andrea polidoro
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venerdì 5 aprile 2013
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manca poco per un grande film
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Nonostante la qualità dello schermo della Sala 3 del Cinema Alhambra a Roma e nonostante non riesca a ricordare il titolo del film devo dire che la storia forte delle favelas, la fotografia poetica, l'affascinante portoghese sottotitolato riescono a sedurre e ammaliare. Un film importante a cui manca qualcosa (un po' di dinanismo in più) per farne un grande film. Da vedere.
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aranciadarte
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venerdì 5 aprile 2013
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a tratti amatoriale, noioso e grossolano
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Barcone sul Rio delle Amazzoni e mistici silenzi di una ragazza che ha la faccia più adatta per la pubblicità di una crema che per una pellicola d'autore. La protagonista ha un bel visetto pulito, ma è praticamente mono espressiva e mono tona. A questo si contrappone la fissità silenziosa delle scene ambientate in Italia, comprendiamo che il silenzio serve per costruire un’aura mistica e spirituale, ma in confronto l’Ora di religione di Bellocchio sembrava un film d’azione. Lo spettatore accanto a me dormiva il sonno dei giusti, mentre io facevo di tutto per cercare di restare sveglia. Ma non è stato facile, e poi, silenzi a parte, nemmeno la storia era delle migliori.
Il film inizia con il supposto “enorme” dolore nel visino monocorde della protagonista, dolore che deve essere raccontato a parole, altrimenti lei sembrerebbe solo una ragazzetta che tiene il broncio alla zia.
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Barcone sul Rio delle Amazzoni e mistici silenzi di una ragazza che ha la faccia più adatta per la pubblicità di una crema che per una pellicola d'autore. La protagonista ha un bel visetto pulito, ma è praticamente mono espressiva e mono tona. A questo si contrappone la fissità silenziosa delle scene ambientate in Italia, comprendiamo che il silenzio serve per costruire un’aura mistica e spirituale, ma in confronto l’Ora di religione di Bellocchio sembrava un film d’azione. Lo spettatore accanto a me dormiva il sonno dei giusti, mentre io facevo di tutto per cercare di restare sveglia. Ma non è stato facile, e poi, silenzi a parte, nemmeno la storia era delle migliori.
Il film inizia con il supposto “enorme” dolore nel visino monocorde della protagonista, dolore che deve essere raccontato a parole, altrimenti lei sembrerebbe solo una ragazzetta che tiene il broncio alla zia. E quale è questo grande dolore del suo passato? Un aborto spontaneo e un marito che la molla perché non può più avere figli. E già qui siamo alle prime pecche di sceneggiatura. Ma perché un giovane uomo nel 2012 dovrebbe lasciare una giovane e bella donna perché non può avere figli??? Siamo forse nel medioevo? E’ lui forse l’erede di una monarchia dinastica? Soprassediamo, e accontentiamoci della spiegazione che i due piccioncini sognavano di esibire una bella famigliola borghese in ambiente di provincia, la cosa non riesce, la coppia salta. Diciamo che la leva del matrimonio, più che l’ amour fou, sia stato il contratto per la produzione di prole legittima e naturale. Visto che la ragazza smaritata, si vergogna a farsi vedere dai vicini di casa, disponendo non si sa come di solide basi economiche che la affrancano da ogni problema di sopravvivenza, decide di andarsi a rifugiare nella foresta amazzonica, ben attenta a non parlare con nessuno e a tenere sempre il visino imbronciato sui maestosi paesaggi di una natura “imponente e violenta”, raccontata con voce fuoricampo.
A questo aggiungiamo la scomparsa prematura di un padre, sul quale lo spettatore nutre forti dubbi di suicidio, vista la noiosità incredibile di moglie e suocera del defunto.
La critica ai missionari che fanno il lavaggio religioso al cervello dei nativi è superata dagli anni 70, casomai adesso la si dovrebbe rivolgere alle ONG, che invece fanno il lavaggio morale. La parte di film che si svolge nella favelas è forse la più interessante, con i suoi accenti sulla comunità, ma non è priva di pecche e di ingenuità come la corsa con i bambini nella favelas allo sbattere dei piatti del papà morto. Oltre che facile e forzata, è una scena super telefonata.
