vanessa zarastro
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domenica 1 febbraio 2015
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malattia e discrezione
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Alice Howland è una splendida donna alla soglia dei cinquant'anni, docente di linguaggio alla Columbia University di New York.Ha una vita assolutamente invidiabile: tre splendidi figli, un marito che l’adora e grande successo nel lavoro. A un certo punto, da piccoli segnali di perdita di memoria e spaesamento, dopo varie indagini le viene diagnosticato un raro caso (ereditario, peraltro) del morbo di Alzheimer. Il film tratta la storia della progressiva perdita di ricordi e delle facoltà cognitive di Alice e, sostenuta da tutta la famiglia, della sua battaglia contro la malattia.
Palcoscenico della vicenda, oltre New York inizialmente, è la casa sull’oceano – presumibilmente East Hampton – luogo della seconda casa della borghesia newyorkese, per antonomasia.
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Alice Howland è una splendida donna alla soglia dei cinquant'anni, docente di linguaggio alla Columbia University di New York.Ha una vita assolutamente invidiabile: tre splendidi figli, un marito che l’adora e grande successo nel lavoro. A un certo punto, da piccoli segnali di perdita di memoria e spaesamento, dopo varie indagini le viene diagnosticato un raro caso (ereditario, peraltro) del morbo di Alzheimer. Il film tratta la storia della progressiva perdita di ricordi e delle facoltà cognitive di Alice e, sostenuta da tutta la famiglia, della sua battaglia contro la malattia.
Palcoscenico della vicenda, oltre New York inizialmente, è la casa sull’oceano – presumibilmente East Hampton – luogo della seconda casa della borghesia newyorkese, per antonomasia.
Tutto il dramma del film è nelle pieghe del volto di Julianne Moore, misurata ed essenziale, strepitosa interprete del dramma interiore. Kristen Stewart è la figlia Lydia che fa l’attrice e Alec Baldwin il delicato e fedele marito.
La pellicola è tratta dal libro omonimo del 2007 di Lisa Genova; è stata presentata in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival a settembre 2014 e, un mese dopo, alla IX edizione del Festival Internazionale del Film di Roma.
Rispettando la soggettività del romanzo narrato in prima persona, Westmoreland e Glatzer sono entrati nella mente di Alice che pian piano sembrerebbe svuotarsi. I registi hanno tentato di osservare il mondo attraverso i suoi occhi alternando cose e persone con messe a fuoco e profondità di campo. Tutta la narrazione avviene con garbo, con delicatezza quasi a non voler senza invadere la privacy e senza gigionerie interpretative.
Questo rimanere “in sordina”, assieme allo sforzo di non imporre uno stile forte di regia, è il pregio ma, in un certo senso, anche il limite di Still Alice che finisce in alcuni punti di raggelare un po’ il racconto.
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ralphscott
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sabato 31 gennaio 2015
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il dolore é in agguato,l'emozione é continua
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Si va al cinema per godersi J.Moore,sensibilissima attrice che con la Blanchett e la Winslet rappresenta il meglio che l'America ci può offrire in fatto di attrici tra i 40 e ì 50. Il merito dell'opera é di essere veramente realistica:il mondo che ruota attorno ad Alice non la compiace,anzi é con lei egoista come e più di prima della malattia. Il ruolo della figlia più piccola é banco di prova per una Kristen Stewart che fa a gara di bravura con la madre. Infine un parto gemellare mentre la tragedia tocca il culmine:e la vita continua. La visione mette alla prova,ma ne vale la pena.
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flyanto
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venerdì 30 gennaio 2015
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l'inesorabile corso che prend il morbo di alzheime
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Film in cui si racconta di una donna di circa 50 anni la quale viene colpita prematuramente dal morbo di Alzheimer: il suo declino mentale sarà inesorabile e piuttosto repentino nonostante l'affetto e le cure dei familiari a lei vicini.
