maria cristina nascosi sandri
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lunedì 18 gennaio 2016
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per non dimenticare di ricordare, mai....
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Rec.di Maria Cristina NASCOSI SANDRI
In uscita in Italia dal 14 gennaio,NEL LABIRINTO DEL SILENZIO,del 2014,eccellente opera prima del milanese-tedesco Giulio Ricciarelli.Soggetto di Elisabeth Bartel-pure sceneggiatrice con il regista-si avvale delle ottime interpretazioni di A.Fehling,A.Szymanski,F.Becht,Gert Voss-figura-chiave del plot.
E' basato su di un fatto 'vero',il processo di Francoforte, il primo tenuto in patria contro i responsabili di Auschwitz,rintracciati ribaltando tutta la Germania.Celebrato nel 1963,il processo diede un giro di volta alla percezione deiTedeschi sull’Olocausto,fece scoprire un'ignota realtà alle giovani generazioni che-può sembrare assurdo a 14 anni dalla fine della guerra, visto che il lavoro di ricerca inizia alla fine degli anni Cinquanta-diede poi la stura ad una serie di iniziative per il superamento di colpevoli omertà, per la ricostruzione ed il rispetto della Memoria.
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Rec.di Maria Cristina NASCOSI SANDRI
In uscita in Italia dal 14 gennaio,NEL LABIRINTO DEL SILENZIO,del 2014,eccellente opera prima del milanese-tedesco Giulio Ricciarelli.Soggetto di Elisabeth Bartel-pure sceneggiatrice con il regista-si avvale delle ottime interpretazioni di A.Fehling,A.Szymanski,F.Becht,Gert Voss-figura-chiave del plot.
E' basato su di un fatto 'vero',il processo di Francoforte, il primo tenuto in patria contro i responsabili di Auschwitz,rintracciati ribaltando tutta la Germania.Celebrato nel 1963,il processo diede un giro di volta alla percezione deiTedeschi sull’Olocausto,fece scoprire un'ignota realtà alle giovani generazioni che-può sembrare assurdo a 14 anni dalla fine della guerra, visto che il lavoro di ricerca inizia alla fine degli anni Cinquanta-diede poi la stura ad una serie di iniziative per il superamento di colpevoli omertà, per la ricostruzione ed il rispetto della Memoria.L'uscita anticipa di due settimane circa il Giorno della Memoria.
Ed è stata un'ottima scelta:la pellicola si pone come supporto didattico notevole,per NON DIMENTICARE di RICORDARE.
Le musiche ben dosate, di grande leggerezza,ma di forte spessore 'intellettuale',a perfetto accompagnamento della narrazione drammaturgica, sono di Niki Reiser e Sebastian Pille, affiancate da un recupero di un'antica star italo-tedesca della musica leggera del tempo,Caterina Valente.
A vederlo,inizialmente,il film può apparire quasi'inutile',didascalico:i molti altri a cui fa riferimento si'sprecano',dal recente Woman in Gold,del 2015,di Curtis in cui pure un giovane avvocato in carriera-come il Fehling di Nel labirinto...-riesce a districare una delle molteplici situazioni abnormi createsi in grembo alla Shoah,superando malafede e prevaricazioni anche'a posteriori',a I ragazzi venuti dal Brasile,del 1978,dove Mengele il mostro-medico-sperimentatore di Auschwitz-Birkenau,riesce ad evitare galera e maltrattamenti,morendo di morte naturale come molti degli altri aguzzini disumani dei campi di concentramento,riparando indisturbato,prima in Argentina poi in Brasile a The music box del grande Costa-Gavras,del 1989.
In ognuno di essi,potenti il dolore,le angosce che li informano,gestori di vita dei sopravvissuti,alcuni poi morti suicidi decenni dopo,per senso di colpa e di sopravvivenza'senza merito',come Primo Levi,gli stessi stati d'animo che si ritrovano nel film di Ricciarelli.
Ma forse è al sunnominato The music box che la pellicola più si ispira,per quella scoperta dell'orrore in casa propria,nella propria famiglia,in noi:uno dei protagonisti pian piano si scopre figlio di un padre nazista o, quantomeno, collaborazionista, e nessuno sfuggirà a questa 'pendenza';di qui il'dovere'di NON DIMENTICARE di RICORDARE,come si diceva in incipit,specie per le generazioni che verranno,perché chi non sa,chi non conosce,è destinato a ripetere gli errori dei suoi predecessori.
Ma per citare il grande ebreo David Mamet e la sua insuperata opera prima del 1987,La casa dei Giochi,in cui la protagonista,psicanalista in carriera si sente riprendere e recuperare dalla sua mèntore-madre psicanalista,si riporta il detto:Devi imparare a perdonarti.
