vanessa zarastro
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domenica 16 ottobre 2016
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una piccola rivoluzione urbana
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Berlino 1940. Anna e Otto Quangel sono una coppia di operai e ricevono la notizia che il loro unico figlio è morto al fronte. Da questo tragico evento, man mano i due si rendono conto di quante menzogne aveva costruito il nazismo e che tiranno fosse Hitler – ma forse non sapevano quanto fosse vero e che mostruosità fossero realmente in atto.
Otto inizia a scrivere un paio di cartoline quasi un grido di dolore e un’istigazione di ribellione e le lascia in punti strategici come ad esempio sulle scale interne di un palazzo di uffici, in pieno giorno. Diventando sempre più abile nella scrittura col pennino – usa anche i guanti per non lasciare impronte – si allontana sempre di più nel lasciare le cartoline cambiando tram e autobus.
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Berlino 1940. Anna e Otto Quangel sono una coppia di operai e ricevono la notizia che il loro unico figlio è morto al fronte. Da questo tragico evento, man mano i due si rendono conto di quante menzogne aveva costruito il nazismo e che tiranno fosse Hitler – ma forse non sapevano quanto fosse vero e che mostruosità fossero realmente in atto.
Otto inizia a scrivere un paio di cartoline quasi un grido di dolore e un’istigazione di ribellione e le lascia in punti strategici come ad esempio sulle scale interne di un palazzo di uffici, in pieno giorno. Diventando sempre più abile nella scrittura col pennino – usa anche i guanti per non lasciare impronte – si allontana sempre di più nel lasciare le cartoline cambiando tram e autobus. Anna è con lui dall’inizio, lo sostiene, lo controlla, lo aiuta. Poi anche lei prenderà l’iniziativa di portare qualche cartolina in luoghi, possibilmente affollati come ad esempio le scuole. Otto ne scriverà duecentottantacinque.
Il regista ci mostra un’inedita Berlino fatta di vicoli attraverso i percorsi che Brendan Gleesono e Emma Thompson fanno nella loro piccola rivoluzione urbana: officine, palazzi d’uffici e residenze diverse quelle piccolo borghesi e quelle sontuose degli ufficiali. Non c’è la Berlino monumentale e maestosa - né -Alexander Platz né Unter den Linden ma c’è una città vissuta quotidianamente nei luoghi funzionali inclusa la Gestapo e la stazione di polizia.
All’interno del condominio i dove vivono i Quangel, ci sono varie mini-storie: il giudice integerrimo che si rivelerà persona buona e perbene, la signora Rosenthal nascosta e aiutata dalla postina Vera, il giovane ex bambino che adesso fa parte anche lui delle SS, e i barboni che spiano il palazzo per ricavarne profitto.
Vincént Pérez - attore svizzero con qualche esperienza di regia - crea un’ottima ricostruzione dell’epoca con scene crude e sintetiche, sottolineata dall’ottima colonna sonora di Alexander Desplat (premio Oscar 2015 per Gran Budapest Hotel) e con le interpretazioni magistrali di entrambi i protagonisti che da soli valgono tutto il film. Tratto da un Ognuno muore solo, unromanzo famoso in Germania di Hans Fallada, presentato in concorso alla 66ma edizione della Berlinale, Lettere da Berlino è un film notevole, a parte qualche piccolo dubbio sullo sviluppo della vicenda – più sulla sceneggiatura che sulla regia.
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sergio dal maso
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sabato 21 gennaio 2017
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cartoline da berlino
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“Un granello di sabbia negli ingranaggi non ferma una macchina, ma se una persona comincia a lanciare un po’ più di sabbia ecco che il motore inizia a perdere colpi. Nei miei sogni vedo tanta gente che lancia sabbia negli ingranaggi.” Otto Quangel
Secondo Primo Levi, sopravvissuto ad Auschwitz e autore di testi fondamentali sulla malvagità umana, la vera forza di ogni struttura sociale totalitaria, sia essa il microcosmo di un campo di concentramento o il macrocosmo della Germania nazista, non è data da componenti elitarie ideologiche e fanatiche né dalla mancanza di una opposizione al potere, è data invece dalla zona grigia.