Questa pellicola, assai triste, prende in esame il veloce ed inevitabile corso che il morbo di Alzheimer segue colpendo, come in questo caso specifico, persone non ancora anziane ma, anzi, nel pieno delle proprie facoltà mentali ed anche particolarmente vive e brillanti per ciò che riguarda l'intelletto. La protagonista, molto egregiamente interpretata da Julianne Moore, subisce un tracollo mentale che la condurrà alla smemoratezza totale e poi all'inevitabile morte, e nel riflettere codesta situazione, il duo dei registi Richard Glatzer e Wash Westmoreland, colgono l'occasione per affrontare un tema purtroppo ormai divenuto di quotidiana attualità dal momento che codesta malattia continua inesorabilmente a colpire gli esserei umani.
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Film in cui si racconta di una donna di circa 50 anni la quale viene colpita prematuramente dal morbo di Alzheimer: il suo declino mentale sarà inesorabile e piuttosto repentino nonostante l'affetto e le cure dei familiari a lei vicini.
Questa pellicola, assai triste, prende in esame il veloce ed inevitabile corso che il morbo di Alzheimer segue colpendo, come in questo caso specifico, persone non ancora anziane ma, anzi, nel pieno delle proprie facoltà mentali ed anche particolarmente vive e brillanti per ciò che riguarda l'intelletto. La protagonista, molto egregiamente interpretata da Julianne Moore, subisce un tracollo mentale che la condurrà alla smemoratezza totale e poi all'inevitabile morte, e nel riflettere codesta situazione, il duo dei registi Richard Glatzer e Wash Westmoreland, colgono l'occasione per affrontare un tema purtroppo ormai divenuto di quotidiana attualità dal momento che codesta malattia continua inesorabilmente a colpire gli esserei umani. Un film pertanto che induce lo spettatore a riflettere seriamente e soprattutto sull'impotenza, sino ad oggi, della Medicina a riguardo e dell'individuo in sè che pian piano, ma progressivamente e piuttosto repentinamente, regredisce sino ad uno stato in cui egli non è più padrone delle proprie facoltà mentali, nonchè motorie in generale, in quanto regolate dal cervello stesso.
Il film risulta chiaro e conciso nella sua rappresentazione, senza inutili sentimentalismi ma abbastanza crudo e realistico per presentare la situazione alquanto critica e difficile che sono costretti ad affrontare sia colui (in questo caso, colei) che viene colpito dalla spietata malattia sia i familiari e gli amici stessi che intorno assistono impotenti e rammaricati, per non dire disperati, una fine annunciata ed in certi casi non sempre dignitosa.
Consigliato a chi è interessato senza aspettarsi alcun divertissement.
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intothewild4ever
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mercoledì 28 gennaio 2015
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perdersi, ma non questo film
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Storia di una donna colta, intelligente ed in carriera, che scopre di essere affetta da una rara forma di Alzheimer precoce. Da lì si avrà un esempio della devastazione che comporta una scoperta del genere, su se stessi e su chi ci sta intorno. Struggente, straziante, emozionante e vero.
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zarar
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martedì 27 gennaio 2015
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dalla parte di lei
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Guardando questo film, non ho potuto fare a meno di tornare con la mente a Away from her di Sarah Polley, e - più ancora - ad Amour di Michael Haneke, per me bellissimo. I temi sono simili, la durezza straziante dell’argomento è estrema in tutti e tre, gli attori sono notevoli tutti. Tra i tre Still Alice è quello che ho amato meno, anche se ha avuto su di me un forte impatto emotivo e se ho trovato molto interessante e coraggiosa la prospettiva assunta: in Still Alice infatti il regista non è narratore onnisciente (colui che guarda dall’esterno), né adotta lo sguardo di un colui che è più vicino al malato, angosciato di fronte all’essere amato che soffre e si allontana psicologicamente e intellettualmente in modo irrecuperabile.
