altro.
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Come exploitation odierno senza pretese ci può stare,ma dal punto di vista serio il debutto di Zahler patisce vari difetti.La storia e i personaggi sono arcinoti,i dialoghi perlopiù scontati e le forzature legate al personaggio di Arthur riguardo tutto quello che riesce a fare a dispetto delle sue condizioni(oltre al fatto che gli altri se lo portino dietro senza battere ciglio)esagerate.Anche dal punto di vista del gore i momenti veramente trucidi arrivano solo negli ultimi 20'.Ve bene per una serata con gli amici.Ha partecipato a diversi festival internazionali e si è conquistato una certa fama presso gli amanti del genere,e un discreto successo.Forse troppo,ma c'è di peggio senz'altro.Il regista è anche sceneggiatore e autore delle musiche.
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dave san
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sabato 7 maggio 2016
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nella valle degli orchi
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La tranquilla cittadina di Bright Hope, viene attaccata da una tribù di cavernicoli cannibali. Alcuni abitanti saranno rapiti e toccherà a un gruppo scelto, tentare di recuperarli. Il film si riassume brevemente. Tutto il resto è delegato alla regia, genuina e abile: paesaggi, personaggi, dialoghi. Oltre a inserti e sequenze, geometriche, immediate e mirate. Non c’è traccia di sfarzo o effetti speciali. Un western incentrato su un piccolo gruppo di eroi. Una rappresentazione quasi teatrale, proiettata e valorizzata in esterni. Con una certa brama d’intrattenere di pancia, per così dire. In questo caso, con lo spauracchio dei malvagi misteriosi e terribili. Altro elemento portante è sicuramente il cast.
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La tranquilla cittadina di Bright Hope, viene attaccata da una tribù di cavernicoli cannibali. Alcuni abitanti saranno rapiti e toccherà a un gruppo scelto, tentare di recuperarli. Il film si riassume brevemente. Tutto il resto è delegato alla regia, genuina e abile: paesaggi, personaggi, dialoghi. Oltre a inserti e sequenze, geometriche, immediate e mirate. Non c’è traccia di sfarzo o effetti speciali. Un western incentrato su un piccolo gruppo di eroi. Una rappresentazione quasi teatrale, proiettata e valorizzata in esterni. Con una certa brama d’intrattenere di pancia, per così dire. In questo caso, con lo spauracchio dei malvagi misteriosi e terribili. Altro elemento portante è sicuramente il cast. Ingaggiando un manipolo di “attori alpha”, tra cui Matthew Fox. Personalmente, ero curioso di rivederlo in azione dopo Lost; in una sceneggiatura che fosse compatta e intrigante. I dialoghi tra i personaggi e le situazioni permettono ai protagonisti di distinguersi e caratterizzarsi. Oltretutto si respira un certo cameratismo che fa pensare a una vera e propria task-force di salvataggio. L’unica scena horror è effettivamente raccapricciante. Il resto però scorre come un godibile “road-western movie”. Sembrano non mancare, inoltre, riferimenti a certi meccanismi delle fiabe. Il che, mostrerebbe ancor più capacità registiche e narrative. Pur non essendo un viaggio di formazione, la missione di questi cow-boy procederà in ascesa. Dalle loro terre, il loro regno, si addentreranno all’inferno e ne usciranno come guerrieri. Una spedizione che non sarà senza perdite, ma permetterà ai restanti di metterci finalmente (e letteralmente), una pietra sopra.
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felicity
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mercoledì 6 novembre 2019
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prima parte western, seconda horror
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Bone Tomahawk è un documentario d’America. La speranza è radiosa nella cittadina di Bright Hope, e a parte preparare zuppe di mais lo sceriffo (straordinario Kurt Russell) non ha molto da fare; ma il buio della notte e la paura rovesciano tutto.
Ad accompagnarlo nella difficilissima impresa saranno il suo anziano "vice di riserva" (un gigantesco Richard Jenkins), un marito disperato e con una gamba conciata molto male (Patrick Wilson) e un uomo vanesio e con un odio pronunciato per gli indiani (Matthew Fox).
Personaggi che sanno, almeno fino a un certo punto, a cosa vanno incontro.
Eppure è un film smarrente, Bone Tomahawk, che li colloca dove dovrebbero essere e dove non dovrebbero essere, in un tempo tra il giorno e la notte che è sempre una minaccia.
