emanuele 1968
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martedì 11 giugno 2019
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cambiamenti estremi
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Il film e bello, profondo, fa interrogare, un buon drammatico.
Penso che nella vita si possa cambiare senza andare tanto lontano, i cambiamenti fanno paura, sono tante le cose,
difficile però
"un giorno devi andare"
anche cambiare un luogo dove vai spesso,
cambiarlo con uno che non hai mai visto ma volevi vederlo, pizzeria, piscina ecc.
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dario
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venerdì 1 gennaio 2016
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soporifero
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Nessun dubbio sulla buona fede di Diritti e sulla sua capacità di creare atmosfere. ma anche pochi dubbi sulla sua evenascenza, nel senso che Diritti insegue i segni della natura mettendo l'uomo all'angolo. La conseguenza è un discorso umano senza aggettivi, ma anche senza sostantivi, il che non porta ad alcun significato. Tanto valeva fare un documentario.
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anabasi
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venerdì 29 agosto 2014
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fitzcarraldo e lieto fine
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Grande pretesa e poca sostanza. La meglio gioventù ( anzi la gioventù bene) che ha subìto un torto dalla vita ( non può più avere figli) cerca se stessa in una delle zone più inospitali e turpi della terra: l'Amazzonia. La storiella banale cerca una sua collocazione privilegiata nella ambientazione. alcune citazioni molto annacquate da ben altri film: uno per tutti l'angosciante e perfetto: city of god. La Trinca sa di avere un primo piano espressivo ma perennemente orientato ad una angoscia esistenziale ormai decisamente fuori moda.
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lore64
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venerdì 6 giugno 2014
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buona arte al servizio di una paccotiglia ideale
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Non ho reperito una grande carica innovativa nel film di Diritti.
Anzitutto nel tema di fondo della scelta per la vita che cresce e si rinnova, testimoniata dalla scene di apertura e chiusura. Il pregiudizio umanista, quello attinente all’ammirazione e al rispetto verso la vita umana, è fra i peggior lasciti di due millenni di superstizione giudaico-cristiana. L’essere umano è una scimmia assassina e con oltre sette miliardi di esemplari al mondo la sua carne è la mercanzia più economica esistente sul pianeta. Bisogna pensare a come sterminare la zavorra anziché far nascere nuovi esemplari. Altro che poetizzare gl’istinti procreativi delle femmine.
L’altro tema, altrettanto stereotipato, è la contrapposizione fra uomo civilizzato e buon selvaggio, con puntuale reinvenzione d'una superiorità vitale e spirituale del secondo.
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Non ho reperito una grande carica innovativa nel film di Diritti.
Anzitutto nel tema di fondo della scelta per la vita che cresce e si rinnova, testimoniata dalla scene di apertura e chiusura. Il pregiudizio umanista, quello attinente all’ammirazione e al rispetto verso la vita umana, è fra i peggior lasciti di due millenni di superstizione giudaico-cristiana. L’essere umano è una scimmia assassina e con oltre sette miliardi di esemplari al mondo la sua carne è la mercanzia più economica esistente sul pianeta. Bisogna pensare a come sterminare la zavorra anziché far nascere nuovi esemplari. Altro che poetizzare gl’istinti procreativi delle femmine.
L’altro tema, altrettanto stereotipato, è la contrapposizione fra uomo civilizzato e buon selvaggio, con puntuale reinvenzione d'una superiorità vitale e spirituale del secondo. La cosa viene coniugata alla predilezione evangelica verso gli ultimi della terra per dar luogo a un quadro tanto valido dal punto di vista estetico, recitativo e scenografico quanto miserabile sotto il profilo analitico. Il regista stilizza tutto quanto attiene all’Italia in termini di gelo, depressione, chiusura e miseria spirituale, tutto ciò che attiene ai pezzenti brasiliani in termini di riso, rispetto verso il prossimo, slancio vitale e profondo radicamento spirituale.
Ne vien fuori l’unica favela al mondo priva di alcoolismo, spaccio organizzato, prostituzione di tutte le età compresa quella infantile, genitori e fratelli magnaccia, mogli quotidianamente pestate dai mariti, bande armate che controllano la vita della comunità ecc. La favela messa in scena da Diritti ha con quella reale (dove la protagonista sarebbe stata violentata dopo 2 giorni) lo stesso rapporto che l’opera di Rousseau intrattiene cogli indù incontrati dai conquistadores, antropofagi e tagliatori di teste, abituati a torturare e mutilare i prigionieri per settimane per puro divertimento.