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Guardando questo film, non ho potuto fare a meno di tornare con la mente a Away from her di Sarah Polley, e - più ancora - ad Amour di Michael Haneke, per me bellissimo. I temi sono simili, la durezza straziante dell’argomento è estrema in tutti e tre, gli attori sono notevoli tutti. Tra i tre Still Alice è quello che ho amato meno, anche se ha avuto su di me un forte impatto emotivo e se ho trovato molto interessante e coraggiosa la prospettiva assunta: in Still Alice infatti il regista non è narratore onnisciente (colui che guarda dall’esterno), né adotta lo sguardo di un colui che è più vicino al malato, angosciato di fronte all’essere amato che soffre e si allontana psicologicamente e intellettualmente in modo irrecuperabile. Qui chi narra è Alice stessa, che si accampa prepotentemente in primo piano e tiene il campo fino a quando c’è ancora un barlume di vita nel suo cervello. E’ lei che ci parla seguendo la sua parabola discendente, con il suo shock iniziale, le sue paure e i suoi smarrimenti, ma anche il suo coraggio, i suoi tentativi di razionalizzare la sua condizione, la sua volontà di essere strenuamente padrona di sé fino a programmare il suicidio per quando ciò non sarà più possibile; è lei che manifesta il senso di impotenza e di orrore per non poter realizzare il suo progetto (la scena più bella di tutto il film), e che, proprio quando si sta ‘allontanando’ definitivamente, è ancora in grado di offrire una chiave di senso per il suo essere ancora Alice, per se stessa e per gli altri: l’amore. Questa scelta di affrontare il tema dell’Alzheimer dando voce (e dunque dignità e forza e umanità) ad un malato che tutti pensano non abbia più niente da dire è una grande idea, e Julianne Moore fa il massimo per darle corpo. Ma alla regia e alla sceneggiatura mancano una maggiore naturalezza, un tono meno programmatico e declaratorio, più sfumato, più ambiguo e sottile: tutto è troppo detto, scandito, spiegato, sottolineato. Anche la macchina da presa segue la storia con un approccio di tipo documentario, assai convenzionale.
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angelo umana
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martedì 27 gennaio 2015
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"voglio perciò ricordarti com'eri"
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Anna Maria Pasetti sul Fatto Quotidiano del 22 gennaio 2015 definisce questo film “Classico dramma da commozione con dignità, offre più spunti di riflessione e apprezzamenti umani che non cinematografici”.
Julianne Moore ha già ricevuto il Golden Globe per la sua intensa interpretazione, facile che un altro premio arrivi dagli Oscar. Deve essere professionalmente preparata un’attrice ultra cinquantenne che si mette nella parte di un’insegnante di linguistica all’ università e relatrice a convegni, che comincia a perdere la memoria e i suoi punti fermi, lei che era un’ambiziosa sé stessa affascinata dalla comunicazione, che si definiva in base alla sua intelligenza, proprietà di linguaggio, argomentazioni.
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Anna Maria Pasetti sul Fatto Quotidiano del 22 gennaio 2015 definisce questo film “Classico dramma da commozione con dignità, offre più spunti di riflessione e apprezzamenti umani che non cinematografici”.
Julianne Moore ha già ricevuto il Golden Globe per la sua intensa interpretazione, facile che un altro premio arrivi dagli Oscar. Deve essere professionalmente preparata un’attrice ultra cinquantenne che si mette nella parte di un’insegnante di linguistica all’ università e relatrice a convegni, che comincia a perdere la memoria e i suoi punti fermi, lei che era un’ambiziosa sé stessa affascinata dalla comunicazione, che si definiva in base alla sua intelligenza, proprietà di linguaggio, argomentazioni.
Forse però ha ragione la Pasetti: il film commuove, raggiunge lo scopo come gli americani sanno fare, ha belle immagini, una bellissima Kristen Stewart nella parte di una dei figli della protagonista, quella dei tre che empatizza di più con la madre, c’è la casa al mare e le passeggiate della protagonista sul bagnasciuga, la famiglia che non la lascia sola nel suo decadimento, può perfino tenere una conferenza sulla sua malattia. E’ coraggioso che il regista Richard Glatzer abbia deciso di mettere in scena il libro dallo stesso titolo, del 2007, di Lisa Genova (neuroscienziata e novellista 45enne americana) sulla malattia di Alzheimer, lui che è malato di Sla. Però … però gli americani sanno spettacolarizzare tutto, ci comprano con le emozioni. Che distanza rispetto alla vecchiaia dimessa mostrata in Amour di Haneke e rispetto all’alzheimer triste di Una sconfinata giovinezza di Pupi Avati (film del 2012 e 2010 rispettivamente).