Un dovere che,nel caso de Nel labirinto del silenzio si trasforma,infine,in un ammettere i propri errori ricominciando a cercare-daccapo-la Verità,perché nessuno è perfetto,verità che diviene un doveroso Inno alla Vita,quella vita negata nei lager ma che sempre,positivamente,deve esser inseguita dai giovani,il Futuro dell'Umanità.
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tavololaici
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lunedì 1 febbraio 2016
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bel film, ed anche interessante ed utile
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Bel film! Vado in controtendenza con alcune critiche. Bel film, spero arrivi presto in Tv e faccia molti ascoltatori, molti piu' di quelli che una sala d'essai-pur piena- è riuscita a fare l'altra sera, per quanto in cartellone da giorni.
Senza annoiare minimamente, è riuscito a portare sullo schermo una pagina di storia.
Ma anche, senza annoiare, una pagina di storiografia, giacchè gli studiosi contemporaneisti discutono, tra loro (purtroppo) da 10 anni,ed anche in Italia, del lungo silenzio che a tutti i livelli ha dovuto sopportare lo sterminio.
Molte delle questioni cardine della (seria) faccenda sono adombrati nel film,senza pesare e senza stancare, quasi con una sorta di (disperata) leggerezza.
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Bel film! Vado in controtendenza con alcune critiche. Bel film, spero arrivi presto in Tv e faccia molti ascoltatori, molti piu' di quelli che una sala d'essai-pur piena- è riuscita a fare l'altra sera, per quanto in cartellone da giorni.
Senza annoiare minimamente, è riuscito a portare sullo schermo una pagina di storia.
Ma anche, senza annoiare, una pagina di storiografia, giacchè gli studiosi contemporaneisti discutono, tra loro (purtroppo) da 10 anni,ed anche in Italia, del lungo silenzio che a tutti i livelli ha dovuto sopportare lo sterminio.
Molte delle questioni cardine della (seria) faccenda sono adombrati nel film,senza pesare e senza stancare, quasi con una sorta di (disperata) leggerezza.
Il silenzio sullo sterminio in Germania per 20 anni dal 1945 è il centro del film.
La stessa cosa puo' essere detta per il Sacro Suolo Italico, per lo stesso argomento e per i crimini in loco e durante la guerra, del fascismo.
Perfettamente identica. Rimozione, coperture istituzionali, insabbiamenti e quanto di peggio e di piu'.
Ma anche cecità ed ignoranza, a fiumi.
Si pensi a Giulio Einaudi (l'editore, e comunista) che rifiuta, e piu' volte, “ Se questo è un uomo” di Levi, ecc.
Si pensi ai manuali di storia che ignorano lo sterminio quasi fin alla fine degli anni 70, eccetera.
Mi fermo qui, che è meglio.
Bel film!
Gianni Buganza - Padova
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flaw54
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lunedì 18 gennaio 2016
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la banalità del male
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Un film che fa riflettere : è giusto dimenticare le atroci colpe di un popolo per ricominciare una nuova vita o la memoria e la ricerca della verità devono essere superiori a tutto. È il dramma della Germania postnazista che si trova adover convivere con le colpe di moltissimi uomini comuni legati nel caso del film ai massacri di Auschwitz.Tutti sono stTi nazisti e così i Riemergono prepotentemente le parole della Arendt sulla banalità del male e su come uomini apparentemente normali abbiano potuto compiere azioni così spregevoli. Il film mostra seppur in modo schematico e con un protagonista non sempre all' altezza questa situazione fino al processo che condannerà i boia di Auschwitz.
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Un film che fa riflettere : è giusto dimenticare le atroci colpe di un popolo per ricominciare una nuova vita o la memoria e la ricerca della verità devono essere superiori a tutto. È il dramma della Germania postnazista che si trova adover convivere con le colpe di moltissimi uomini comuni legati nel caso del film ai massacri di Auschwitz.Tutti sono stTi nazisti e così i Riemergono prepotentemente le parole della Arendt sulla banalità del male e su come uomini apparentemente normali abbiano potuto compiere azioni così spregevoli. Il film mostra seppur in modo schematico e con un protagonista non sempre all' altezza questa situazione fino al processo che condannerà i boia di Auschwitz. È un processo vero che per la Germania è stato più importante di quello di Norimberga perchè per la prima volta un paese ha deciso di guardare dentro la sua anima, condannare i propri figli e non mentire alle nuive generazioni. È un film che trascina, nonostante un montaggio piuttosto semplicistici e talvolta un po' frammentario, ma che non ha impedito al pubblico in sala di lasciarsi andare nel finale ad un sentito applauso liberatorio. Un film da vedere, ma mi chiedo: come mai una sola sala a Firenze mostra questo g ilm?