Col Sessantotto il tema del buon selvaggio aveva assunto una colorazione politica (dal libretto rosso a Cuba) di cui la storia ha evidenziato tutto il realismo e la concretezza. Nell’epoca del disimpegno la superiore autenticità del buon selvaggio dimette i panni di alfiere del Sol dell’Avvenire per vestire quelli – solo apparentemente più modesti – di antesignano di una profonda spiritualità che si traduce in uno slancio gioioso verso la vita. Con ciò Diritti dimostra fra l’altro di non aver capito nulla della profonda lezione freudiana e nietzscheana, per cui l’infelicità è controparte ineludibile della crescita intellettiva e spirituale dell’animale umano.
“Un giorno devi andare” conchiude degnamente il pastiche di sensibilità chic e mitologemi di regime aperto coi due precedenti esperimenti cinematografici. In “Il vento fa il suo giro” aveva stigmatizzato la diffidenza verso l’Altro in combutta coi correnti pregiudizi eterofili ed antirazzisti, senza avere idea dell’infinita grettezza e chiusura che caratterizzava le comunità di montagna dei secoli passati (e che rappresenta il vero ed autentico senso di radicamento). Ne “L’uomo che verrà” aveva smanettato colla mitologia antinazionalsocialista messa e tenuta in piedi dal conquistatore anglosassone. Adesso arriva il polpettone spiritualeggiante, a metà cristianesimo, UNESCO, miti delle origini e colf filippine o brasiliane importate dai credenti nel dio giudeo.
Una grande tecnica narrativa messa al servizio di questa paccotiglia ideale. In fondo la storia dell’arte è tutta qui.
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mareincrespato70
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giovedì 29 maggio 2014
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la morte che accompagna vita
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Film tanto scomodo e inusuale per la paludata borghese cinematografia italiana, quanto raffinato e spiazzante.
Al suo splendido esordio alla regia, Valeria Golino sceglie di affrontare frontalmente, senza compromessi, la morte pur non mostrandola mai, ma evocandola in ogni gesto e rappresentazione simbolica, persino quella sessuale. Una Jasmine Trinca, ancora una volta in stato di grazia, impersona Miele, dispensatrice di morte salvifica, concetto ostico per il catto-comunista mondo italiano, ma tema di im-mortale attualità, perchè, in fondo, si sa: non c'è vita che, ineluttabilmente, non sia legata concettualmente alla morte, che nella nostra esistenza può, persino, essere “desiderata”.
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Film tanto scomodo e inusuale per la paludata borghese cinematografia italiana, quanto raffinato e spiazzante.
Al suo splendido esordio alla regia, Valeria Golino sceglie di affrontare frontalmente, senza compromessi, la morte pur non mostrandola mai, ma evocandola in ogni gesto e rappresentazione simbolica, persino quella sessuale. Una Jasmine Trinca, ancora una volta in stato di grazia, impersona Miele, dispensatrice di morte salvifica, concetto ostico per il catto-comunista mondo italiano, ma tema di im-mortale attualità, perchè, in fondo, si sa: non c'è vita che, ineluttabilmente, non sia legata concettualmente alla morte, che nella nostra esistenza può, persino, essere “desiderata”.
Una macchina da presa febbrile e compassionevole, ma mai retorica, scruta la febbrile esistenza di Miele, la sua anomia quotidiana, i suoi incontri di passaggio, la sua sessualità tormentata, i suoi desideri repressi sino all'incontro con il prof. Grimaldi, un Carlo Cecchi, che si conferma grande attore, personaggio che svela ancor di più la morte, spogliandola dai suoi tabù, ma anche dalla inutile giustificazione della malattia conclamata: eutanasia è una bella parola di origine greca, ma sempre sotto terra ti porta. Tanto vale, allora, considerare la morte compagna di vita, proprio per vivere meglio possibile, approfittando dei doni della quotidianità, del risveglio e respiro giornaliero che ci prefigura il domani.
Ottimo prova di tutti gli attori, con Libero Di Rienzo, stavolta spalla di Jasmine Trinca. Belle le musiche che accompagnano il film.
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mareincrespato70
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giovedì 22 maggio 2014
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un lungo viaggio dentro se stessi...