Qui vengono date delle istruzioni su come affrontare la malattia, visto che con il progredire della vita media delle nostre società, ancora in parte opulente, sarà forse diffusissima: registrare un messaggio che ci ricordi cosa fare per avvelenarsi e farla finita in un attimo di lucidità, quando essa sia andata troppo avanti, imparare l’arte del perdere, non sentirsi ridicoli e incapaci perché questo è la nostra malattia, non siamo noi, esser dotati di smartphone con cui esercitarsi con le parole – eppure sono gli smartphones, i navigatori satellitari e i motori di ricerca che ci stanno disabituando a ricordare e forse ragionare – essere soddisfatti che la propria vita non è stata una tragedia pure se breve come quella delle farfalle bellissime ed effimere.
E’ ottimista Julianne Moore: vorrebbe che tutto andasse avanti, rimanere in contatto con quella che era una volta, pensare a cose ancora da fare nella vita: lo spirito attivo americano. Eppure il medico non le nasconde che la malattia progredisce più in fretta e più gravemente in chi si è dedicato ad attività intellettuali. Le tornano davanti immagini dell’infanzia, la regressione a un tempo felice che era pure nel film di Pupi Avati. Rimanere ancora Alice, Still Alice, ma che non sia una vita ferma, una Still Life (altro film di Uberto Pasolini del 2013).
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ladyorchid
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martedì 27 gennaio 2015
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perdere se stessi
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Qui non siamo di fronte al solito film sulle malattie incurabili che mira a conquistare il pubblico con toni ed eventi a tutti i costi strazianti e con l'obiettivo di far risaltare l'eroe americano compianto di turno e che entra nella storia perchè ha una morbo e fa qualcosa di straordinario..ci troviamo di fronte a una sorta di cronaca purtroppo comune a tanti di noi..Alice Howland (una straordinaria Julianne Moore) è una comune madre, moglie, e professoressa di linguistica che ama il suo lavoro e si sente realizzata ed appagata per questo..E' un pilastro e un punto di riferimento per suo marito e i suoi figli, ed è una persona incredibilmente tenace e solare.
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Qui non siamo di fronte al solito film sulle malattie incurabili che mira a conquistare il pubblico con toni ed eventi a tutti i costi strazianti e con l'obiettivo di far risaltare l'eroe americano compianto di turno e che entra nella storia perchè ha una morbo e fa qualcosa di straordinario..ci troviamo di fronte a una sorta di cronaca purtroppo comune a tanti di noi..Alice Howland (una straordinaria Julianne Moore) è una comune madre, moglie, e professoressa di linguistica che ama il suo lavoro e si sente realizzata ed appagata per questo..E' un pilastro e un punto di riferimento per suo marito e i suoi figli, ed è una persona incredibilmente tenace e solare. E' tenace perchè sin dai primi segni del suo morbo precoce, se da un lato è preoccupata, dall'altro lotta con tutta se stessa per non sprofondare nel totale oblio della sua persona..Si attacca con tutta la sua forza ai frammenti di memoria che le ricordano che è una donna eccezionale..ed è solare. E' solare, nonostante tutto. Non si piange continuamente addosso, ma anzi continua a regalare, finchè la sua malattia glielo concede, bellissimi sorrisi e sprazzi di vitalità alla sua famiglia..che non capisce che lei non è una malata qualsiasi. Perchè gli altri, mentre la forza fisica viene a mancare, possono ancora ricordare gli eventi che hanno segnato la loro vita..lei no. A lei il suo morbo strappa via tutti i suoi ricordi più preziosi..e la rende un'estranea in un corpo che fatica a riconoscere, circondata da visi che ora sembrano quelli di persone sconosciute mai incontrate prima..perchè questo non è un distubo della personalità o un male che