Ma il peggio deve ancora arrivare. Dopo il fallimento del progetto comunitario, e il modo in cui questo avviene, unico elemento narrativo di un qualche interesse, dopo la preghiera della donna indios sul corpo dell’anziana signora morta in ospizio, altro momento da salvare, ecco che si arriva alla celebrazione del banale che aspira a essere poetico: l’approdo della ragazza sulla spiaggia bianca.
Ma che originale espediente creativo, mettere una ragazza sola su una spiaggia bianca che fa il girotondo con un bambino spuntato dal nulla, che poesia! Io e il mio amico, sfiniti dopo tanti silenzi mistici e tante trovate originali, siamo usciti ridacchiando, mentre una parte del pubblico era in lacrime (!) Sì, certo, costruiamo così il nuovo cinema italiano, proponiamo queste grossolanità a un pubblico emotivo e gridiamo al capolavoro.
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alexia62
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venerdì 5 aprile 2013
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assolutamente deludente!
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Pìù che un film sembra un documentario sulle favelas del Brasile e sugli indios dell'Amazzonia.... bellissime fotografie, scenografie....ma come film....lento,noioso....poco emozionante....nessuna sensazione....volevo andarmene al primo tempo!...e poi il finale da Robinson Crusoe...no daiiiiii....
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lulette
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venerdì 5 aprile 2013
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deludente
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Il film assolutamente non decolla ma al contrario riesce a trasmettere solo un'idea di frammentarietà. La protagonista non ha spessore psicologico ed emotivo che sono lasciati invece alla libera interpretazione dello spettatore. Troppo poco per un film che invece, a mio avviso, doveva in primis indagare i meandri interiori e la psiche per comunicare e trasmettere emozioni a chi è in sala. Lo spettatore rimane così un asettico testimone di un susseguirsi di eventi e vicende. Discutibile anche la scelta di affrontare così tanti temi (situazione delle favelas, natura, approccio della Chiesa Cattolica, sviluppo del Brasile etc...) in un solo film: il risultato è che sono tutti trattati in modo superficiale.
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Il film assolutamente non decolla ma al contrario riesce a trasmettere solo un'idea di frammentarietà. La protagonista non ha spessore psicologico ed emotivo che sono lasciati invece alla libera interpretazione dello spettatore. Troppo poco per un film che invece, a mio avviso, doveva in primis indagare i meandri interiori e la psiche per comunicare e trasmettere emozioni a chi è in sala. Lo spettatore rimane così un asettico testimone di un susseguirsi di eventi e vicende. Discutibile anche la scelta di affrontare così tanti temi (situazione delle favelas, natura, approccio della Chiesa Cattolica, sviluppo del Brasile etc...) in un solo film: il risultato è che sono tutti trattati in modo superficiale. Insomma il film non decolla, non coinvolge,e soprattutto non riesce a far provare le emozioni che si prefiggeva di suscitare negli spettatori. Bellissime invece le riprese della natura, unico aspetto degno di nota del film. Di certo Diritti ha fatto di molto meglio
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pepito1948
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mercoledì 3 aprile 2013
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i diritti di diritti
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UN GIORNO DEVI ANDARE
Colpisce la casuale correlazione tra il cognome dell’autore ed il tema di fondo dei film di Giorgio Diritti: la rinunciadi un piccolo allevatore francese al diritto di installarsi in un paesino occitano chiuso e refrattario ai forestieri e lo spregio del diritto di esistere di una comunità emiliana vittima della barbarie nazista.
Nel suo nuovo film, il regista bolognese concentra l’attenzione sulla dura realtà di una comunità nell’Amazzonia brasiliana, nella quale si rifugia Augusta, in fuga dall’Italia e dal mondo civilizzato dopo una drammatica vicenda personale e familiare, alla ricerca di nuove motivazioni per riprendere il filo di una vita in via di frantumazione.
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UN GIORNO DEVI ANDARE
Colpisce la casuale correlazione tra il cognome dell’autore ed il tema di fondo dei film di Giorgio Diritti: la rinunciadi un piccolo allevatore francese al diritto di installarsi in un paesino occitano chiuso e refrattario ai forestieri e lo spregio del diritto di esistere di una comunità emiliana vittima della barbarie nazista.
