ennas
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lunedì 1 aprile 2013
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andare, andare ogni giorno
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Il senso della vita e la ricerca di senso. Con questo film “ Un giorno devi andare” Diritti esplora questo crinale impervio per un regista, forte di altre esperienze originali e potenti come “ il vento fa il suo giro” e “l’uomo che verrà”:
In questo film seguiamo Augusta ( una brava Jasmine Trinca) nel suo viaggio di ricerca dello spirito.
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Il senso della vita e la ricerca di senso. Con questo film “ Un giorno devi andare” Diritti esplora questo crinale impervio per un regista, forte di altre esperienze originali e potenti come “ il vento fa il suo giro” e “l’uomo che verrà”:
In questo film seguiamo Augusta ( una brava Jasmine Trinca) nel suo viaggio di ricerca dello spirito. E’ con Franca, una suora amica della madre: insieme viaggiano sul grande fiume, cuore liquido dell’immensa natura amazzonica. La natura è anch’essa protagonista dei film di Diritti : qui è una natura infinita, rigogliosa e soverchiante. Augusta è segnata da perdite recenti : il padre morto , un bambino non nato, l’incapacità di generarne altri, un amore finito…Ha lasciato a casa una madre e una nonna in affanno, la sua partenza è per loro una sottrazione che può assomigliare ad una perdita.
La ragazza ha seguito suor Franca nella sua missione in Brasile ma il senso della vita altrui non diventa nostro per un atto di volontà. Suor Franca vive una fede robusta e onnipervasiva: gli orizzonti del dubbio e lo scacco della perdita non vi trovano pertugi, ciò che si lascia alle spalle forse le ritorna trasfigurato,alimentandole dentro una forza sovrumana. Suor Franca un giorno ha sentito dentro di sé un ordine perentorio “devi andare” e infatti lei procede impavida e incrollabile. ( ottima l’attrice Pia Englebert che rende splendidamente il piglio serafico e vitalistico della suora).
Augusta non può essere come suor Franca: il tarlo ( o beneficio) del dubbio e dell’incertezza sono alla radice di questo suo viaggio : la sua idea di Dio non riempie di senso la sua vita. Decide di lasciare Franca e gli altri “professionisti dello spirito” alle loro missioni di conversione e proseguendo da sola la propria ricerca si immerge nella favelas di Manaus per vivere insieme ai suoi abitanti il senso vitale della comunità.
Il tema dell’essere comunità è un altro argomento caro al regista che non per questo rende troppo elegiaco: le comunità minacciate non sono solamente calore umano e solidarietà, balli, partite e sorrisi ma sono anche miseria pesante e tangibile, baracche fatiscenti, rifiuti a vista, crudeltà feroci ( si può vendere un bambino per pochi soldi). Il film suggerisce un messaggio che trascende la nuda realtà : il “senso di comunità” deve essere un valore da salvare, troppo spesso perduto o sacrificato su moltissimi vecchi o improvvisati altari.
Il viaggio di Augusta non si fermerà neppure in questa tappa, la solitudine e l’immersione nella natura ne mostrano il proseguire mentre nel frattempo, nel freddo invernale del Trentino, da dove essa è partita, la regia ci regala un’altra splendida metafora del vivere: la giovane Janaina -proveniente dall’ Amazzonia dove Augusta continua la sua ricerca- Janaina novella badante della nonna di Augusta, “ in un asettico ospedale, “officia” un saluto ad un’anziana defunta, benedicendole ad uno ad uno gli organi, un inno alla vita e un rito ancestrale che ha anch’esso un sapore di comunità.
Il finale non può che essere apertissimo: la ricerca di senso non termina mai e il riso di un bambino può simboleggiarne un approdo e una continuità.
Giorgio Diritti con questo film si riconferma un maestro originale : i sui film sono degli affreschi del cinema: “Confesso che ho vissuto” questo titolo del libro di memorie di Neruda si addice anche al suo cinema appassionato e umanissimo: “Un giorno devi andare” , come gli altri suoi film è assolutamente da vedere.
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yarimoncini
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lunedì 1 aprile 2013
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il film che aspettavo
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Film davvero coinvolgente, dove un'ottima sceneggiatura è sostenuta da una fotografia per nulla banale. Molti i momenti che stimolano la riflessione, altrettanti quelli che ti colpiscono in maniera più diretta, vuoi per una rappresentazione della natura che con la sua vastità invade tutta la sala cinematografica e non puoi far altro che sprofondarci senza bisogno della banalità del 3D, vuoi per una preghiera meravigliosa che non ti lascia più.
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(di pasto66)
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chiaradb
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lunedì 1 aprile 2013
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che noia!
