maria f.
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domenica 19 gennaio 2014
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evviva i buoni film!
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Film azzeccatissimo. Garrone ha indovinato tutto: dagli attori, ai colori, ai dialoghi, è riuscito a disegnare con puntualità una fetta cospicua che popola la nostra società. Ha scelto di ambientare la storia a Napoli ma è una realtà che può appartenere a tutto lo stivale, i personaggi descritti possono far parte del ceto povero o ricco ma ciò che accomuna tutti è il basso livello culturale, condizione che li rende fragili e influenzabili e anche per questo si nutrono di programmi televisivi scadenti come il Grande Fratello. Apparire, il desiderio di avere visibilità partecipando al provino del G. F:, coinvolge Luciano Ciotola, famiglia e quartiere.
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Film azzeccatissimo. Garrone ha indovinato tutto: dagli attori, ai colori, ai dialoghi, è riuscito a disegnare con puntualità una fetta cospicua che popola la nostra società. Ha scelto di ambientare la storia a Napoli ma è una realtà che può appartenere a tutto lo stivale, i personaggi descritti possono far parte del ceto povero o ricco ma ciò che accomuna tutti è il basso livello culturale, condizione che li rende fragili e influenzabili e anche per questo si nutrono di programmi televisivi scadenti come il Grande Fratello. Apparire, il desiderio di avere visibilità partecipando al provino del G. F:, coinvolge Luciano Ciotola, famiglia e quartiere. Tutti lo incoraggiano, lo spingono, lo pompano, lo rassicurano che sarà lui uno dei prescelti, e questo delirio di consensi lo lusinga, lo culla nel sogno di potere cambiare così la propria vita, economicamente ma soprattutto vivere in un mondo dove tutto è facile e dove non c’è bisogno di faticare ma il solo fatto di esistere ti dà soldi, popolarità, reputazione. La sua vita di affetti, di lavoro si ferma, tutto il suo essere si concentra in quell’attesissima telefonata di convocazione, comincia il suo distacco dalla realtà, si convince che lo staff del G.F. prima di dargli completa fiducia ha bisogno di controllare la sua vita, il suo modo di essere e di rapportarsi con i suoi simili, quindi, certo di essere spiato, e per dare un’ottima opinione di sé, regala ai poveri spogliandosi di tutto ciò che ha per apparire generoso e quindi degno e meritevole di essere selezionato e accolto. Apparire è questa la parola “chiave”, il ritornello che accompagna il protagonista, le leit- motive dell’opera. La risata finale prolungata e amplificata con cui si conclude il film appartiene a Luciano che nella sua esaltazione crede di essere entrato a far parte della casa, oppure è la firma del G.F. che con grande sadismo si beffa di lui e di quelli ingenui e sprovveduti come lui? Per tutto il team una grande lode, Nando Paone in testa. maria f.
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zummone
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mercoledì 29 maggio 2013
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il grottesco non basta, delusione!
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E Matteo Garrone fece un passo falso. Può capitare a tutti, soprattutto dopo il successo, anche internazionale, di un film come "Gomorra", quattro anni fa. Con "Reality" Garrone pecca di presunzione, pur mantenendo lo sguardo attento alle vicende umane più anomale.
La storia del film ruota intorno al suo protagonista Luciano (Aniello Arena), pescivendolo napoletano, animale da palcoscenico per la famiglia e gli amici, grazie alla sua simpatia.
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E Matteo Garrone fece un passo falso. Può capitare a tutti, soprattutto dopo il successo, anche internazionale, di un film come "Gomorra", quattro anni fa. Con "Reality" Garrone pecca di presunzione, pur mantenendo lo sguardo attento alle vicende umane più anomale.
La storia del film ruota intorno al suo protagonista Luciano (Aniello Arena), pescivendolo napoletano, animale da palcoscenico per la famiglia e gli amici, grazie alla sua simpatia. Un giorno, anche per far contenti i figli, fa un provino per il "Grande Fratello" e intravede la possibilità di partecipare al famoso reality show, per riscattare una vita non propriamente agiata, anzi fatta anche di piccole truffe. Il desiderio sempre più irrazionale di partecipare al programma, porterà Luciano a diventare quasi paranoico, facendo allontanare i suoi cari, facendolo decidere di vendere la pescheria, sentendosi continuamente spiato. Una vera e propriaossessione, che non si riparerà mai del tutto, fino alla conclusione della storia, sospesa e onirica.