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flyanto
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lunedì 18 gennaio 2016
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quello che portò al famoso processo di francoforte
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In prossimità del periodo che commemora la Shoah cominciano ad uscire nelle sale cinematografiche pellicole che parlano della strage del popolo ebreo nei campi di sterminio per opera dei Nazisti. E "Il Labirinto del Silenzio" fa parte di questo filone in quanto racconta la storia di un giovane procuratore legale il quale decide di ricercare, al fine di processarli e farli arrestare, tutti coloro appartenenti al movimento nazista che operarono nei campi di concentramento e contribuirono attivamente a sterminare gli ebrei ivi prigionieri. Tra i molti indiziati egli si adopera con tutti i mezzi, ma invano, in quanto già emigrato in Argentina, di arrestare il dottor Josef Mengele, autore di orribili esperimenti medici soprattutto sui bambini, ma la lista dei colpevoli è molto lunga ed il compito per il giovane legale si dimostra assai arduo anche a causa dell'iniziale reticenza e paura di alcuni sopravvissuti ebrei.
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In prossimità del periodo che commemora la Shoah cominciano ad uscire nelle sale cinematografiche pellicole che parlano della strage del popolo ebreo nei campi di sterminio per opera dei Nazisti. E "Il Labirinto del Silenzio" fa parte di questo filone in quanto racconta la storia di un giovane procuratore legale il quale decide di ricercare, al fine di processarli e farli arrestare, tutti coloro appartenenti al movimento nazista che operarono nei campi di concentramento e contribuirono attivamente a sterminare gli ebrei ivi prigionieri. Tra i molti indiziati egli si adopera con tutti i mezzi, ma invano, in quanto già emigrato in Argentina, di arrestare il dottor Josef Mengele, autore di orribili esperimenti medici soprattutto sui bambini, ma la lista dei colpevoli è molto lunga ed il compito per il giovane legale si dimostra assai arduo anche a causa dell'iniziale reticenza e paura di alcuni sopravvissuti ebrei. Dopo innumerevoli ricerche ed ostacoli frappostigli, egli riuscirà finalmente nel suo intento di processare e fare arrestare i colpevoli nazisti, ma non senza avere scoperto scomode e personali verità che contribuiranno a cambiargli la propria rigida mentalità arrivando a comprendere le reali motivazioni che molti tedeschi ebbero ai tempi del secondo conflitto mondiale di appartenere o meno al partito nazista. Insomma, per lui tutto ciò sarà servito come una bella ma severa lezione di vita.
Opera prima ed in lizza per il prossimo Oscar come miglior film straniero, questo film del regista italo-tedesco Giulio Ricciarelli, noto in patria come attore, risulta essere molto ben diretto ed interpretato affrontando un tema, più volte e precedentemente già trattato e sicuramente assai scomodo e parecchio delicato. Ormai i fatti reali sono stati resi conosciuti ed ampiamente denunciati dalla fine del conflitto mondiale e pertanto la materia non si presenta, appunto, come una novità nè aggiunge nulla di nuovo. Ma quello che rende apprezzabile la pellicola è soprattutto il rigore con cui è stata girata da Ricciarelli e la riproduzione fedele di un'epoca, gli anni '50, in cui la Germania cominciava ad assaporare il proprio risveglio economico, preferendo dimenticare gli orrori e le realtà scomode della Seconda Guerra Mondiale ed aprirsi verso nuovi e più rosei orizzonti. Anche il cambiamento interiore graduale e determinante del protagonista stesso, viene da Ricciarelli rappresentato in maniera quanto mai efficace: le certezze e la rigida mentalità del giovane protagonista sono considerate quanto mai comprensibili in una persona che non conosce bene i fatti essendo stato all'epoca della Grande Guerra poco più che un bambino ma che, una volta venutone a conoscenza e soprattutto resosi conto di come realmente era la situazione a quell'epoca, comincia a rivedere le proprie posizioni.
Insomma, un film interessante ed avvincente nonchè esempio di buon cinema e percontinuare a non dimenticare un'orribile pagina della storia passata. Consigliabile.
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angelo umana
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mercoledì 27 gennaio 2016
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i figli giudicano i padri
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Film apprezzabile per varie ragioni. La prima è che si potrebbe non aver riflettuto abbastanza su che cosa comportò in Germania fare i conti con quanto accaduto nei lager durante la seconda guerra. Ora è tutto chiarito, i lager (i tedeschi li chiamano pudicamente KL, Konzentrationslager) o luoghi della memoria sono tutti da visitare e il Paese ha ben documentato in essi quanto avvenne. Ma ai primi anni ’60 si ebbe il processo dei figli nei confronti dei padri, che culminò nel processo di Francoforte del 1963 (Bonn pare non lo abbia voluto ospitare). I primi erano bambini ai tempi delle deportazioni. I loro padri, o la gente più anziana, sostenevano che Hitler se n’era andato, che i maggiori gerarchi nazisti erano stati giudicati a Norimberga nel ‘45 (nel film è dato sufficiente spazio alla ricerca e al processo di Eichmann a Gerusalemme, oltreché alla caccia a Mengele, morto per annegamento nel 1979 in Sudamerica …), che insomma la questione era risolta e avevano pagato le loro colpe coloro che dovevano.