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Bone Tomahawk è un documentario d’America. La speranza è radiosa nella cittadina di Bright Hope, e a parte preparare zuppe di mais lo sceriffo (straordinario Kurt Russell) non ha molto da fare; ma il buio della notte e la paura rovesciano tutto.
Ad accompagnarlo nella difficilissima impresa saranno il suo anziano "vice di riserva" (un gigantesco Richard Jenkins), un marito disperato e con una gamba conciata molto male (Patrick Wilson) e un uomo vanesio e con un odio pronunciato per gli indiani (Matthew Fox).
Personaggi che sanno, almeno fino a un certo punto, a cosa vanno incontro.
Eppure è un film smarrente, Bone Tomahawk, che li colloca dove dovrebbero essere e dove non dovrebbero essere, in un tempo tra il giorno e la notte che è sempre una minaccia.
Un film lento, e lungo, e statico e teso, denso e sospeso insieme.
Zahler guarda al modello del film "cannibalistico" nei suoi elementi di base: rapimento, prigionia, pasto, infine la violenza sul genere femminile. Non altera, piuttosto assimila il genere e lo osserva replicarsi felicemente.
La violenza diviene sintomo di un mondo alla deriva e di un genere irrinunciabile quanto mutante (il western).
La capacità del regista sta nella ferma volontà di non mentire allo spettatore, di non mascherare l'immagine con una critica politica o sociale.
Un'opera di messa in scena precisissima e al contempo asciutta, un horror sporco di polvere e sangue; dilatato, crepuscolare, antieroico.
Un bellissimo film d'attori e di personaggi, di atmosfere e di senso perduto, un racconto lontano - da una terra che non esiste più - ma che guarda al presente.
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wolvie
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domenica 9 agosto 2020
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horror western
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Nella cittadina di frontiera di "Viva Speranza", arriva nottetempo un forestiero alquanto sospetto, che attira la curiosità dello sceriffo Hunt (un iconico Kurt Russell) e del suo vice Cicoria.
Durante l' interrogatorio, lo sceriffo per evitare la fuga del sospettato gli spara ad una gamba, rinchiuso in cella, il prigioniero viene affidato alle mani della Dott.ssa Samantha, moglie del capomandria Arthur O' Dwyer, costretto all' immobilità da una brutta frattura alla tibia destra. La notte la dottoressa, il prigioniero e un aiutante dello sceriffo vengono sequestrati da "strani" nativi, che trucidano uno stalliere e rubano diversi cavalli per tornare nella mesa da cui provengono e che il prigioniero aveva profanata con un suo compare.
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Nella cittadina di frontiera di "Viva Speranza", arriva nottetempo un forestiero alquanto sospetto, che attira la curiosità dello sceriffo Hunt (un iconico Kurt Russell) e del suo vice Cicoria.
Durante l' interrogatorio, lo sceriffo per evitare la fuga del sospettato gli spara ad una gamba, rinchiuso in cella, il prigioniero viene affidato alle mani della Dott.ssa Samantha, moglie del capomandria Arthur O' Dwyer, costretto all' immobilità da una brutta frattura alla tibia destra. La notte la dottoressa, il prigioniero e un aiutante dello sceriffo vengono sequestrati da "strani" nativi, che trucidano uno stalliere e rubano diversi cavalli per tornare nella mesa da cui provengono e che il prigioniero aveva profanata con un suo compare.
All' inseguimento ci sono Hunt, Cicoria e il malandato Arthur, accompagnato dallo sterminatore di indiani e oggi raffinato dandy di bianco vestito John Brooder, il personaggio più carismatico del film, che però viene risolto troppo in fretta secondo il mio parere.
Arthur costretto ad una sosta forzata a causa della gamba, rimane molto arretrato rispetto agli altri, tutti appiedati a causa di un furto da parte di una banda di predoni messicani.
La brigata riesce a raggiungere la tribù dei trogloditi, razza arcaica selvaggia e cannibalica, e si ritroveranno prigionieri, i superstiti, in attesa di essere macellati. Fortunatamente Arthur è sulle loro tracce.
Western atipico, tra il filone " cannibal" e i " Mangiatori di Morte" di Michael Crichton (filmicamente "Il 13* Guerriero").
Una scena gore troppo esplicita per i miei gusti (la macellazione di Nick) , ma le premesse sono più che interessanti, con un cast da leccarsi i baffi, addirittura fanno capolino: Sean Young, James Tolkan, Michael Pare' e Sid Haig. Però la quasi totale unità di azione del finale lascia "perplessi", così come l epilogo con il bacio (si salvano i più deboli, ma più intelligenti, cioè chi possiede un arte: medicina, mandriano? Moderne rispetto alla violenza e la caccia?)