Garrone sceglie un taglio personale e toccando la corda del grottesco, calando la storia e i suoi personaggi, nel contesto napoletano a lui congeniale. Tuttavia dilata il film fin troppo, sbrodola, diventa quasi ossessivo come il suo protagonista. Una compagnia di interpreti molto naturali, guidati dall'ottimo Arena (attore anomalo, in quanto detenuto a Volterra, con una condanna all'ergastolo), ma è la sceneggiatura che non convince. Quasi che Garrone, a voler far satira a tutti i costi, abbia rappresentato un mondo della tv e dello spettacolo, per come il clichè più degradante, magari anche estero, lo vede. Ma non si capisce più se era voluto, o gli è semplicemente sfuggita la mano. Chissà i francesi che ci hanno visto, per premiarlo a Cannes, con il Gran Premio della Giuria?
Un incidente di percorso, insomma... ma si sa: non bastano le migliori intenzioni, per evitare la strada dell'inferno.
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stefano bruzzone
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giovedì 3 ottobre 2013
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indefinibile
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sulla scia di Gomorra, Garrone gira un altro spaccato di vita napoletana raccontandoci la storia di un pescivendolo che per arrotondare compie piccole truffe. un giorno i figli lo convincono a fare un provino per il grande fratello e da quel giorno la sua vita sarà sconvolta sino alla pazzia. regia, dialoghi, fotografia e location sono da "già visto" in Gomorra. anche questo continuo ricorrere ai sottotitoli per comprendere lo stretto dialetto napoletano è roba già vista e alla lunga stufa. diciamo che passi per questi 2 film ma il prossimo, caro garrone, cambia genere. di contro bisogna riconoscere che garrone è bravo e gira bene e le location sono sempre suggestive ma, mentre gomorra aveva un'identità precisa e definita, qui il film risulta di difficile collocazione.
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sulla scia di Gomorra, Garrone gira un altro spaccato di vita napoletana raccontandoci la storia di un pescivendolo che per arrotondare compie piccole truffe. un giorno i figli lo convincono a fare un provino per il grande fratello e da quel giorno la sua vita sarà sconvolta sino alla pazzia. regia, dialoghi, fotografia e location sono da "già visto" in Gomorra. anche questo continuo ricorrere ai sottotitoli per comprendere lo stretto dialetto napoletano è roba già vista e alla lunga stufa. diciamo che passi per questi 2 film ma il prossimo, caro garrone, cambia genere. di contro bisogna riconoscere che garrone è bravo e gira bene e le location sono sempre suggestive ma, mentre gomorra aveva un'identità precisa e definita, qui il film risulta di difficile collocazione. non è un drammatico e non si ride come si dovrebbe in una commedia. forse è un pezzo di teatro alla de filippo più adatto al palcoscenico che al grande schermo.
Voto: 6
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babagi
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lunedì 1 ottobre 2012
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un piccolo fratello e la sua tragedia
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Il lungo piano sequenza che apre il film ci accompagna nella discesa in un mondo ricoperto di pailette, stucchi e oro. Non appena la carrozza si ferma davanti all’entrata della villa, seguiamo gli sposi nel loro trionfante percorso scaramantico. Tra la folla in festa c’è il nostro uomo. Luciano, un esuberante pescivendolo che vive nella periferia di Napoli insieme a sua moglie e ai suoi due figli. E’ un uomo semplice, un uomo puro che piano piano non si può che guardare con gli occhi dell’amore, dell’amore per un personaggio che rimane avulso da critiche perché profondamente Vero. Travestito tra travestiti non dichiarati dimostra tutta la sua genuinità proprio quando a festa finita, tolti vestiti sgargianti e ciglia finte, rimane la realtà della vita quotidiana.