Nel suo nuovo film, il regista bolognese concentra l’attenzione sulla dura realtà di una comunità nell’Amazzonia brasiliana, nella quale si rifugia Augusta, in fuga dall’Italia e dal mondo civilizzato dopo una drammatica vicenda personale e familiare, alla ricerca di nuove motivazioni per riprendere il filo di una vita in via di frantumazione. La favela in realtà è un villaggio palafitticolo, sospeso sul lerciume del fiume ed a rischio di crolli come la vita di Augusta, in cui la lotta per la sopravvivenza e contro la miseria è sostenuta da un grande spirito di gruppo e senso di solidarietà, accompagnati dalla palpitante vitalità dei bambini. Tra le difficoltà di trovare ogni giorno di che cibarsi, che porta persino alla vendita di bambini, la minacciosità delle mire rapaci di ricchi capitalisti e di imprenditori senza scrupoli, l’ingannevole attraenza della religione come unico rimedio ai triboli quotidiani, si inserisce Augusta, succhiando la linfa vitale che promana dalla comunità e adoperandosi al meglio per dare una fattiva mano ai locali, condividendone ed attenuandone le asperità quotidiane. Ma tutto questo non basta alla “fuggitiva” per superare i propri traumi, e quindi non resta che ritirarsi in un eremo sabbioso in riva al fiume, in attesa di un segno salvifico, che puntualmente verrà.
Ancora una volta l’occhio dell’autore si sofferma sulla violazione sistemica dei diritti dei nativi brasiliani ad una vita dignitosa e libera dalla fame e dalla miseria, che li espone costantemente alle tentazioni delle sirene della civiltà fatta di affari e sfruttamento dei bisogni dei deboli, oltre che dei telepredicatori. Ma alla nobiltà delle intenzioni non corrisponde la qualità del prodotto filmico, che non funziona e non è all’altezza delle precedenti prove. A parte la monoespressività della Trinca, su cui è superfluo soffermarsi, non è certo una novità la storia del fuggiasco borghese che intraprende un viaggio in luoghi lontani fisicamente e culturalmente per ritrovare stimoli interiori, siano essi in India o in Africa o in America latina. Così come l’epilogo, il raggio di luce rivelatore incarnato dalla visione improvvisa di un bambino come portatore di purezza, innocenza e vitalità, non è proprio un esempio di cinema originale ed imprevedibile. La parte “italiana” del racconto, di per sé di scarso interesse, non aggiunge nulla alla vicenda americana, e si perde in rivoli scontati (come la riconciliazione tra madre e figlia tramite il toccarsi delle mani da sempre lontane) senza un minimo di pathos. I dialoghi sono senza spessore e talora ai limiti della banalità (“.. bisognava trapiantargli il cervello…). Ma soprattutto affiora una certa artificiosità nelle inquadrature, comprese quelle naturalistiche (tra cui alcune sicuramente affascinanti), un’insistenza eccessiva nel puntare sull’immobilità espressiva della protagonista, una simbologia un po’ rudimentale (la Trinca ripresa tra tronchi o radici di alberi contorti che sembrano promanare tormento), che non trascinano emotivamente e lasciano un che di irrisolto.
Belle –ed evidentemente sentite- le immagini di povertà della palafitta, dei volti sfatti ma fieri degli abitanti, di qualche panorama suggestivo: non molto rispetto alle aspettative suscitate dagli esordi incoraggianti di un autore che attendiamo ad una prova più convincente.
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filippo catani
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martedì 2 aprile 2013
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una donna e il suo dolore
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Una giovane trentenne italiana decide di trasferirsi in Amazzonia in compagnia di un'amica della madre che fa la missionaria. La ragazza cerca di rimettere in sesto la propria vita sconvolta dall'impossibilità di avere figli che ha causato la fuga del marito. Il rapporto con le popolazioni indigene potrebbe sanare le sue ferite.