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Film apprezzabile per varie ragioni. La prima è che si potrebbe non aver riflettuto abbastanza su che cosa comportò in Germania fare i conti con quanto accaduto nei lager durante la seconda guerra. Ora è tutto chiarito, i lager (i tedeschi li chiamano pudicamente KL, Konzentrationslager) o luoghi della memoria sono tutti da visitare e il Paese ha ben documentato in essi quanto avvenne. Ma ai primi anni ’60 si ebbe il processo dei figli nei confronti dei padri, che culminò nel processo di Francoforte del 1963 (Bonn pare non lo abbia voluto ospitare). I primi erano bambini ai tempi delle deportazioni. I loro padri, o la gente più anziana, sostenevano che Hitler se n’era andato, che i maggiori gerarchi nazisti erano stati giudicati a Norimberga nel ‘45 (nel film è dato sufficiente spazio alla ricerca e al processo di Eichmann a Gerusalemme, oltreché alla caccia a Mengele, morto per annegamento nel 1979 in Sudamerica …), che insomma la questione era risolta e avevano pagato le loro colpe coloro che dovevano. Adenauer nel 1949 spinse perché chiunque venisse reintegrato nei posti di lavoro pubblici che occupava prima, così accade che Simon Kirsch (l’attore si chiama Johannes Krisch), un reduce di Auschwitz, riconosce in una scuola un ex gerarca ora professore violento di bambini. A nessuno pareva importasse nulla, tutti avrebbero voluto dimenticare e andare avanti, riprendersi e rappacificarsi: questo era un concetto descritto anche in Il segreto del suo volto, il film di Petzold dedicato al procuratore Fritz Bauer che volle fortissimamente che il processo di Francoforte avesse luogo. Pure questo film è a lui dedicato.
Sebbene quasi tutti i magistrati dei primi anni ’60 erano stati iscritti al partito nazionalsocialista, e coloro che avevano “lavorato” nei lager (8000?) fossero ancora dappertutto - i nazisti non potevano essersi dissolti nel nulla dopo aver riposto l’uniforme – la pervicacia di un giovane procuratore che collaborava con Fritz Bauer portò a far testimoniare centinaia di sopravvissuti e familiari delle vittime. E’ proprio questo personaggio il protagonista (l’attore è Alexander Fehling, un precedente in Bastardi senza gloria) del film un po’ fiction ma molto dossier, insieme con un giornalista (André Szymanski) che era stato messo a servizio ad Auschwitz quando aveva 17 anni e vide la cattiveria dei kapò e le torture dei militari che, ancora si sosteneva, avevano solamente eseguito ordini, non colpevoli dunque perché avevano solo fatto bene il proprio “lavoro”. Lui e il procuratore andranno a recitare la preghiera ebraica kaddish di fronte al reticolato di Auschwitz, in memoria delle due bambine di Simon, soppresse dagli esperimenti del dottor Mengele. Il punto, per questo giovane procuratore, non era raggiungere una condanna ma far testimoniare i sopravvissuti e i congiunti delle vittime, al cospetto dei responsabili (seconde linee) individuati. Qualcosa di simile volle Mandela, dopo l’apartheid, le confessioni pubbliche per la pacificazione.
L’apprezzabilità del film è dovuta anche al montaggio, le parole di una scena iniziano quando ancora le immagini di quella precedente si stanno concludendo, questo gli dà il ritmo incalzante e l’impronta da inchiesta. E’ “abbellito” anche dalla storia d’amore del giovane avvocato con una ragazza (Friederike Becht, che un ruolo ebbe in The Reader) conosciuta da difensore d’ufficio, rea di un parcheggio vietato. Non solo, si crea una piccola compagnia di “cospiratori” per cui lo spettatore certamente parteggia, un gruppetto che vuole quel processo, di cui fanno parte anche il giovane procuratore e la sua compagna, Simon Kirsch, il giornalista Gnielka, avversati da chi vorrebbe che dopo 17 anni dalla fine della guerra si tacesse, per nascondere le proprie responsabilità da piccoli giustizieri nei lager. Opera prima meritoria alla regia di Giulio Ricciarelli, cinquantenne figlio di una tedesca e di un italiano.