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Sono andata spinta dalle recensioni positive di mymovies ma mi sono trovata davanti a un film noioso, poco approfondito, che narra di una sofferenza senza giustificarne l'origine, con una ragazza in fuga che dovresti immaginare in cerca dell'anima ma che di fatto capisci solo che con quella madre dal muso lungo e quella nonna odiosa ha fatto bene ad andare in Brasile! Un film con belle immagini ma che non mi ha regalato nemmeno un'emozione.
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enrico omodeo sale
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domenica 31 marzo 2013
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bisogna avere il coraggio di stroncare questo film
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Sono un grande estimatore di Diritti. Ritengo i primi suoi due film "Il vento fa il suo giro" e "L'uomo che verrà" dei capolavori.
Per cui ero prevenuto positivamente per la visione di "Un giorno devi andare", film che invece mi ha francamente deluso.
La sceneggiatura è scritta bene, le location sono molto belle, lo sguardo sull'Amazzonia è antropologico senza inutili esotismi. La fotografia è coinvolgente nella sua alternanza tra colori caldi (in America Latina) e glaciali (in Trentino). Nonostante ciò il film non funziona.
Anzitutto per la scelta di incentrare tutto sulla protagonista Jasmine Trinca, che funziona solo nelle scene corali nelle palafitte di Manaus.
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Sono un grande estimatore di Diritti. Ritengo i primi suoi due film "Il vento fa il suo giro" e "L'uomo che verrà" dei capolavori.
Per cui ero prevenuto positivamente per la visione di "Un giorno devi andare", film che invece mi ha francamente deluso.
La sceneggiatura è scritta bene, le location sono molto belle, lo sguardo sull'Amazzonia è antropologico senza inutili esotismi. La fotografia è coinvolgente nella sua alternanza tra colori caldi (in America Latina) e glaciali (in Trentino). Nonostante ciò il film non funziona.
Anzitutto per la scelta di incentrare tutto sulla protagonista Jasmine Trinca, che funziona solo nelle scene corali nelle palafitte di Manaus. In tutto il resto della narrazione non riesce a reggere il ruolo di protagonista. Non basta avere un bel viso, degli occhi profondi e condividere gli ideali di un film per far immedesimare lo spettatore. La Trinca non riesce a emozionare, a cominciare dalla prima scena, un lungo primo piano di un pianto fintissimo, che dovrebbe farci iniziare a immergere nel cammino di redenzione della protagonista e che invece appesantisce il film ancor prima dei titoli.
Non funzionano le letture di riflessioni perchè suonano recitate e non sussurrate, non funziona la parte "italiana" del film: perchè farci perdere tempo con la sofferenza della madre e della nonna in Alto Adige? Cosa hanno di particolare? Cosa ci vogliono comunicare? La tristezza e l'immobilismo di un mondo che Augusta non vuole più rivedere perchè vuole "essere terra"? Troppo poco per giustificare un montaggio alternato. La storia deve restare in Amazzonia. E funziona un pò solo all'inizio, con la azzeccata descrizione del "colonialismo religioso" della suora, da cui Augusta, pur apprezzando la sua caparbietà, si stacca per entrare realmente nella comunità, "dimenticare Dio per essere terra", come afferma prima di cominciare la sua avventura in mezzo alla gente delle palafitte.
Una descrizione, quella della comunità periferica minacciata dalla delocalizzazione voluta dal governo, molto credibile, semplice, diretta, anche quando il regista si concede qualche ritratto grottesco o felliniano (la danza nel campo da calcio). La descrizione della donna di frontiera, che si immerge e entra a fare parte di una comunità, senza però mai riuscire (come dimostra la fuga finale) a superare del tutto la condizione sociale di partenza è sicuramente la "tappa" più riuscita del viaggio.
La fuga dunque. Fuga da tutto e da tutti. Da sè stessa. Dal passato. L'arrivo metaforico nella spiaggia bianca dopo aver remato lungo il fiume. Qui dovrebbe arrivare il punto più alto, la descrizione senza dialoghi di un arrivo, un approdo per una ripartenza, o anche un punto di non ritorno. Ma proprio sul più bello, tutto viene rovinato dalla monoespressività della protagonista e dalla discutibile e sicuramente banale scena del gioco con il bambino, per chiudere il cerchio da dove Augusta era partita (la perdita di un bambino, appunto). Una scena davvero brutta, forzata, dove la fine di un cammino arriva in contemporanea con la fine del film, lasciando alla maggior parte degli spettatori che erano in sala un senso di non appagamento. E non so perchè, in quel momento mi è venuto in mente Kinski in "Aguirre furore di dio" che finisce mangiato dai topi. Quello era un finale.