Augusta è una donna di 30 anni che ha una madre sconvolta dalla recente scomparsa del marito e comunque non facile all'affetto così pure come la sua nonna malata. In tutto questo quadro alla ragazza non resta che partire ma ben presto decide di seguire una strada sua personalissima in quanto non crede che rapportarsi agli indios con santini e battesimi sia il modo giusto di fare (come facciamo a sapere se Dio è dalla nostra parte si chiede la ragazza).
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Una giovane trentenne italiana decide di trasferirsi in Amazzonia in compagnia di un'amica della madre che fa la missionaria. La ragazza cerca di rimettere in sesto la propria vita sconvolta dall'impossibilità di avere figli che ha causato la fuga del marito. Il rapporto con le popolazioni indigene potrebbe sanare le sue ferite.
Augusta è una donna di 30 anni che ha una madre sconvolta dalla recente scomparsa del marito e comunque non facile all'affetto così pure come la sua nonna malata. In tutto questo quadro alla ragazza non resta che partire ma ben presto decide di seguire una strada sua personalissima in quanto non crede che rapportarsi agli indios con santini e battesimi sia il modo giusto di fare (come facciamo a sapere se Dio è dalla nostra parte si chiede la ragazza). Questo viaggio interiore alla ricerca di un nuovo senso da dare alla propria vita si sposa con un viaggio vero e proprio in Brasile navigando per fiumi e viaggiando con mezzi di fortuna perchè, come si dice nel film, "se vuoi cambiare le cose devi andare dove devono messere cambiate davvero". Ed è terribile il raffronto che ci viene messo sotto gli occhi tra le povere baracche stipate all'inverosimile e sottoposte alle bizze degli agenti atmosferici con i bei grattaceli che si vedono all'orizzonte. Peraltro si cerca anche di fare sgomberare queste baracche (dietro un modesto compenso) per poter fare largo a supermercati o palestre lussuose. Un film profondo che offre più chiavi di lettura e che è allo stesso tempo un viaggio dentro e fuori di noi magistralmente diretto da Diritti che, come nei film precedenti, fa parlare i propri personaggi nella loro lingua madre senza doppiaggio ma con l'ausilio dei sottotitoli per non perderne l'autenticità. Jasmine Trinca è assolutamente sorprendente per la sua bravura nel calarsi in un ruolo difficile e tormentato di una donna alle prese con la sofferenza più grande che ci possa essere per il sesso femminile e che nessuno riuscirà mai a comprendere e consolare fino in fondo e cioè l'infertilità. Tante ora sono le cure, vi è la possibilità di adottare ma nulla sarà mai come dare alla luce un figlio; in questi contesti c'è chi rimane a fianco della propria partner e chi invece letteralmente scompare (infatti il marito non si vede mai nella pellicola). Un film che fa riflettere senza dare risposte preconfezionate ma che lascia allo spettatore all'uscita dalla sala il compito di tirare le somme.
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aldot
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lunedì 1 aprile 2013
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bellissimo
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Bellissima sorpresa il film di Diritti. Le riprese e la musica sono notevoli. I silenzi fantastici. Le immagini ti lasciano con un groppo alla gola.
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fabiofeli
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lunedì 1 aprile 2013
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obrigado (grazie): una splendida orazione funebre
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Un giorno devi andare di Giorgio Diritti
Vediamo una giovane donna, Augusta (Jasmine Trinca, già nel cast di L’uomo che verrà dello stesso regista) assieme a una amica di sua madre, Suor Franca (Pia Engleberth), che è impegnata in Amazzonia in un apostolato missionario di stampo tradizionale, distribuzione di santini compresa. Ad accenni apprendiamo che Augusta sta elaborando una tripla perdita: un figlio in gestazione, la possibilità di averne un altro ed il marito. La giovane non comunica più con sua madre Anna (Anne Alvaro) che risiede in Val di Non con la nonna di Augusta, Antonia (Sonia Gessner), una vera capofamiglia energica e pratica nonostante l’età avanzata.