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“Un granello di sabbia negli ingranaggi non ferma una macchina, ma se una persona comincia a lanciare un po’ più di sabbia ecco che il motore inizia a perdere colpi. Nei miei sogni vedo tanta gente che lancia sabbia negli ingranaggi.” Otto Quangel
Secondo Primo Levi, sopravvissuto ad Auschwitz e autore di testi fondamentali sulla malvagità umana, la vera forza di ogni struttura sociale totalitaria, sia essa il microcosmo di un campo di concentramento o il macrocosmo della Germania nazista, non è data da componenti elitarie ideologiche e fanatiche né dalla mancanza di una opposizione al potere, è data invece dalla zona grigia. Con questo termine viene indicata la maggioranza silenziosa dei cittadini che accettano passivamente, senza opporre resistenza, la violenza del potere costituito, finendo spesso col diventare funzionali al potere stesso.
Il luogo comune che nel ventennio tutti gli italiani siano stati fascisti e i tedeschi nazisti, oltre a semplificare la Storia, banalizzandola, non rende giustizia ai tanti semplici cittadini, uomini e donne, contadini e operai, che subirono la dittatura senza aderirvi spontaneamente, cercando di mantenere i propri valori e la dignità personale.
Fino alla morte del figlio al fronte, Otto e Anna Quangel, la coppia protagonista di Lettere da Berlino, hanno fatto parte di questa zona grigia, obbligati all’obbedienza al regime nazista da un sistema spietato di controllo sociale e di delazioni incrociate.
L’immenso dolore per la perdita del figlio risveglia le loro coscienze, l’elaborazione del lutto li porta a rifiutare la dittatura.
I coniugi Quangel non sono intellettuali né persone politicizzate. Otto lavora in una officina meccanica mentre Anna fa la casalinga, niente di epico né di eroico, insomma, sono solamente un padre e una madre distrutti dal dolore.
Inizieranno a scrivere messaggi contro Hitler e il nazismo su cartoline anonime che poi, con estrema cautela e attenzione, dissemineranno per le vie e i palazzi di Berlino, invitando la popolazione a ribellarsi.
Le centinaia di missive che i cittadini berlinesi troveranno e riconsegneranno alla polizia - 267 cartoline sulle 285 totali - manderanno su tutte le furie i servizi segreti della Gestapo che daranno vita a una implacabile caccia all’uomo guidata dall’ispettore Escherich.
Lettere da Berlinoè un thriller-storico atipico. Racconta la Storia dalla parte dei tanti tedeschi che non hanno avuto voce né spazio, persone semplici come i coniugi Quangel, la postina Vera o il giudice in crisi di coscienza che, senza proclami né armi, hanno cercato di ribellarsi e di andare oltre quella zona grigia di connivenza e tacita complicità con il regime.
Le silenziose ma dirompenti parole delle cartoline di Otto non sono state inutili, come non lo è stato il sacrificio non-violento dei ragazzi della Rosa Bianca, dissidenti e poi giustiziati. Malgrado il clima di terrore, per esempio, nella sola Berlino almeno 6-7000 tedeschi rischiarono la vita per nascondere cittadini ebrei, salvandoli dalla deportazione nei campi di concentramento nazisti.
Ispirato dal romanzo Ognuno muore solo di Hans Fallada, il regista Vincent Perez ha cercato di raccontare oltre alla vicenda di Otto e Anna anche la vita quotidiana della popolazione berlinese negli anni quaranta, una quotidianità ben lontana dai fasti e dalla maestosità raccontati dalla propaganda tedesca. La rigorosa ricostruzione storica è esaltata dalle curatissime di scenografie di Jean Vincent Puzos e da una splendida fotografia dai toni grigi e plumbei, ottenuti con luci naturali, diretta da Christophe Beaucarne.
La regia di Perez è elegante ma asciutta e priva di virtuosismi, molto attenta ai particolari come le intense espressioni dei volti e le frequenti le inquadrature delle mani.
I due attori protagonisti, Bredan Gleeson ed Emma Thompson, sono veramente straordinari. Pur senza enfatizzare né urlare il proprio dolore trasmettono con i soli sguardi l’intima sofferenza e la solitudine a cui sono costretti, arrivando dritti al cuore degli spettatori. Bravo anche Daniel Bruhl nel ruolo del poliziotto diviso tra il senso del dovere e i sensi di colpa.
Ricordare il sacrificio di Otto e Anna Quangel è importante perché non sono stati né eroi né temerari ma persone umili e semplici che hanno dato la vita per opporsi alla follia nazista, esprimendo pacificamente il proprio dissenso con la sola forza delle parole. Come scrisse Primo Levi “sono pochi gli uomini che sanno andare a morte con dignità, e spesso non sono quelli che ti aspetteresti.”
senso con la sola for-za delle parole. Come scrisse Primo Levi “sono pochi gli uomini che sanno andare a morte con dignità, e spesso non sono quelli che ti aspetteresti.”