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gaiart
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martedì 5 gennaio 2016
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crimini commessi da persone perfettamente normali
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IL LABIRINTO DEL SILENZIO
Im Labyrinth des Schweigens (2014)
“Crimini commessi da persone perfettamente normali”
In uscita in Italia dal 14 gennaio, ben diretto dal milanese Giulio Ricciarelli, distribuito da Good Films, e negli negli USA da Sony Pictures Classics, IL LABIRINTO DEL SILENZIO concorre come Miglior Film Straniero agli Oscar.
LA CORNICE
Germania. 1958. Boom economico. La storia tedesca in quel momento è scissa in due: da un lato la crescita finanziaria connessa alla ripresa personale, emotiva della popolazione; dall’altro, anche da parte del popolo stesso, il negazionismo dei crimini commessi e la sparizione di ben 10 milioni di nazisti dei tempi di Adolf Hitler, come volatilizzati, riciclati in nuove vite o rintanati come talpe.
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IL LABIRINTO DEL SILENZIO
Im Labyrinth des Schweigens (2014)
“Crimini commessi da persone perfettamente normali”
In uscita in Italia dal 14 gennaio, ben diretto dal milanese Giulio Ricciarelli, distribuito da Good Films, e negli negli USA da Sony Pictures Classics, IL LABIRINTO DEL SILENZIO concorre come Miglior Film Straniero agli Oscar.
LA CORNICE
Germania. 1958. Boom economico. La storia tedesca in quel momento è scissa in due: da un lato la crescita finanziaria connessa alla ripresa personale, emotiva della popolazione; dall’altro, anche da parte del popolo stesso, il negazionismo dei crimini commessi e la sparizione di ben 10 milioni di nazisti dei tempi di Adolf Hitler, come volatilizzati, riciclati in nuove vite o rintanati come talpe.
IL QUADRO
Basata sui fatti di una storia vera, la pellicola narra di Johann Radmann, il convincente Alexandre Fehling nei panni di un giovane procuratore che, con l’aiuto di un giornalista, Thomas Gnielka (Andrè Szymanski), s’imbatte in alcuni documenti in possesso di un ebreo sopravvissuto ai campi di concentramento. Questi incartamenti riguardano un'ex guardia di Auschwitz che potrebbe essere insegnante in una scuola elementare della città e danno inizio al processo verso i membri delle SS che hanno prestato servizio al campo, nonostante le istituzioni tedesche cospirino per occultarne i crimini commessidurante la Seconda Guerra Mondiale, finita 13 anni prima.
Solo Fritz Bauer, Pubblico Ministero Generale, sembra incoraggiare il giovane contro tutto e tutti, affidandogli l’incarico per cercare di assicurare i responsabili alla giustizia.
LA CRITICA
IL LABIRINTO DEL SILENZIOè elegante. Nella ricostruzione storica del dettaglio, di abiti, ambiti, ambienti dell’epoca risulta totalmente credibile. Ci sono ottimi attori, tra tutti uno: Johannes Krisch, il cui viso da jolly jocker, enigmatico e camaleontico da peso e furore al ruolo. Alla fine però risulta un po’ più commerciale di un altro film inchiesta tedesco, con più mordente, sviluppato sullo stesso tema.
LA CONCORRENZA
DER STAAT GEGEN FRITZ BAUER/ THE PEOPLE VS. FRITZ BAUER/Il racconto di un’eroe.
Focalizzato però più su Bauer,la seconda pellicola è adamantina, ricca di suspence, colpi di scena, mistero, curiosità storica e psicologica di un personaggio sconosciuto, che è un eroe ignoto.
Qui Fritz Bauer non solo è un procuratore generale tedesco, ma è anche un socialista, un ebreo, omosessuale, integerrimo, solitario, geniale. Un uomo spezzato. Che ha tutto e tutti contro nella sua ricerca di cattura verso Adolf Eichmann. Morto nel 1968, il ruolo è stato affrontato e scoperto grazie a un giornalista israeliano solo dieci anni dopo.
Personaggi come lui, con il coraggio di andare contro un sistema, a rischio della propria vita o serenità, ne nascono sempre meno. Sono esempi per tutti, in un’epoca dove prevale egoismo, menefreghismo e disinteresse per il bene collettivo. Un simile eroe odierno potrebbe essere Edward Snowden. Ed è per questi molteplici motivi che Lars Kraume, regista tedesco, ha deciso di fare questo film speciale. Oltre al fatto che la generazione adulta degli anni ‘50 è interessante. E’ curioso scoprire chi sapeva cosa. Sono persone complesse.
Kraume descrive con dovizia di particolari, in maniera lucida, perfettamente accurata con dettagli e particolari studiati attentamente, sia i costumi, le usanze e l’ambiente, molto raffinato ed elegante, dell’epoca in cui, una Germania ferita, cercava di rialzarsi e credere in se stessa negli anni ‘50-60. In realtà, al suo interno ancora il male si nascondeva e molti nazisti rimanevano celati, non stanati. Un po’ come oggi.