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Un giorno devi andare di Giorgio Diritti
Vediamo una giovane donna, Augusta (Jasmine Trinca, già nel cast di L’uomo che verrà dello stesso regista) assieme a una amica di sua madre, Suor Franca (Pia Engleberth), che è impegnata in Amazzonia in un apostolato missionario di stampo tradizionale, distribuzione di santini compresa. Ad accenni apprendiamo che Augusta sta elaborando una tripla perdita: un figlio in gestazione, la possibilità di averne un altro ed il marito. La giovane non comunica più con sua madre Anna (Anne Alvaro) che risiede in Val di Non con la nonna di Augusta, Antonia (Sonia Gessner), una vera capofamiglia energica e pratica nonostante l’età avanzata. Nel battello con la suora si naviga con i tempi necessari a cercare e trovare una nuova dimensione, una fede, uno scopo nella vita. Con la necessaria lentezza e circospezione.
Suor Anna dice di sé e della scoperta della propria vocazione: “Un giorno devi andare”. Anche Augusta è già ‘andata via’ una volta, e abbandona anche la compagnia della suora per cercare se stessa. Comincia a ritrovarsi in una favela di Manaus, accolta da una famiglia poverissima, nella quale particolarmente significative sono le donne, Arizete e sua figlia Janaina (Armanda Fonseca Galvao). Sguardi e timidi sorrisi appena accennati dicono di più dello scarno dialogo in lingua portoghese, ancora più dolce nella pronuncia brasiliana. Il valore della solidarietà cementa la comunità della favela ai margini di Manaus: Augusta inizia i primi passi di una nuova vita; sembra sbocciare perfino un amore.
Ma anche le cose belle, costruite in modo sofferto e laborioso, sono destinate a cadere, come una baracca di legno ai margini del fiume, sotto l’implacabilità dell’interesse di pochi individui senza scrupoli dediti al profitto. Ricomincia il viaggio di Augusta in Amazzonia e contemporaneamente Janaina, colpita a sua volta nell’affetto più caro, compie un percorso simmetricamente inverso in direzione della Val di Non, a colmare il vuoto lasciato da Augusta nella vita di Anna e Antonia. E’ solo una breve illusione il sogno di una nuova maternità di Augusta, mentre Janaina, con l’antica saggezza di un popolo ‘selvaggio’, recita una delle più belle orazioni funebri mai pronunciate: Obrigado (grazie) a tutte le parti del corpo, della mente e dei sentimenti umani.
Un piccolo-grande capolavoro da non perdere, con recitazione e fotografia di eccellenza; i ripetuti piani sequenza lenti e meditati aggiungono valore, invece che toglierlo. Giorgio Diritti si conferma definitivamente nel grande Cinema italiano con il suo modo di narrare sincopato, per sottrazioni. Una scena in meno piuttosto che una in più, un’espressione in meno piuttosto che una in più, come faceva il grande Eduardo o come hanno fatto i grandi Registi italiani: echi del Cinema di Pasolini si ravvisano nella descrizione dei disperati della favela, assediati dalla natura distruttiva e dalla città spietata che le incombe vicino, in un destino di ribellione e morte, ma con una risorsa in più: Obrigado!
Valutazione ****
FabioFeli
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flyanto
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lunedì 1 aprile 2013
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una ricerca di sè a cui non sempre si arriva
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Film in cui si racconta di una giovane donna di trent' anni che lascia dopo alcune struggenti vicende personali il proprio paese, l'Italia, per recarsi in Brasile o, più precisamente, presso alcuni villaggi situati nella Foresta Amazzonica, al fine di ritrovare se stessa o, per lo meno, un senso alla propria esistenza ormai completamente svuotata ed annichilita. Il cammino della donna nel corso delle varie vicende si verificherà però lungo ed arduo e non così scontato come potrebbe sembrare. Quest'ultima pellicola di Giorgio Diritti risulta molto suggestiva e non può che non fare riflettere sul tema dell'esistenza e del suo significato in generale, contrapposto anche ad una natura così presente ed immensa, e sul tema soprattutto del dolore e della miseria morale o meno umana con cui la protagonista viene a contatto.