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ninoraffa
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sabato 17 giugno 2017
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si muore soli
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Hitler nel marzo 1933 incassa 17 milioni di voti (pari al 44%), nel ‘40 con la guerra che sembra quasi vinta è scontato che la maggioranza dei tedeschi stia dalla sua parte. In quello stesso anno due coniugi di modesta classe sociale, a seguito della morte del figlio al fronte, iniziano a distribuire per Berlino delle cartoline in cui smascherano le più evidenti menzogne naziste, invitando alla ribellione e al sabotaggio. Contro di loro la Gestapo mobilita il metodico ispettore Escherich, presto vittima egli stesso dei suoi brutali superiori impazienti di risolvere un caso imbarazzante. Sullo sfondo di questa partita a scacchi tra due improbabili criminali e un poliziotto sempre più dubbioso, i valori fondamentali di verità e libertà che lo stato totalitario vorrebbe dissolvere.
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Hitler nel marzo 1933 incassa 17 milioni di voti (pari al 44%), nel ‘40 con la guerra che sembra quasi vinta è scontato che la maggioranza dei tedeschi stia dalla sua parte. In quello stesso anno due coniugi di modesta classe sociale, a seguito della morte del figlio al fronte, iniziano a distribuire per Berlino delle cartoline in cui smascherano le più evidenti menzogne naziste, invitando alla ribellione e al sabotaggio. Contro di loro la Gestapo mobilita il metodico ispettore Escherich, presto vittima egli stesso dei suoi brutali superiori impazienti di risolvere un caso imbarazzante. Sullo sfondo di questa partita a scacchi tra due improbabili criminali e un poliziotto sempre più dubbioso, i valori fondamentali di verità e libertà che lo stato totalitario vorrebbe dissolvere.
Lettere da Berlino riprende felicemente il romanzo Ognuno muore solo di Hans Fallada, già basato sui verbali della Gestapo riguardanti un processo capitale tenutosi a Berlino nel 1942. Fallada nella sua prefazione ammette molte licenze rispetto alla vera storia dei coniugi Hampel (Anna e Otto Quangel nella finzione) sottolineando però la verità interiore del suo scritto, qualità senz’altro riconoscibile anche nel buon film di Vincent Perez.
Otto ripete ad Anna: “la libertà solo nella verità”. Sbaglia – ma in fondo lo sa e non gl'interessa – nel credere che si possano bloccare con la sabbia della coscienza gl'ingranaggi della macchina della paura e della menzogna (o post-verità come diciamo adesso). In due anni, marito e moglie seminano per strade, piazze o condomini 285 cartoline, di cui solo 18 non vengono subito consegnate alla Gestapo. Tenere la cartolina in tasca ed essere scoperti significa morte crudele e certa: diciotto disposti al rischio, in fondo per nulla, non sono pochi.
L’attenta sceneggiatura del film non trascura i simboli. La ribellione, la non-complicità, il riacquisto della libertà su un piano più alto, passano attraverso le cartoline ma anche dalle finestre. Nella sua prima scena, Escherich libera un uccellino dalla gabbia e lo lascia volare dalla finestra; nell'ultima, libera le cartoline in mano alla polizia lanciandole in strada dalla finestra del suo ufficio e l'attraversa metaforicamente insieme a loro, premendo contro di sé il grilletto. E ancora la finestra trovata dalla signora Rosenthal, una vecchia ebrea, anche lei creatura fragilissima, volata via dalla stanza-gabbia in cui un vicino pietoso cerca di nasconderla ai persecutori. E infine la finestra a ghigliottina che Anna e Otto cercano sin dalla morte del figlio, e che alla fine, al di la della fatalità, faranno in modo di trovare.
Lettere da Berlino, come il romanzo cui è ispirato, è comunque abitato da uno spirito di vittoria. Di forza nella debolezza. Eliot osservò che l’uomo sogna sistemi così perfetti che più nessuno avrebbe bisogno di essere buono. I nostri sistemi sociali reali sono così lontani dalla perfezione (e più la pretendono, più ne sono distanti) che rimane un gran bisogno di donne e uomini buoni. Un bisogno incarnato dalla suggestiva leggenda ebraica dei 36 segreti giusti alla cui vita retta e anonima Dio ha affidato il destino del mondo. Si tratta di gente comune: ciabattini, falegnami, barbieri, becchini... Anna e Otto (che fabbricava bare) sono tra questi, e il film di Perez, anche attraverso l’ottima interpretazione dei due protagonisti, testimonia il loro solitario sacrificio di resistenza al male fattosi potere costituito. Missione a cui tutti siamo chiamati – e pochissimi rispondono – in ogni tempo.
