
I sogni di Walter Mitty tra realtà e finzione.
di Roy Menarini
Il cinema è un mezzo curioso. Per esempio, pur stracolmo di sogni, non si è mai rivelato un mezzo particolarmente adatto a rappresentare direttamente l'attività onirica. Altra faccenda, invece, l'onirismo diffuso, che ha reso grande il linguaggio cinematografico, dal noir a Fellini, da Lynch a Sorrentino.
E il sogno a occhi aperti? Difficile anche quello. Non sarà un caso che Sogni proibiti con Danny Kaye, un film che un tempo faceva la felicità dei bambini nei palinsesti televisivi delle festività, abbia meritato solo oggi un remake (e non del tutto, visto che si tratta più esattamente di una nuova trasposizione del racconto di James Thurber), e che i Sogni mostruosamente proibiti con Villaggio enfatizzassero l'assurdo fantasticare di una maschera grottesca.
Il tentativo di Ben Stiller dunque va considerato lodevole, così come pochi possono negare la raffinatezza - comprovata dalla sua filmografia precedente - dell'operazione. Ma cosa può dirci oggi un Walter Mitty? Forse più che un semplice inno alla fantasticheria. Prendendo spunto dalle reali vicende della rivista Life, intorno alla quale si svolge la narrazione fatta di personaggi immaginari, Stiller utilizza il tramonto del luogo sacro del fotogiornalismo come rivelatore di un passaggio storico. Il timore che serpeggia tra le righe del racconto è che la digitalizzazione forzata degli archivi fotografici, più che una conseguenza puramente tecnica della contemporaneità e del progresso tecnologico, rischi di trasformarsi in una cancellazione del passato e di disperdere un patrimonio umano.
Il tema, dunque, più che una banale difesa dell'analogico rispetto all'informatico, sembra essere l'avventura, non tanto come genere, quanto come forma culturale. E se è vero che la grande avventura letteraria era già stata messa in crisi dal turismo di massa, proprio il cinema - lungo tutto il Novecento - è stato chiamato a raccogliere l'eredità dei tanti Joseph Conrad e Robert Louis Stevenson. Ora ci troviamo di fronte a un nuovo passaggio epocale, e l'avventura sembra ormai relegata ai mondi virtuali del fantasy digitale.
Ecco perché l'idea di attraversare il mondo per salvare un singolo scatto (e magari scoprire che il grande fotografo rinuncia alla migliore fotografia in cambio di un momento di pura vertigine emotiva) diventa - questo sì - inno romantico alla riconquista dell'esperienza.
Il momento finale, da non svelare - e molto toccante - fa sì che I sogni segreti di Walter Mitty diventi l'Hugo Cabret di Ben Stiller. Fatte le dovute proporzioni, anche Stiller non rinuncia a un film pieno di tecniche digitali per omaggiare con rispetto e passione un universo che se ne sta andando, lasciando tracce (foto)sensibili dietro di sé.