guarisce con l'amore dei propri cari..Alzheimer è una belva che piano piano divora tutte le tue funzioni cognitive e fisiche e ti priva di tutto ciò che hai. Non è il classico film da finale strappalacrime, qui le lacrime cadono durante..toccante e commovente il discorso che tiene davanti ad una platea, e laceranti alcuni episodi che ci renderanno partecipi della sua evidente perdita di memoria e di cognizione..un film che merita di essere visto, di cui non a caso la sensibilità dietro tutto ciò è opera del regista Richard Glatzer, affetto da sclerosi laterale amiotrofica. Un film che suggerisco a tutti per la delicata tematica trattata in modo veritiero..credo che riguardi tutti noi..perchè è un morbo che è più diffuso di quanto si pensi..e credo sia uno dei più temibili dal punto di vista psicologico. Attualmente la Moore è in lizza per l'oscar alla migliore attrice, e io personalmente credo che se lo meriterebbe tutto. E' riuscita perfettamente a rappresentare il declino di una donna affetta da questa malattia, ed è un'attrice straordinaria, espressiva come poche . Il finale del film mi lascia con una domanda a cui non trovo e non voglio trovare risposta..chi saremmo senza i nostri ricordi e senza la nostra memoria?..
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[+] una sconfinata giovinezza
(di angelo umana)
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angelo76
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lunedì 26 gennaio 2015
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bello ma freddo
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un bel film che tratta tematiche importanti raccontate con freddezza e poca partecipazione.
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ashtray_bliss
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sabato 24 gennaio 2015
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noi non siamo la nostra malattia !
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E con questa emblematica frase, pronuniciata dalla protagonista Alice, che fa' da echo e leit-motif alla pellicola intera. Una pellicola che si distacca notevolmente dai toni melodrammatici e strappalacrime che solitamente si presentano al grande pubblico (vedi i film di Cassavettes o gli affini de "Colpa delle Stelle") quando trattasi di descrivere mallatie insidiose ed incurabili. Ma Still Alice piu' che un film drammatico si presenta come una cronaca lucida di un'destino inesorabile dal quale e' impossibile fuggire. Ma altresi rappresenta la tenacia, la determinazione, la lotta umana e verosimile di una donna che non si arrende ma combatte ogni giorno per trattenere frammenti di memoria, di vita intera.
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E con questa emblematica frase, pronuniciata dalla protagonista Alice, che fa' da echo e leit-motif alla pellicola intera. Una pellicola che si distacca notevolmente dai toni melodrammatici e strappalacrime che solitamente si presentano al grande pubblico (vedi i film di Cassavettes o gli affini de "Colpa delle Stelle") quando trattasi di descrivere mallatie insidiose ed incurabili. Ma Still Alice piu' che un film drammatico si presenta come una cronaca lucida di un'destino inesorabile dal quale e' impossibile fuggire. Ma altresi rappresenta la tenacia, la determinazione, la lotta umana e verosimile di una donna che non si arrende ma combatte ogni giorno per trattenere frammenti di memoria, di vita intera.
Alice, una brillante linguista, moglie e madre di tre figli si vede costreta ad affrontare un calvario inimmaginabile: Si vede spazzare via tutte le sue memorie e facolta' cognitive, dalle piu' basilari alle piu' complesse, a causa di una fulminante quanto precoce forma di Alzheimer.
L'arte di perdere. L'arte di combattere e di vincere. Queste sono le due battaglie principali contro le quali Alice deve lottare quotidianamente, appunto per non perdere la cosa piu' essenziale; se stessa.