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enzo70
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mercoledì 22 febbraio 2017
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in memoria di chi contrastò la follia nazista
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A Berlino nel 1940 il regime nazista celebra le sue vittorie; ma ad Otto e Anna Quangel arriva una lettera con la quale viene annunciata la morte dell’unico figlio, Hans. Otto inizia a scrivere cartoline contro il regime, poche parole, ma simbolo di una piccola resistenza attiva. Ma la paura della gente trasforma queste lettere in un pericolo e gran parte viene consegnata alle Autorità; interviene la Gestapo che incarica un giovane ispettore di scoprire velocemente il colpevole. Questa la trama, ma oltre la storia si deve prendere atto di un film intelligente che con grande delicatezza riesce a tratteggiare il clima di quegli anni a Berlino e, in generale, in Germania. Vincent Perez porta sullo schermo il romanzo di Hans Fallada, “ognuno muore da solo”, con grande equilibrio, avvalendosi di tre attori eccezionali, Emma Thompson, Brendan Gleeson e Daniel Bruhl.
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A Berlino nel 1940 il regime nazista celebra le sue vittorie; ma ad Otto e Anna Quangel arriva una lettera con la quale viene annunciata la morte dell’unico figlio, Hans. Otto inizia a scrivere cartoline contro il regime, poche parole, ma simbolo di una piccola resistenza attiva. Ma la paura della gente trasforma queste lettere in un pericolo e gran parte viene consegnata alle Autorità; interviene la Gestapo che incarica un giovane ispettore di scoprire velocemente il colpevole. Questa la trama, ma oltre la storia si deve prendere atto di un film intelligente che con grande delicatezza riesce a tratteggiare il clima di quegli anni a Berlino e, in generale, in Germania. Vincent Perez porta sullo schermo il romanzo di Hans Fallada, “ognuno muore da solo”, con grande equilibrio, avvalendosi di tre attori eccezionali, Emma Thompson, Brendan Gleeson e Daniel Bruhl. Da un lato una famiglia normale, di semplici lavoratori; dall’altro un Paese in preda alla follia. Ma non tutti furono i volenterosi carnefici di Hitler, secondo la famosa definizione di Daniel Goldhagen. E alla loro memoria andrebbe dedicato questo bel film.
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nadia
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domenica 21 maggio 2017
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lettere da berlino
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Settant'anni fa veniva pubblicato il libro "Ognuno muore solo" dello scrittore tedesco Hans Fallada, incaricato di raccontare la vera storia di due coniugi berlinesi di mezza età che nel 1940 iniziarono una personale resistenza contro il regime nazista, dopo la morte del proprio figlio al fronte. Lo scrittore, all'epoca alcolizzato e dipendente da farmaci, stese l'opera in pochi giorni e morì per una overdose di morfina poco prima che fosse pubblicata. Il romanzo, oggi lettura obbligatoria nelle scuole tedesche, è stato definito da Primo Levi come il più importante libro che sia mai stato scritto sulla resistenza tedesca al nazismo, e da questo è tratto il film "Lettere da Berlino" del regista e attore Vincent Perez.
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Settant'anni fa veniva pubblicato il libro "Ognuno muore solo" dello scrittore tedesco Hans Fallada, incaricato di raccontare la vera storia di due coniugi berlinesi di mezza età che nel 1940 iniziarono una personale resistenza contro il regime nazista, dopo la morte del proprio figlio al fronte. Lo scrittore, all'epoca alcolizzato e dipendente da farmaci, stese l'opera in pochi giorni e morì per una overdose di morfina poco prima che fosse pubblicata. Il romanzo, oggi lettura obbligatoria nelle scuole tedesche, è stato definito da Primo Levi come il più importante libro che sia mai stato scritto sulla resistenza tedesca al nazismo, e da questo è tratto il film "Lettere da Berlino" del regista e attore Vincent Perez.
Il periodo storico legato al nazismo costituisce sicuramente un tema inflazionato nel cinema, trattato in un infinito numero di pellicole, ma questo film restringe il campo su un capitolo particolare, quello della resistenza interna al regime, posta in essere dagli stessi tedeschi, che di sicuro ha fatto meno rumore di tutto il resto ma evidentemente è riuscita comunque a farsi sentire.