Buon film che tenta di rivilitalizzare il genere western per l ennesima volta.
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gianleo67
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domenica 15 novembre 2015
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western cannibalico al confine tex-mex
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Alle testa di una eterogenea compagine di uomini partita per liberare il suo vice e una giovane moglie rapiti da una primitiva e feroce tribù di pellerossa antropofagi, lo sceriffo del piccolo e tranquillo villaggio di Brigth Hope si renderà ben presto conto che le ostili condizioni ambientali e il divario delle forze in campo gioca decisamente a suo sfavore e che solo l'astuzia ed il fattore sopresa gli consentiranno una qualche possibilità di successo. Massacro finale.
Nel panorama un pò ridicolo delle rivisitazioni del genere in chiave ironica o metafilmica degli ultimi anni (dal western lisergico Blueberry - 2004 di Jan Kounen allo sci-fi western di Cowboys & Aliens - 2011 - di Jon Favreau passando per la mistica eroica di Jonah Hex - 2010 di Jimmy Hayward) e che guardano più al mondo del fumetto che ad un consolidato immaginario cinematografico, questo anomalo horror-western dal piglio beffardo e dall'andamento lento sembra uno strano oggetto del desiderio uscito dalla penna di un Sergio Bonelli qualsiasi (Zagor) e dalla fantasia decisamente macabra della cannibal-exploitation alla Ruggero Deodato degli anni 70/80 ( Cannibal Holocaust - 1980) piuttosto che alle mutazioni morfogenetiche di strani umanoidi in cattività (Le colline hanno gli occhi - 1977 - Wes Craven), mantenendo comunque fede ai caposaldi di un cinema d'avventura dove la semplicità delle caratterizzazioni e la basilare linearità della trama non sembrano agitare alcun sottotesto sociologico o politico di rilievo, puntando decisamente ad intrattenere lo spettatore sul versante della facile identificazione con gli eroi di turno e con le loro sacrosante motivazioni di riscatto e di vendetta.
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Alle testa di una eterogenea compagine di uomini partita per liberare il suo vice e una giovane moglie rapiti da una primitiva e feroce tribù di pellerossa antropofagi, lo sceriffo del piccolo e tranquillo villaggio di Brigth Hope si renderà ben presto conto che le ostili condizioni ambientali e il divario delle forze in campo gioca decisamente a suo sfavore e che solo l'astuzia ed il fattore sopresa gli consentiranno una qualche possibilità di successo. Massacro finale.
Nel panorama un pò ridicolo delle rivisitazioni del genere in chiave ironica o metafilmica degli ultimi anni (dal western lisergico Blueberry - 2004 di Jan Kounen allo sci-fi western di Cowboys & Aliens - 2011 - di Jon Favreau passando per la mistica eroica di Jonah Hex - 2010 di Jimmy Hayward) e che guardano più al mondo del fumetto che ad un consolidato immaginario cinematografico, questo anomalo horror-western dal piglio beffardo e dall'andamento lento sembra uno strano oggetto del desiderio uscito dalla penna di un Sergio Bonelli qualsiasi (Zagor) e dalla fantasia decisamente macabra della cannibal-exploitation alla Ruggero Deodato degli anni 70/80 ( Cannibal Holocaust - 1980) piuttosto che alle mutazioni morfogenetiche di strani umanoidi in cattività (Le colline hanno gli occhi - 1977 - Wes Craven), mantenendo comunque fede ai caposaldi di un cinema d'avventura dove la semplicità delle caratterizzazioni e la basilare linearità della trama non sembrano agitare alcun sottotesto sociologico o politico di rilievo, puntando decisamente ad intrattenere lo spettatore sul versante della facile identificazione con gli eroi di turno e con le loro sacrosante motivazioni di riscatto e di vendetta. Non particolarmente brillante da un punto di vista dell'ignizione del meccanismo drammatico o dell'esasperazione delle componenti action, sembra ricercare nel lassismo del montaggio (la parte centrale del racconto è solo una sequenza circadiana di una faticosa transumanza negli impervi territori desertici tex-mex) e nella laconica fiacchezza dei dialoghi una sua speciosa cifra autoriale, affidando al carisma di attori dalla sicura presenza scenica (il Kurt Russel un pò imbolsito di 'Grosso guiao a Cinatown') ed alla desolazione di una scenografia meravigliosamente fotografata gli unici motivi di interesse capaci trattenerci davanti allo schermo per la spropositata durata di 133' facendoci resistere alla facile tentazione di abbandonare anzitempo la visione. Abdicando ad una reale volontà di sottolineare la sua natura politicamente scorretta (misogina, razzista, reazionaria) ci presenta una interessante figura femminile di emancipazione culturale (una conturbante dottoressa del West) ed una pittoresca quanto immaginaria tribù di cannibali trogloditi per poi farli scomparire inopinatamente dallo schermo per quasi tutta la durata del film e ripresentandoceli in un finale dove le competenze dell'una e la sconsideratezza dell'altra giocheranno un ruolo fondamentale per trarre d'impaccio la strampalata compagine di eroi senza speranza da cui sembrano salvarsi solo i soggetti apparentemente più deboli e inoffensivi (una donna, uno storpio ed un vecchio) e riservando alla virile prestanza dei due condottieri più quotati l'ingloriosa fine di orrende mutilazioni. Quando lo scalpo è la cosa meno dolorosa che ti possono fare gli indiani. Premiato al Sitges - Catalonian International Film Festival 2015.