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Giorgio Diritti è regista e autore controcorrente, attraversa stili e dimensioni umane anche con il vento in faccia, contrario; o risalendo un fiume, fosse anche il Rio rigoglioso, potente, violento e implacabile della lontana Amazzonia. "Un giorno devi andare" chi di noi, non l'ha pensato, almeno una volta, nella sua esistenza?
Un film illuminante nella sua dolente cronaca di un pezzo di vita di una "spaesata" giovane ragazza italiana che ha smarrito sè stessa, perchè ha perso qualcosa e qualcuno dentro di sè.... A partire da ques'ultimo evento traumatico, "cercherà" (chi? che cosa?) nel lontano Brasile, terra travolgente nelle sua imperfetta insopportabile bellezza, offuscata da tutte le crudeltà di un mondo povero, reso in più miserabile dalla sempre più pervicace globalizzazione attuale: dove anche un Dio si compra, come e più di un bambino indigente.
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Giorgio Diritti è regista e autore controcorrente, attraversa stili e dimensioni umane anche con il vento in faccia, contrario; o risalendo un fiume, fosse anche il Rio rigoglioso, potente, violento e implacabile della lontana Amazzonia. "Un giorno devi andare" chi di noi, non l'ha pensato, almeno una volta, nella sua esistenza?
Un film illuminante nella sua dolente cronaca di un pezzo di vita di una "spaesata" giovane ragazza italiana che ha smarrito sè stessa, perchè ha perso qualcosa e qualcuno dentro di sè.... A partire da ques'ultimo evento traumatico, "cercherà" (chi? che cosa?) nel lontano Brasile, terra travolgente nelle sua imperfetta insopportabile bellezza, offuscata da tutte le crudeltà di un mondo povero, reso in più miserabile dalla sempre più pervicace globalizzazione attuale: dove anche un Dio si compra, come e più di un bambino indigente.
Una straordinaria Jasmine Trinca compie il suo viaggio fisico, ma soprattutto interiore, senza sapere se e dove approderà; si nutre dei sorrisi dei derelitti della favela, gaudenti nonostante le piaghe dell'indigenza (o forse proprio per questo, perchè è l'unica àncora di sopravvivenza, visto che niente migliorerà).
Lo sfondo di una Manaus con i suoi splendidi colori che non ravvivano inaccettabili contrasti sociali; la linfa di una lingua portoghese viva che cerca di animare un'esistenza da ultimi; il percorso di "terra" come scelta di vita, perchè l'acqua sembra portare via anche le illusorie certezze di missionari che non coltivano leciti dubbi. Onore a questo film d'autore, che poco concede allo spettatore, molto alle coscienze di chi vuole sforzarsi di leggere nell'animo umano, complesso come il mondo che viviamo.
Un Brasile indimenticabile (ma anche inaccetabile), per la sua inesplicabile forza vitale, che visita più che farsi visitare, fa da cornice a quest'ultima splendida opera di Giorgio Diritti. Semplicemente stupenda la canzone carioca (canta la "nostra" Cristina Renzetti) Rosa (Pixinguingha) che accompagna, a tratti, il film. A mio parere, una visione che è arricchimento interiore. Da non perdere!
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leolotti
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sabato 17 maggio 2014
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il senso della vita
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Inizio di una vita, poi interrotta, e ritorno alla vita grazie alla gioia di vivere di un bambino. E' questo il filo conduttore di questo bel film che rappresenta in tutta la sua crudezza la ricerca del ritorno alle origini da parte della protagonista dopo l'evento tragico della perdita del figlio. Ritorno alle origini basate su una fede ad un certo punto messa in discussione. Bella la contrapposizione della vivacità ed allegria regnante in un mondo in forte degrado e governato da speculatori senza scrupoli e la monotonia della vita in una realtà governata dal benessere. Commoventi alcune scene e positivo l'alternarsi di situazioni ed ambienti che, a mio parere, servono a rendere lo spettatore soggetto attivo e non passivo.
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Inizio di una vita, poi interrotta, e ritorno alla vita grazie alla gioia di vivere di un bambino. E' questo il filo conduttore di questo bel film che rappresenta in tutta la sua crudezza la ricerca del ritorno alle origini da parte della protagonista dopo l'evento tragico della perdita del figlio. Ritorno alle origini basate su una fede ad un certo punto messa in discussione. Bella la contrapposizione della vivacità ed allegria regnante in un mondo in forte degrado e governato da speculatori senza scrupoli e la monotonia della vita in una realtà governata dal benessere. Commoventi alcune scene e positivo l'alternarsi di situazioni ed ambienti che, a mio parere, servono a rendere lo spettatore soggetto attivo e non passivo. Bello il messaggio lanciato che esalta il valore della comunità.