Resistere però non vuol dire soltanto opporsi, disobbedire, significa anche rischiare, ed è per questo che durante la visione del film ci si chiede spesso se i protagonisti di questa storia siano stati degli eroi o soltanto dei folli, e ad un certo punto la risposta appare scontata. Nonostante ciò, il film costituisce un'importante testimonianza della paura che regnava nella Germania nazista, che non era soltanto la paura di un'intera popolazione nei confronti di un regime dotato di un corpo militare e di polizia, mezzi di tortura e pene mortali; era anche la paura inversa, quella di un regime così imponente che temeva la gente comune, gente dotata soltanto di una penna e della forza delle parole.
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martedì 31 gennaio 2017
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un''opposizione al regime inutile e tragica
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un film mediocre, lento, dove si mostra una realtà parziale e viziata dall obbligo di dipingere sempre la Germania Hitleriana come il peggiore dei mondi possibili.Il confine tra bene e male, in pellicole come queste, diventa netto, tangibile, apodittico, non c è spazio al ragionamento, un unico pensiero deve prevalere, chi si ribellava, non importa come, al nazionalsocialismo era il bene. Tutto il resto, un ammasso di collaborazionisti, schiavi o persone obnubilate incapaci di senso critico.(da che pulpito) Il film prende spunto da una storia vera per inventare scene assurde, estremizzate al limite dell assurdo, come ad esempio, il momento in cui un uomo finito sotto accusa per le lettere, mostra di essere dalla parte giusta, tirando fuori la foto che il figlio, gli ha mandato dal fronte.
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un film mediocre, lento, dove si mostra una realtà parziale e viziata dall obbligo di dipingere sempre la Germania Hitleriana come il peggiore dei mondi possibili.Il confine tra bene e male, in pellicole come queste, diventa netto, tangibile, apodittico, non c è spazio al ragionamento, un unico pensiero deve prevalere, chi si ribellava, non importa come, al nazionalsocialismo era il bene. Tutto il resto, un ammasso di collaborazionisti, schiavi o persone obnubilate incapaci di senso critico.(da che pulpito) Il film prende spunto da una storia vera per inventare scene assurde, estremizzate al limite dell assurdo, come ad esempio, il momento in cui un uomo finito sotto accusa per le lettere, mostra di essere dalla parte giusta, tirando fuori la foto che il figlio, gli ha mandato dal fronte. Fin qui, nulla di strano, se non per il fatto che la foto ritrae il figlio mentre regge il cadavere di un bambino a mo'' di trofeo mentre ride..Foto ovviamente da mandare ai parenti, roba che nella Berlino degli anni 40 andava di moda.. La censura dei Reich non controllava certo le lettere dei soldati al fronte, difatti questi erano soliti fare le foto con i cadaveri..
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pisiran
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mercoledì 9 novembre 2016
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semplice e educato
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Il film ispirato a una storia vera, tratta di marito e moglie che avendo perso in guerra l'unico figlio, si ribellano al regime nazista colpevole della morte di quest'ultimo e di tutti i disastri che ne seguiranno, spargendo cartoline in varie zone di Berlino con messaggi contro Hitler e il suo regime, atti ad aprire gli occhi e la mente a chi queste missive dovesse leggere.
Certo come dice il protagonista è solo un granello di sabbia dentro una macchina, ma se i granelli di sabbia si moltiplicassero potrebbe accadere che la macchina si inceppi.
Il film si evolve in una semplicità sia visiva che di dialogo, accompagnando lo spettatore in questa storia che fa ricordare la vicenda della "Rosa Bianca" di Monaco e che come quei giovani studenti finirà nello stesso modo.
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Il film ispirato a una storia vera, tratta di marito e moglie che avendo perso in guerra l'unico figlio, si ribellano al regime nazista colpevole della morte di quest'ultimo e di tutti i disastri che ne seguiranno, spargendo cartoline in varie zone di Berlino con messaggi contro Hitler e il suo regime, atti ad aprire gli occhi e la mente a chi queste missive dovesse leggere.
Certo come dice il protagonista è solo un granello di sabbia dentro una macchina, ma se i granelli di sabbia si moltiplicassero potrebbe accadere che la macchina si inceppi.
Il film si evolve in una semplicità sia visiva che di dialogo, accompagnando lo spettatore in questa storia che fa ricordare la vicenda della "Rosa Bianca" di Monaco e che come quei giovani studenti finirà nello stesso modo.
Il film ci dà anche una ulteriore prova che non tutti, non proprio tutti, fossero in accordo con il regime che avrebbe cambiato il volto all'Europa intera.
Buona visione al cinema. Pisiran.
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(di etabeta)
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