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des esseintes
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venerdì 23 settembre 2016
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regressive western
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Non è male ma non si capisce bene dove vuole andare a parare.
Alla fine (temo) si tratta di un "regressive western" ossia il contrario del "progressive" in cui gli indiani avevano le loro ragioni e non erano più i cattivi tout court (in altre parole non servivano più da "capri espiatori" della trama).
Qui in realtà ci sarebbe anche un indiano buono (n.1 indiano buono) ma è - manco a dirlo - quello "a servizio" come guida; quando uno dei rudi uomini veri della storia si vanta di avere ammazzato moltissimi indiani la guida protesta debolmente "Non è una bella vanteria" al che il "rude" gli risponde: "Ma non è una vanteria", per dire che li aveva ammazzati sul serio e ne era fiero.
Quindi abbiamo gli "indiani cattivi" delle caverne (palese metafora degli integralisti islamici) che ammazzano ma non si sa perché, si dice che sono dei "trogloditi" (troglodytes) cannibali e questo deve bastare come spiegazione.
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Non è male ma non si capisce bene dove vuole andare a parare.
Alla fine (temo) si tratta di un "regressive western" ossia il contrario del "progressive" in cui gli indiani avevano le loro ragioni e non erano più i cattivi tout court (in altre parole non servivano più da "capri espiatori" della trama).
Qui in realtà ci sarebbe anche un indiano buono (n.1 indiano buono) ma è - manco a dirlo - quello "a servizio" come guida; quando uno dei rudi uomini veri della storia si vanta di avere ammazzato moltissimi indiani la guida protesta debolmente "Non è una bella vanteria" al che il "rude" gli risponde: "Ma non è una vanteria", per dire che li aveva ammazzati sul serio e ne era fiero.
Quindi abbiamo gli "indiani cattivi" delle caverne (palese metafora degli integralisti islamici) che ammazzano ma non si sa perché, si dice che sono dei "trogloditi" (troglodytes) cannibali e questo deve bastare come spiegazione. Invece i bianchi ammazzano indiani a tutto spiano ma "hanno la giustificazione": "A dieci anni hanno fatto cose terribili a mia madre e mia sorella". Ecco...bravo...magari si poteva chiedere agli indiani trogloditi...E no...non si può perché "Sono uomini senza linguaggio". Ma va' a quel paese, che spiegazione del cavolo...
Dopodiché come è ovvio i neri devono fare la parte degli imbecilli per cui esistono solo come stallieri tontoloni che vengono sbudellati ma non mangiati perché pare, a detta di un vicesceriffo, siano considerati "velenosi" dai trogloditi. I messicani sono tutti subdoli delinquenti per cui vanno prima ammazzati e poi si verifica...naturalmente la verifica sarà infallibilmente a favore di quelli che li avevano ammazzati preventivamente... Vabbe', ma non è fatto male e avrebbe avuto delle possibilità di sviluppo eccellenti. Teniamo presente che nel 2017 la situazione internazionale economica e politica si evolverà in una direzione drammaticamente conflittuale quindi questo film anticipa sooto forma di rappresentazione teatrale l'inevitabile ritorno alle contrapposizioni "noi-loro" tagliate con l'accetta.
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[+] visione troppo razziale e di parte.
(di bob70)
[ - ] visione troppo razziale e di parte.
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