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pier delmonte
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giovedì 23 gennaio 2014
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insomma
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sara' perche' ho voglia da sempre di schiodare da dove vivo e rintanarmi in manaus o giungla varia, e quindi.. il film l'ho visto con piAcere, ma e' chiaro che il film e' semplice semplice, semplice nella narrazione e semplice nel dirigerlo, insomma piu' di tanto non ti da' e qualche sbadiglio ci scappa, un film che si puo' evitare... non tanto di andarlo a vedere ma di farlo
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rescart
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mercoledì 21 agosto 2013
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meglio una gallina oggi di un uovo domani
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Che cosa succede se una donna di estrazione cattolica “militante”, scopertasi sterile e per questo mollata dal fidanzato, anziché venire rinfrancata, Bibbia alla mano come ci si sarebbe aspettato da una famiglia come la sua, viene arruolata, promossa sul campo missionaria e spedita in Amazzonia? Il presupposto da cui si sviluppa la trama è in fondo simile ai due film precedenti di Diritti, che tratta argomenti differenti ma partendo in realtà dallo stesso presupposto di fondo. Esiste anche un altro collegamento tra questo ed il suo precedente lavoro, L’uomo che verrà. Il figlio come iniziatore di un nuovo corso storico, si spera migliore del precedente. Il figlio come superstite che garantisce la perpetuazione di una ben definita famiglia, o gens come direbbero i latini.
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Che cosa succede se una donna di estrazione cattolica “militante”, scopertasi sterile e per questo mollata dal fidanzato, anziché venire rinfrancata, Bibbia alla mano come ci si sarebbe aspettato da una famiglia come la sua, viene arruolata, promossa sul campo missionaria e spedita in Amazzonia? Il presupposto da cui si sviluppa la trama è in fondo simile ai due film precedenti di Diritti, che tratta argomenti differenti ma partendo in realtà dallo stesso presupposto di fondo. Esiste anche un altro collegamento tra questo ed il suo precedente lavoro, L’uomo che verrà. Il figlio come iniziatore di un nuovo corso storico, si spera migliore del precedente. Il figlio come superstite che garantisce la perpetuazione di una ben definita famiglia, o gens come direbbero i latini. Non sfugge però il contrasto tra i due contesti in cui questo modo di vedere la prole è inserito. Ne L’uomo che verrà siamo al termine di una guerra fratricida nella quale la sola apparente normalità che si riesce a conservare è quella della sopravvivenza dei figli ai padri. In Un giorno devi andare la discendenza carnale diventa un’ossessione assecondata e manipolata ai propri fini da chi l’ha già sostituita con altre ossessioni che si chiamano proselitismo e complesso di superiorità. Queste ossessioni, che hanno molto più a vedere con la difesa di una casta che con l’evangelizzazione, si fanno strada più facilmente in tempo di pace che in tempo di guerra, quando gli uomini sono costretti a guardare solo all’essenziale e non hanno tempo né per evangelizzare né per fare proseliti. Non a caso sono gli Indios a non avere tempo per queste paranoie perché la fame non consente loro nemmeno di aspettare che la gallina faccia l’uovo. Per loro il proverbio occidentale “meglio un uovo oggi di una gallina domani” vale esattamente al contrario. La critica di Diritti alla chiesa cattolica si fa sferzante e tutt'altro che velata se alla fine il massimo di intensità evangelizzatrice che riesce ad esprimere sta nel personaggio della trentenne ragazza sterile, che opta per la condivisione con la marginalità, manda lei una vera missionaria in occidente (la ragazza brasiliana a cui è stato sottratto il figlio) e mostra senza falso ritegno la ferita aperta della sua personale ossessione, sulla quale i famigliari avevano gettato sale come benzina sul fuoco, alle genti da evangelizzare che vivono sul del Rio delle Amazzoni. Anche la chiesa evangelica, con il suo telepredicatore, non ne esce molto bene, con i suoi toni da occidentale stressato in giacca e cravatta con la sua personale ossessione da mostrare senza ritegno. Ma un immagine in tv può innescare un senso di uguaglianza e uno spirito di emulazione che sono sempre meglio del senso di frustrazione che suscita chi non chiederà soldi ma pensa anzitutto a proteggere una casta che si presume superiore sia di coloro che vivono nella foresta amazzonica, sia di quelli che si sono trasferiti nelle favelas, sia di tanti non credenti o diversamente credenti.