I due bravissimi attori (Burghart Klaussner, nel ruolo di Bauer e Ronald Zehrfeld, il suo assistente) sondano come il cuore umano tra uomini possa quindi raggiungere un’empatia fortissima, che va oltre la fisicità e che, forse, con il sesso opposto, non potrà mai eguagliare quello stesso tipo di accordo mentale e psicologico.
Bauer con il suo giovane collega, il pubblico ministero Karl Angermann, tocca l’apice di amicizia che li vede condividere il segreto dei loro reciproci gusti sessuali, verso i transessuali.
All’epoca, la Germania condannava come penale tale propensione che puniva con il carcere.
DER STAAT GEGEN FRITZ BAUERè quindi un film di denuncia, scomodo per la Germania, per i grandi gruppi come Mercedes-Benz, coinvolta nella copertura di Nazisti sopravvissuti, che cela dinamiche politiche interessantissime, anche se spietate. E’ un film drammatico, avvincente con un ottimo ritmo su un eroe dell’epoca che lancia un messaggio atemporale sulla potenza di certe anime e il coraggio di essere se stessi fino in fondo. Cosa sempre più rara.
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fabiofeli
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giovedì 21 gennaio 2016
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brindare alla giustizia o rimuovere la memoria?
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Nella Germania del ’58 non c’è traccia della storia degli ultimi 20 anni. Gli anziani sembrano non ricordare. I giovani rincorrono i miti del consumismo e del divertimento a poco prezzo: possono bastare un giradischi in una casa accogliente e qualche bevanda alcolica. Ma un giovane e solitario avvocato, Johann (Alexander Fehling), impiegato al palazzo di giustizia di Francoforte, è insoddisfatto del suo lavoro di routine di riscossione delle multe; è l’unico che si incuriosisce e si interessa, quando irrompe nel suo posto di lavoro un giornalista, Thomas Gnielka (André Szymanski), con un pittore, Simon (Johannes Krisch), che è stato internato ad Auschwitz dove ha perso la moglie e le figlie sono state torturate ed uccise da Mengele: Simon ha riconosciuto in un insegnante elementare uno dei carnefici del lager e pretenderebbe giustizia, ma rimane inascoltato.
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Nella Germania del ’58 non c’è traccia della storia degli ultimi 20 anni. Gli anziani sembrano non ricordare. I giovani rincorrono i miti del consumismo e del divertimento a poco prezzo: possono bastare un giradischi in una casa accogliente e qualche bevanda alcolica. Ma un giovane e solitario avvocato, Johann (Alexander Fehling), impiegato al palazzo di giustizia di Francoforte, è insoddisfatto del suo lavoro di routine di riscossione delle multe; è l’unico che si incuriosisce e si interessa, quando irrompe nel suo posto di lavoro un giornalista, Thomas Gnielka (André Szymanski), con un pittore, Simon (Johannes Krisch), che è stato internato ad Auschwitz dove ha perso la moglie e le figlie sono state torturate ed uccise da Mengele: Simon ha riconosciuto in un insegnante elementare uno dei carnefici del lager e pretenderebbe giustizia, ma rimane inascoltato. Al comando USA Johann scopre i contorni inaspettatamente ampi dell’orrore dei campi di sterminio, falsamente indicati dai più come luoghi di “internamento preventivo”. Permane una diffusa omertà nella generazione che ha vissuto l’epoca nazista: apparente disinteresse ed acquiescenza per celare le proprie responsabilità; nessun ostacolo frapposto ai criminali nazisti come Mengele che ancora fanno la spola tra l’Argentina e la Germania, contando su una fitta rete di relazioni. Quando il Mossad, il servizio segreto israeliano, arresta Eichmann, si comincia a squarciare il velo sulla orribile verità, che non assolverà più nessuno per piccole o grandi responsabilità e connivenze. La verità ha un caro prezzo per tutti; e purtroppo anche Mengele la farà franca …
Una ambientazione rigorosa e la recitazione dei personaggi, franchi o ambigui, danno ritmo alla narrazione. Il regista tiene avvedutamente la mano leggera sulla visita ad Auschwitz di Johann e Thomas: suscita così maggiore commozione e dolore la quieta campagna teatro di passati orrori. La banalità del male si cela ovunque , si traveste di perbenismo, mostra un volto sereno come la placida campagna, nella quale ogni traccia di umanità si è persa. Da vedere e da ricordare. Mai perdere la memoria della propria storia.
