Lettere da Berlino

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cartoline da berlino Valutazione 3 stelle su cinque

di sergio dal maso


Feedback: 8142 | altri commenti e recensioni di sergio dal maso
sabato 21 gennaio 2017

“Un granello di sabbia negli ingranaggi non ferma una macchina, ma se una persona comincia a lanciare un po’ più di sabbia ecco che il motore inizia a perdere colpi. Nei miei sogni vedo tanta gente che lancia sabbia negli ingranaggi.”                                         Otto Quangel
 
Secondo Primo Levi, sopravvissuto ad Auschwitz e autore di testi fondamentali sulla malvagità umana, la vera forza di ogni struttura sociale totalitaria, sia essa il microcosmo di un campo di concentramento o il macrocosmo della Germania nazista, non è data da componenti elitarie ideologiche e fanatiche né dalla mancanza di una opposizione al potere, è data invece dalla zona grigia. Con questo termine viene indicata la maggioranza silenziosa dei cittadini che accettano passivamente, senza opporre resistenza, la violenza del potere costituito, finendo spesso col diventare funzionali al potere stesso.
Il luogo comune che nel ventennio tutti gli italiani siano stati fascisti e i tedeschi nazisti, oltre a semplificare la Storia, banalizzandola, non rende giustizia ai tanti semplici cittadini, uomini e donne, contadini e operai, che subirono la dittatura senza aderirvi spontaneamente, cercando di mantenere i propri valori e la dignità personale.
Fino alla morte del figlio al fronte, Otto e Anna Quangel, la coppia protagonista di Lettere da Berlino, hanno fatto parte di questa zona grigia, obbligati all’obbedienza al regime nazista da un sistema spietato di controllo sociale e di delazioni incrociate.
L’immenso dolore per la perdita del figlio risveglia le loro coscienze, l’elaborazione del lutto li porta a rifiutare la dittatura.
I coniugi Quangel non sono intellettuali né persone politicizzate. Otto lavora in una officina meccanica mentre Anna fa la casalinga, niente di epico né di eroico, insomma, sono solamente un padre e una madre distrutti dal dolore. 
Inizieranno a scrivere messaggi contro Hitler e il nazismo su cartoline anonime che poi, con estrema cautela e attenzione, dissemineranno per le vie e i palazzi di Berlino, invitando la popolazione a ribellarsi.
Le centinaia di missive che i cittadini berlinesi troveranno e riconsegneranno alla polizia - 267 cartoline sulle 285 totali - manderanno su tutte le furie i servizi segreti della Gestapo che daranno vita a una implacabile caccia all’uomo guidata dall’ispettore Escherich.
Lettere da Berlinoè un thriller-storico atipico. Racconta la Storia dalla parte dei tanti tedeschi che non hanno  avuto voce né spazio, persone semplici come i coniugi Quangel, la postina Vera o il giudice in crisi di coscienza che, senza proclami né armi, hanno cercato di ribellarsi e di andare oltre quella zona grigia di connivenza e tacita complicità con il regime.
Le silenziose ma dirompenti parole delle cartoline di Otto non sono state inutili, come non lo è stato il sacrificio non-violento dei ragazzi della Rosa Bianca, dissidenti e poi giustiziati. Malgrado il clima di terrore, per esempio, nella sola Berlino almeno 6-7000 tedeschi rischiarono la vita per nascondere cittadini ebrei, salvandoli dalla  deportazione nei campi di concentramento nazisti.  
Ispirato dal romanzo Ognuno muore solo di Hans Fallada, il regista Vincent Perez ha cercato di raccontare oltre alla vicenda di Otto e Anna anche la vita quotidiana della popolazione berlinese negli anni quaranta, una quotidianità ben lontana dai fasti e dalla maestosità raccontati dalla propaganda tedesca. La rigorosa ricostruzione storica è esaltata dalle curatissime di scenografie di Jean Vincent Puzos e da una splendida fotografia dai toni grigi e plumbei, ottenuti con luci naturali, diretta da Christophe Beaucarne.
La regia di Perez è elegante ma asciutta e priva di virtuosismi, molto attenta ai particolari come le intense espressioni dei volti e le frequenti le inquadrature delle mani.
I due attori protagonisti, Bredan Gleeson ed Emma Thompson, sono veramente straordinari. Pur senza enfatizzare né urlare il proprio dolore trasmettono con i soli sguardi l’intima sofferenza e la solitudine a cui sono costretti, arrivando dritti al cuore degli spettatori. Bravo anche Daniel Bruhl nel ruolo del poliziotto diviso tra il senso del dovere e i sensi di colpa.
Ricordare il sacrificio di Otto e Anna Quangel è importante perché non sono stati né eroi né temerari ma persone umili e semplici che hanno dato la vita per opporsi alla follia nazista, esprimendo pacificamente il proprio dissenso con la sola forza delle parole. Come scrisse Primo Levi  “sono pochi gli uomini che sanno andare a morte con dignità, e spesso non sono quelli che ti aspetteresti.”
senso con la sola for-za delle parole. Come scrisse Primo Levi  “sono pochi gli uomini che sanno andare a morte con dignità, e spesso non sono quelli che ti aspetteresti.”

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martedì 31 gennaio 2017
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tante parole spese per un film che non merita neanche un trafiletto di un giornale di paese. Citare Primo Levi e la Zona Grigia per scrivere un temino trito e ritrito pieno di luoghi comuni raccontati da decenni nelle scuole dell obbligo. Che prove ha lei per dire che la società tedesca e lo scorcio Berlinese erano pregni di persone dedite alla delazione, silenti e sottomesse??Ovvio che se si limita a vedere film cosi viziati dalla propaganda , quello che viene fuori dai suoi ragionamenti non può che far rabbrividire. Clima di terrore a Berlino?? ma dove?? forse quei 7000 che nascosero gli ebrei e quelli che sfidarono il regime, ma per il resto della popolazione, la maggioranza, a Berlino stava benissimo, c era il clima di una qualsiasi città europea(basti anche ricordare i vari personaggi che durante le olimpiadi e i periodi successivi visitarono la Germania, lasciando resoconti diversi dal suo)Le faccio notare anche che a Berlino, fino al 42-43, i berlinesi non avevano modificato nessuna abitudine di vita, nonostante la guerra. [+]

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antonio bianchi venerdì 4 agosto 2017
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Avevo letto la recensione di Sergio Dal Maso e il suo anonimo commento prima di avere visto il film e mi ero chiesto cosa l''avesse spinta a scrivere in modo così aggressivo.
Avevo anche pensato che la sua descrizione di una Berlino piena di vita e di pensieri "normali" fosse come quelle descrizioni di chi visita, ignaro, luoghi dove vige la dittatura e vede bei paesaggi e ne racconta poi.
Come se qualcuno visitasse la Turchia oggi e dicesse che ad Istanbul si sta benissimo, a meno che tu non sia uno di quei 7000 fanatici che pensa e scrive.

Ieri sera ho visto il film, e non mi è sembrato affatto il temino di cui lei dice, ma pareri diversi sono possibili.
Mi sono confermato però nel trovare violente e incomprensibili le sue parole di commento alla recensione di Sergio Dal Maso. [+]

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