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lisa casotti
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venerdì 19 luglio 2013
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a fare un giro a quel paese
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Un giorno devi andare… a fare un giro a quel paese, non necessariamente in Brasile, perché il tema poteva essere sviluppato altrove, senza cercare esilio into the wild, anche se tolta l’Amazzonia si perde il bello del film: la fotografia, “gli interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete [...] ove per poco il cor non si spaura”. Il battello Itinerante (non a caso) che solca il Rio delle Amazzoni e ci si arena, il solco nell’acqua che si dilata e lacera il fiume come un taglio nella tela, la natura rigogliosa ripresa dall’alto e gli alberi maestosi (in particolare quello spezzato a padiglione auricolare) sotto cui meditare in attesa di sentire la Voce, che ti dice dove dovresti andare e che in questo film non si fa sentire.
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Un giorno devi andare… a fare un giro a quel paese, non necessariamente in Brasile, perché il tema poteva essere sviluppato altrove, senza cercare esilio into the wild, anche se tolta l’Amazzonia si perde il bello del film: la fotografia, “gli interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete [...] ove per poco il cor non si spaura”. Il battello Itinerante (non a caso) che solca il Rio delle Amazzoni e ci si arena, il solco nell’acqua che si dilata e lacera il fiume come un taglio nella tela, la natura rigogliosa ripresa dall’alto e gli alberi maestosi (in particolare quello spezzato a padiglione auricolare) sotto cui meditare in attesa di sentire la Voce, che ti dice dove dovresti andare e che in questo film non si fa sentire. E ancora la barca che solca il fiume, il suo procedere lento, la pioggia violenta e l’acqua cheta, la prua che avanza nell’erba, la riva di sabbia bianca, “gli interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi…”.
Incensato dalla critica pensavo di trarne qualche suggerimento per capire – appunto – dove recarmi. Mi è andata male. Che la religione fosse considerata come un palliativo nella ricerca del Senso, già lo sapevo (e lancio un appello ai registi ‘credenti’ perché facciano un film che riavvicini alla fede – qualunque essa sia – perché abbiamo bisogno di vedere qualcuno che crede in qualcosa, invece di imbatterci ogni volta in pretuncoli e suorine che sembrano aver fatto una scelta di comodo e laici disincantati o gabbati); ho ritrovato l’indicazione ‘dirittiana’ che forse il senso sta nel fare Comunità e la saggezza popolare degli uomini buoni (ma non tutti) e semplici (che da evangelizzati diventano ‘curatori’) e delle donne, che sono soprattutto madri-generatrici che amano istintivamente le loro creature e che spiazzano per la loro profondità ancestrale, come nella preghiera di ringraziamento all’anziana morta: ai suo occhi che hanno guardato, alle sue braccia che hanno alzato pesi e alle mani che hanno accarezzato, alle gambe che l’hanno condotta a conoscere nuova gente, ai piedi che hanno sorretto la sua stanchezza, al cuore che ha amato e si è lasciato amare... alla mente e all’anima.
Invece il dramma della donna che non può generare, a parte la meravigliosa dissolvenza iniziale con l’ecografia fetale che si sovrappone alle nuvole che occultano la luna, poteva lasciarlo approfondire a una collega perché in alcuni passaggi mi ha disturbato e l’ho percepito vagamente maschilista. Infine, l’interpretazione della Trinca non mi ha affatto coinvolto, né quando soffre immusonita, né quando ride e si dà da fare per aiutare la comunità, né quando gioca (così sgraziata nei movimenti) né quando vira alla follia cercando la soluzione nella solitudine estrema (tipo Ultima spiaggia dell’Isola dei famosi).
Che poi lo stile del regista sia preciso e personalissimo non ci piove, con immagini potenti come, per citarne una simbolica tra le tante, la casa della favela che rovina nel fiume in piena. Ma diciamo che ho preferito Il vento fa il suo giro e L’uomo che verrà, che almeno non avevano pretese di verità nemmeno nel titolo.
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