Valutazione *** e ½
FabioFeli
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riccardo tavani
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venerdì 25 novembre 2016
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il labirintico ferale scontro tra oblio e memoria
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La memoria e il suo opposto, l’oblio, si combattono, infatti, contendendosi la stessa terra, la medesima patria: quella dei ricordi. La prima vuole conservarli, il secondo cancellarli. È una lotta senza quartiere e senza frontiere. In essa l’oblio si serve di due armi micidiali: la negazione e la rimozione. Negare che qualcosa – nella propria vicenda individuale e collettiva – sia accaduto, o rimuoverlo, occultarlo completamente a sé e al mondo. La memoria deve condurre una battaglia di giustizia davanti al tribunale della verità, interiore, privato o pubblico che sia. L’oblio come negazione e rimozione diventa, infatti, innanzitutto silenzio, menzogna, labirinto dell’ingiustizia.
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La memoria e il suo opposto, l’oblio, si combattono, infatti, contendendosi la stessa terra, la medesima patria: quella dei ricordi. La prima vuole conservarli, il secondo cancellarli. È una lotta senza quartiere e senza frontiere. In essa l’oblio si serve di due armi micidiali: la negazione e la rimozione. Negare che qualcosa – nella propria vicenda individuale e collettiva – sia accaduto, o rimuoverlo, occultarlo completamente a sé e al mondo. La memoria deve condurre una battaglia di giustizia davanti al tribunale della verità, interiore, privato o pubblico che sia. L’oblio come negazione e rimozione diventa, infatti, innanzitutto silenzio, menzogna, labirinto dell’ingiustizia.
È quello che avviene in questo bel film dell’italo-tedesco Giulio Ricciarelli, attore di numerose pellicole, passato ora dietro la macchina da presa. Il regista si muove sulla scorta di fatti e personaggi storici reali, anche se altri sono stati narrativamente, drammaticamente sintetizzati, riscritti.
I nazisti dissero spavaldamente che se anche il mondo avesse saputo dell’esistenza dei campi di sterminio, nessuno avrebbe creduto ai racconti dei sopravvissuti sull’orrore che avveniva al loro interno: tanto assurdo, mostruoso, assoluto era tale orrore. Non erano andati lontani dal vero, riferendosi soprattutto al loro paese, la Germania. Un paese che aveva voltato la testa da un’altra parte, chiuso completamente gli occhi e le orecchie. Aveva fatto finta di non vedere e sentire le vistose tracce e voci sullo sterminio che Hitler, il loro Führer, ossia la loro Guida, stava attuando.
La giovane democrazia, imposta alla Germania dai vincitori, continua a poggiare il suo corso su negazione e rimozione. I giovani alla Radmann ereditano quella forma di cecità, mentre molti, tra gli anziani, restano convinti in cuor loro che il Terzo Reichritornerà in auge, dopo una breve sconfitta e parentesi storica.
Imbattutosi in un minimo frammento della memoria negata e della verità rimossa, il giovane avvocato Radmann si trova immediatamente difronte a tutta la posta del presente e del futuro in gioco: la giustizia come miseria mortale o ricchezza morale di una nazione. Che gli americani e gli altri alleati vittoriosi sella Seconda Guerra Mondiale abbiano celebrato un processo di natura bellica, non gli basta, perché la Germania non ha fatto proprio un accidente di niente per riscattarsi.
Di fronte alla Storia, al passato della sua patria, della propria gente, un ragazzo è sempre come un bambino appena venuto al mondo, o un naufrago che ha appena raggiunto la costa di un continente sconosciuto: deve scoprirlo da capo e per intero. Radmann fa di più: lo mette allo scoperto non solo sulla superficie ma anche nei sotterranei in ombra dell’orrore, fino alle viscere più intime che sono le sue stesse proprie viscere.
“Perché proprio me ha scelto per l’indagine?” domanda il giovane avvocato al Procuratore Generale Fritz Bauer. “Perché lei è nato dopo quei fatti”, è la risposta del vecchio giudice. Walter Benjamin – il noto filosofo ebreo tedesco, costretto al suicidio per sottrarsi alla cattura dei nazisti – avrebbe aggiunto che proprio perché proiettato verso il futuro, quel giovane avrebbe potuto restituire una voce e una possibilità di riscatto a chi – della generazione precedente – si era battuto contro l’orrore di quello sterminio passato alla storia con il nome di Shoah.
Il film è stato scelto per rappresentare la Germania agli Oscar2016.
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vanessa zarastro
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martedì 7 febbraio 2017
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sobrietà forse troppa
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Un film interessante recitato da attori poco noti. La critica ufficiale (Marzia Gandolfi) di MY Movies lo definisce "sobrio". Certo se non si sapessa già cosa fu la Shoah il film non lo si potrebbe comprendere. Quindi grazie al regista non non aver indugiato sulle atrocità del campo di sterminio, dal punto di vista dello spettacolo, ma mischiando così finzione e realtà crea equivoci e confusione. Quanto c'è di provato, soggettivo, individuale nella ricerca della verità in Johan Radmann?