Ma la malattia, subdola e incontrollabile, incurabile continua a gallopare, prendendo poco a poco il sopravvento su questa brillante donna di carriera e deprivandola della cosa che rende ogni persona unica e speciale; la memoria. E con la perdita di memoria segue la perdita della dignita', della cognizione, dell'orientamento. Tutto svanisce, pezzo dopo pezzo ma in maniera irreversibile. Eppure il film riesce a mantenere una presa asciutta e lucida nonostante il soggetto drammatico messo in scena. Privo di sentimentalismi gratuiti o dialoghi strappalacrime, privo di intrecci che mirano a conquistare il pubblico sentimentalista, il film mantiene una posizione coerente e verosimile verso la sua protagonista. La arma di coraggio, di tenacia, di verosimiglianza ma non la fa' mai apparire come una vittima della malattia, o un sogetto in cerca di comprensione/compassione dal suo pubblico. Questo e' l'elemento chiave del film. Paragonabile anche se lontanamente al crudo realismo dei fratelli Dardenne, anche qui la coppia registica ci propone uno spaccato amaro e crudo, ma veritiero di una malattia silenziosamente aggressiva. Che attacca senza che te ne rendi conto, ma ti porta via tutto, poco alla volta.
In questa prigione progressiva, Alice cerca il tempo per ricongiungersi con i tre figli e col marito, ma principalmente con la figlia piu' piccola Lydia (K.Stewart). Una figlia che e' alla ricerca della creativita', e della libera espressione trovando rifugio nelle opere teatrali di cui si nutre. Figlia apparentemente distante, per via dei km e degli affetti che la dividono dai genitori e da gli altri fratelli ma che in realta' si rivela la piu' vicina al calvario della madre, nel quale decidera' di assisterla.
In Still Alice troviamo una Julianne Moore in splendida forma, carica di umanita' che dona al suo personaggio spessore umano e determinazione senza caricarlo di inutili drammaticita' teatrali. Si immedesima nella lotta quotidiana di una donna che non si arrende ma si aggrappa alla vita, alla memoria, alle parole prima che svaniscano, prima di disimpararle per sempre. Col sostegno di un poco presente e comprensivo marito (A. Baldwin) piu' preoccupato a non perdere le offerte di lavoro che prendersi cura di una moglie alla deriva e prigioniera della sua stessa malattia; e quello dei tre figli Alice cerca di condurre una vita apparentemente normale, anche se segnata.
Ottima pellicola di rilievo, supportata da una streptosa interpretazione da parte della Moore. Fluida e ben costruita sceneggiatura, lineare nello svolgersi e pungente quanto basta da spronare lo spettatore a con-vivere per un'ora e mezza con la protagonista e assistere egli stesso alla violenta devastazione che apporta l'Alzheimer.
Nessuna vittoria o lieto fine qui, ma solo un susseguirsi di amare realta'. Con un messaggio positivistico in fondo: quello di lottare sempre e comunque, senza dimenticare che noi non siamo la nostra malattia. E che forse, di tutte le cose che questa riesce a portar via, l'amore e' l'unico sentimento che non si puo' disimparare o dimenticare.
Assolutamente consigliato.
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[+] concordo con te. film emotivamente coinvolgente.
(di antonio montefalcone)
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ashtray_bliss
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sabato 24 gennaio 2015
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noi non siamo la nostra malattia !
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E con questa emblematica frase, pronuniciata dalla protagonista Alice, che fa' da echo e leit-motif alla pellicola intera. Una pellicola che si distacca notevolmente dai toni melodrammatici e strappalacrime che solitamente si presentano al grande pubblico (vedi i film di Cassavettes o gli affini de "Colpa delle Stelle") quando trattasi di descrivere mallatie insidiose ed incurabili. Ma Still Alice piu' che un film drammatico si presenta come una cronaca lucida di un'destino inesorabile dal quale e' impossibile fuggire. Ma altresi rappresenta la tenacia, la determinazione, la lotta umana e verosimile di una donna che non si arrende ma combatte ogni giorno per trattenere frammenti di memoria, di vita intera.
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E con questa emblematica frase, pronuniciata dalla protagonista Alice, che fa' da echo e leit-motif alla pellicola intera. Una pellicola che si distacca notevolmente dai toni melodrammatici e strappalacrime che solitamente si presentano al grande pubblico (vedi i film di Cassavettes o gli affini de "Colpa delle Stelle") quando trattasi di descrivere mallatie insidiose ed incurabili. Ma Still Alice piu' che un film drammatico si presenta come una cronaca lucida di un'destino inesorabile dal quale e' impossibile fuggire. Ma altresi rappresenta la tenacia, la determinazione, la lotta umana e verosimile di una donna che non si arrende ma combatte ogni giorno per trattenere frammenti di memoria, di vita intera.