Insomma, un grande maestro del cinema antropologico come Diritti, che ha realizzato degli affreschi incredibili di piccole comunità di villaggio nei primi due film, qui alza troppo il tiro e stecca un film nobile negli intenti, ma troppo debole e disgregato nella messa in scena.
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renato volpone
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venerdì 29 marzo 2013
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là dove essere terra
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La vita ti colpisce duro e ti si aprano di fronte due possibilità: rinchiuderti nel tuo guscio in un doloroso silenzio oppure “un giorno devi andare”, lontano, il più lontano possibile. Due donne, una madre e una figlia, la madre resta, chiusa nella dignità del silenzio e della rinuncia, la figlia parte e va dall’altro capo del mondo, là dove “tutto è così grande, così potente e maestoso, così violento”. Giorgio Diritti ci porta dal gelido inverno della provincia italiana alla calda e umida estate delle favelas di Manaus in Brasile.
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La vita ti colpisce duro e ti si aprano di fronte due possibilità: rinchiuderti nel tuo guscio in un doloroso silenzio oppure “un giorno devi andare”, lontano, il più lontano possibile. Due donne, una madre e una figlia, la madre resta, chiusa nella dignità del silenzio e della rinuncia, la figlia parte e va dall’altro capo del mondo, là dove “tutto è così grande, così potente e maestoso, così violento”. Giorgio Diritti ci porta dal gelido inverno della provincia italiana alla calda e umida estate delle favelas di Manaus in Brasile. Un’altra storia raccontata con la stessa delicata fermezza a cui ci aveva abituati con “l’uomo che verrà” e “il vento fa il suo giro”. Un grande regista e un grande film. Immagini spettacolari che fanno nascere il desiderio di esserci, nell’una e nell’altra parte, il desiderio di partecipare alla vita degli indios e alla preghiera e al disegno. Augusta, la figlia, arriva nelle terre di missione dove uomini e donne di fede si donano per aiutare un popolo povero e vessato, ma Augusta non capisce e chiede alla suora “cosa ti dice che Dio è al nostro fianco”. La suora più tardi dirà: “quello che hai detto mi ha fatto pensare molto”. E anche lo spettatore poi ha molto da pensare, qualche piccolo rimorso per il “non esserci”. Là vive una religione e un messaggio che sono lontani dalle Cattedrali, più vicini alla gente, dove vive il compromesso tra sopravvivenza e teologia, dove si insegna ad usare il preservativo. Augusta ha una fede molto piccola e incerta, ora “deve essere terra” e dimenticarsi di Dio, perché lì non c’è, non si sente, non dice niente. Lì si vedono i bambini, quei bambini che vengono dal mare, che sanno sorridere, che sanno fare festa, che sono la festa, ma lì si vendono anche i bambini, per pochi soldi. Lì si spezzano i cuori delle madri e il mondo è indifferente, vuole crescere, cambiare esplodere e non conta chi paga. Augusta si rifugia al confine del mondo, dove nulla esiste più se non una mano innocente e amica che deposita un po’ di cibo di fronte alla sua capanna. Dall’altra parte la vecchiaia, un mondo antico e freddo che si antepone alla grandezza dell’essere. Il piccolo convento dove le donne si raccolgono in una unione pacifica di preghiera, dove la gente fuori è fredda e distaccata. Arriva la ragazza indios a fare la badante dalla nonna di Augusta. In ospedale vede morire la compagna di letto della nonna e recita una preghiera meravigliosa, il grazie al corpo: grazie alle gambe che ti hanno portato, grazie ai piedi che ti hanno sorretto, grazie alle mani che hanno costruito, grazie al cuore e all’anima che ti hanno permesso di amare. Due mondi contrapposti e ciascuno può scegliere da che parte stare, una scelta non facile, come non facile è fare i conti con la propria coscienza. Un film che ti rimane impresso e che non si farà dimenticare, come la scena dei bambini che fotografano la casa che cade nell’acqua, quella casa, quelle case costruite sul niente, ma dove palpita il cuore della gente vera.
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[+] bene,
(di eusebio abbondanza )
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a. di iorio
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venerdì 29 marzo 2013
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fuori dal comune
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Un film italiano fuori dalle solite storie chiuse e senza respiro, un film che insegnerebbe tanto alle "persone dell'altro mondo" - cioè quelle che sono fuori dalla realtà e non vogliono capirla -, un film che ci pone delle domande, un film che che ci mostra altri mondi (meno comodi) e ci aiuta a vivere meglio, come il cinema sempre dovrebbe fare.
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soile
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giovedì 28 marzo 2013
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l'uomo si realizza nelle relazioni.
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Il film è buono e ha l'ampio respiro religioso-naturalistico che, a mio parere, contraddistingue la filmografia di Giorgio Diritti.
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