Sembrerebbe che Giulio Ricciarelli, regista ma anche sceneggiatore, non avesse scelto se fare un docufilm o una storia di avvocato/procuratore nei confronti della giustizia su un sottofondo storico.
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Un film interessante recitato da attori poco noti. La critica ufficiale (Marzia Gandolfi) di MY Movies lo definisce "sobrio". Certo se non si sapessa già cosa fu la Shoah il film non lo si potrebbe comprendere. Quindi grazie al regista non non aver indugiato sulle atrocità del campo di sterminio, dal punto di vista dello spettacolo, ma mischiando così finzione e realtà crea equivoci e confusione. Quanto c'è di provato, soggettivo, individuale nella ricerca della verità in Johan Radmann?
Sembrerebbe che Giulio Ricciarelli, regista ma anche sceneggiatore, non avesse scelto se fare un docufilm o una storia di avvocato/procuratore nei confronti della giustizia su un sottofondo storico.
Questo è il limite di un film comunque vedibile che però non ha sufficientemente spiegato la "banalità del male" per dirla con Hannah Arendt.
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diskol88
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domenica 24 gennaio 2016
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dimentica e sarai dimenticato, ricordiamolo.
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Dovremmo però fare una distinzione, ricordiamoci
che il nazismo è un'ideologia, non sono i tedeschi, perchè spesso
parlando della storia facciamo utilizzo degli eventi del
nazismo, però il cittadino vede anche quando vi è difficoltà,
e riconosce chi, per prendere potere si mette col potere
del nazismo, e vediamo nel paese che spesso chi vi
'prometteva' di combatterlo poi nominava
per sè o per i nazisti le stesse persone..., i tedeschi hanno
dimostrato anche se fosse soltanto un manipolo ribelle a
tali brutalità, di mettere al comando anche ufficiali del popolo,
specie dopo grandi casi di malfunzionamento, e non c'è
niente da comprendere, chiaro? frase incomprensibile forse,
ma se il nazismo è incomprensibile, essere democratici è
un dovere, e chissà se sanno anche ciò, quelli che notano tante
cose, come le cose, tante, invertite per poi darvi un senso
quello che sia, non oppure astratto, il costo del
nazismo rilfesso.
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Dovremmo però fare una distinzione, ricordiamoci
che il nazismo è un'ideologia, non sono i tedeschi, perchè spesso
parlando della storia facciamo utilizzo degli eventi del
nazismo, però il cittadino vede anche quando vi è difficoltà,
e riconosce chi, per prendere potere si mette col potere
del nazismo, e vediamo nel paese che spesso chi vi
'prometteva' di combatterlo poi nominava
per sè o per i nazisti le stesse persone..., i tedeschi hanno
dimostrato anche se fosse soltanto un manipolo ribelle a
tali brutalità, di mettere al comando anche ufficiali del popolo,
specie dopo grandi casi di malfunzionamento, e non c'è
niente da comprendere, chiaro? frase incomprensibile forse,
ma se il nazismo è incomprensibile, essere democratici è
un dovere, e chissà se sanno anche ciò, quelli che notano tante
cose, come le cose, tante, invertite per poi darvi un senso
quello che sia, non oppure astratto, il costo del
nazismo rilfesso..., impostato da parte della
società, mondiale e americana, dopo il D Day, e avere
inflitto quel duro colpo da parte dei vertici militari amerciani,
al nazismo, sembra quasi di vederlo roosvelt, con quella voce
fioca, piccolo, nel parlamento o rivolgendosi alla nazione,
rivolgendosi agli americani dire, ci siamo
fatti carico dell'esistenza di tante
persone..., del mondo, pensano di poter non
riordarsene quando gli pare? di andarsene oppure
di attaccare a piacimento loro le torri, dove sembra
avesse anche quel qualcuno usufruito della libertà? quella
di cui non coniscevano il costo?
pensano che non ci sia riconoscenza da parte di
questo popolo, italiano e non, pensano che Nimitz
e i vertici americani militari, fosse un insieme di
sprovveduti? allora perchè hanno vinto... quella
guerra? i secrifici certo, però coi
nazisti se i giapponesi poi s'erano
aggregati all'opera, niente andava per certo,
non si trattava di combattere il vietnam, ricordiamo anche
questo, e ricordiamo anche le bandiere dei
nostri padri, rispolverando la storia, perchè non sono
loro a aver creduto in qualcosa, siamo noi ad aver
creduto alle loro, molte, cose a quell'amore che però
sembra ricordare che per quanto si manipoli, la storia,
non sembra permettere replica, neanche per
loro, se non quella in cui siamo noi. un film solito
del solito nazismo inerente ciò, non comico,
da vedere per chi non sa niente di storia meglio ancora.
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[+] guazzabuglio
(di goldy)
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