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Film in cui si racconta di una giovane donna di trent' anni che lascia dopo alcune struggenti vicende personali il proprio paese, l'Italia, per recarsi in Brasile o, più precisamente, presso alcuni villaggi situati nella Foresta Amazzonica, al fine di ritrovare se stessa o, per lo meno, un senso alla propria esistenza ormai completamente svuotata ed annichilita. Il cammino della donna nel corso delle varie vicende si verificherà però lungo ed arduo e non così scontato come potrebbe sembrare. Quest'ultima pellicola di Giorgio Diritti risulta molto suggestiva e non può che non fare riflettere sul tema dell'esistenza e del suo significato in generale, contrapposto anche ad una natura così presente ed immensa, e sul tema soprattutto del dolore e della miseria morale o meno umana con cui la protagonista viene a contatto. Una miseria umana, comunque, che, sia pure in forma diversa, la si può incontrare anche nella vita quotidiana delle città del mondo occidentale e non solo in quello lontano delle squallide favelas della città di Manaus. Ma qualsiasi tipo di incontro e scontro con un ambiente ed una società così lontani dalla nostra vita maggiormente più agiata può sicuramente aiutare, sembra voler dire il regista, a farci maggiormente riflettere, ma non sempre trovare una soluzione od una motivazione alla propria esistenza. Ed il finale aperto apportato al film sembra voler proprio sottolineare ed imprimere tutto ciò. Intensa ed efficace la recitazione di Jasmine Trinca nella parte della giovane donna profondamente in crisi.
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minnie
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lunedì 1 aprile 2013
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dolore estetizzato
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Augusta ha un grande dolore, Augusta ama i bambini ma non può averne...sbarca in una favelas dove la gente è tanto buona, tanto accogliente; lei si adatta a tutto, forse perché è stata cresciuta in modo monastico, trova buono un cibo condiviso con altri che non si sa come sia stato preparato, si adatta a fare la cameriera; tutto appare idilliaco pur nelle difficoltà finché non vediamo il cattivo padre che si vende un figlio...addirittura la madre, credendo a tutto, viene portata in Italia a fare la badante, ma per Augusta non è ancora abbastanza, resta su una sponda derelitta, novella Robinson Crusoe ma con spesa che le viene recapitata a domicilio, manco fosse una contessa o una principessa, come in effetti la chiamano.
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Augusta ha un grande dolore, Augusta ama i bambini ma non può averne...sbarca in una favelas dove la gente è tanto buona, tanto accogliente; lei si adatta a tutto, forse perché è stata cresciuta in modo monastico, trova buono un cibo condiviso con altri che non si sa come sia stato preparato, si adatta a fare la cameriera; tutto appare idilliaco pur nelle difficoltà finché non vediamo il cattivo padre che si vende un figlio...addirittura la madre, credendo a tutto, viene portata in Italia a fare la badante, ma per Augusta non è ancora abbastanza, resta su una sponda derelitta, novella Robinson Crusoe ma con spesa che le viene recapitata a domicilio, manco fosse una contessa o una principessa, come in effetti la chiamano...ci si chiede se Augusta non sia uscita fuor di senno. Certo, la protagonista ha un volto dolente, Jasmine Trinca è cresciuta da quando era sbarazzina nei film di Moretti, però non convince fino in fondo, non si vede questo dolore e soprattutto non commuove, perché il regista, mentre allo sconcerto del pastore Thierry partecipava, qui resta piuttosto incantato dai paesaggi, si distrae in modo da fare l'Herzog della situazione...Resta certo lo sguardo desolato, quasi da vecchio, del piccolo che ci guarda, noi spettatori del mondo ancora (non si sa per quanto) benestante, che il giorno dopo viene allontanato dalla sua mamma, una madre allontanata dalla favelas finora buona in realtà crudele come tutto il mondo...La trama logica sarebbe stata che alla fine la madre ritrova in Italia il suo bambino adottato da chissà chi e che gli si riunisce, mentre la povera Augusta la finirà di guardare con invidia i figli degli altri perché i figli sono una faccenda troppo privata, sono dei genitori...Ho grande rispetto per Diritti ma che cosa voleva essere questo film? Un documentario? In effetti sembra un documentario, si analizzano inoltre con freddezza le conseguenze dell'amore, davvero disastrose---In una natura ostile, grande, indifferente, magnifica, come la vita!
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