Alice, una brillante linguista, moglie e madre di tre figli si vede costreta ad affrontare un calvario inimmaginabile: Si vede spazzare via tutte le sue memorie e facolta' cognitive, dalle piu' basilari alle piu' complesse, a causa di una fulminante quanto precoce forma di Alzheimer.
L'arte di perdere. L'arte di combattere e di vincere. Queste sono le due battaglie principali contro le quali Alice deve lottare quotidianamente, appunto per non perdere la cosa piu' essenziale; se stessa.
Ma la malattia, subdola e incontrollabile, incurabile continua a gallopare, prendendo poco a poco il sopravvento su questa brillante donna di carriera e deprivandola della cosa che rende ogni persona unica e speciale; la memoria. E con la perdita di memoria segue la perdita della dignita', della cognizione, dell'orientamento. Tutto svanisce, pezzo dopo pezzo ma in maniera irreversibile. Eppure il film riesce a mantenere una presa asciutta e lucida nonostante il soggetto drammatico messo in scena. Privo di sentimentalismi gratuiti o dialoghi strappalacrime, privo di intrecci che mirano a conquistare il pubblico sentimentalista, il film mantiene una posizione coerente e verosimile verso la sua protagonista. La arma di coraggio, di tenacia, di verosimiglianza ma non la fa' mai apparire come una vittima della malattia, o un sogetto in cerca di comprensione/compassione dal suo pubblico. Questo e' l'elemento chiave del film. Paragonabile anche se lontanamente al crudo realismo dei fratelli Dardenne, anche qui la coppia registica ci propone uno spaccato amaro e crudo, ma veritiero di una malattia silenziosamente aggressiva. Che attacca senza che te ne rendi conto, ma ti porta via tutto, poco alla volta.
In questa prigione progressiva, Alice cerca il tempo per ricongiungersi con i tre figli e col marito, ma principalmente con la figlia piu' piccola Lydia (K.Stewart). Una figlia che e' alla ricerca della creativita', e della libera espressione trovando rifugio nelle opere teatrali di cui si nutre. Figlia apparentemente distante, per via dei km e degli affetti che la dividono dai genitori e da gli altri fratelli ma che in realta' si rivela la piu' vicina al calvario della madre, nel quale decidera' di assisterla.
In Still Alice troviamo una Julianne Moore in splendida forma, carica di umanita' che dona al suo personaggio spessore umano e determinazione senza caricarlo di inutili drammaticita' teatrali. Si immedesima nella lotta quotidiana di una donna che non si arrende ma si aggrappa alla vita, alla memoria, alle parole prima che svaniscano, prima di disimpararle per sempre. Col sostegno di un poco presente e comprensivo marito (A. Baldwin) piu' preoccupato a non perdere le offerte di lavoro che prendersi cura di una moglie alla deriva e prigioniera della sua stessa malattia; e quello dei tre figli Alice cerca di condurre una vita apparentemente normale, anche se segnata.
Ottima pellicola di rilievo, supportata da una streptosa interpretazione da parte della Moore. Fluida e ben costruita sceneggiatura, lineare nello svolgersi e pungente quanto basta da spronare lo spettatore a con-vivere per un'ora e mezza con la protagonista e assistere egli stesso alla violenta devastazione che apporta l'Alzheimer.
Nessuna vittoria o lieto fine qui, ma solo un susseguirsi di amare realta'. Con un messaggio positivistico in fondo: quello di lottare sempre e comunque, senza dimenticare che noi non siamo la nostra malattia. E che forse, di tutte le cose che questa riesce a portar via, l'amore e' l'unico sentimento che non si puo' disimparare o dimenticare.
Assolutamente consigliato.
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(di elboliloco)
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