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Il lungo piano sequenza che apre il film ci accompagna nella discesa in un mondo ricoperto di pailette, stucchi e oro. Non appena la carrozza si ferma davanti all’entrata della villa, seguiamo gli sposi nel loro trionfante percorso scaramantico. Tra la folla in festa c’è il nostro uomo. Luciano, un esuberante pescivendolo che vive nella periferia di Napoli insieme a sua moglie e ai suoi due figli. E’ un uomo semplice, un uomo puro che piano piano non si può che guardare con gli occhi dell’amore, dell’amore per un personaggio che rimane avulso da critiche perché profondamente Vero. Travestito tra travestiti non dichiarati dimostra tutta la sua genuinità proprio quando a festa finita, tolti vestiti sgargianti e ciglia finte, rimane la realtà della vita quotidiana. Ma a irrompere nella sua quotidianità ci penserà il grande fratello. A fare il primo provino per entrare nella famosa ci finisce quasi per caso spinto dalla famiglia, ma una volta fatto entrerà in un vortice senza scampo. Celebrato da tutto il paese come il prossimo eroe nazionale, Luciano aspetta la chiamata che potrebbe cambiargli la vita, inconsapevole che alla fine sarà la non-chiamata a farlo, ma non nel modo in cui lui tanto sperava. La tragedia si consuma tutta nell’attesa di quel Godot che non arriverà mai e che lo porterà a “perdere la capa”. E allora come tutti i folli rimane solo con se stesso e con la sua ossessione a vivere situazioni fuori dalla realtà, e confinato nel suo mondo, non può che riderci su.“Non abbandonate mai i vostri sogni!” recita il film più volte attraverso le parole di personaggi “che ce l’hanno fatta” e Luciano fino alla fine non ha mai abbandonato il suo sogno ma neanche l’incubo.
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gabriele.vertullo
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mercoledì 3 ottobre 2012
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parabola di ossessioni e illusioni
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Reality è un film che fa riflettere e che deve essere considerato a trecentosessanta gradi. Spunti di osservazione nascono già dal titolo polisemantico: se quel Reality voglia semplicemente indicare il famoso show televisivo del Grande Fratello, o se voglia focalizzare l’attenzione dello spettatore sulla rappresentazione della realtà; probabilmente entrambe e nessuna delle due cose.
La storia si apre con un’ ampia ripresa geografica del paesaggio napoletano (sullo schema descrittivo dei Promessi Sposi manzoniani),centralizzandosi gradualmente su una carrozza nuziale destinata a un fastoso e barocchissimo sposalizio. Qui abbiamo il primo incontro con Luciano, pescivendolo simpatico e familiare, e il suo iniziale contatto con il mondo del Grande Fratello a causa dell’incontro con Enzo, VIP della precedente edizione.
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Reality è un film che fa riflettere e che deve essere considerato a trecentosessanta gradi. Spunti di osservazione nascono già dal titolo polisemantico: se quel Reality voglia semplicemente indicare il famoso show televisivo del Grande Fratello, o se voglia focalizzare l’attenzione dello spettatore sulla rappresentazione della realtà; probabilmente entrambe e nessuna delle due cose.
La storia si apre con un’ ampia ripresa geografica del paesaggio napoletano (sullo schema descrittivo dei Promessi Sposi manzoniani),centralizzandosi gradualmente su una carrozza nuziale destinata a un fastoso e barocchissimo sposalizio. Qui abbiamo il primo incontro con Luciano, pescivendolo simpatico e familiare, e il suo iniziale contatto con il mondo del Grande Fratello a causa dell’incontro con Enzo, VIP della precedente edizione. Ma con il tramonto del matrimonio pacchiano e carnevalesco si smaschera un quartiere umile e diroccato, e lo stesso Luciano per incrementare il proprio stipendio traffica con la vendita illegale di robot da cucina. Allora ecco che l’opportunità di una fama rapida e una ricchezza oziosa spinge Luciano a presentarsi ai provini del reality, stimolato dalla famiglia; ignari che sarà l’inizio di una parabola ammantata di ossessione e aberrazione.
Vacillando tra l’eventualità dell’ingresso, e una chiamata che stenta ad arrivare, la mente di Luciano incomincia ad avvelenarsi: con uno sguardo surreale e straniante ogni inezia filtrata attraverso i suoi occhi appare una calamità, così che una crescente paranoia sfocia nella follia, spingendo il pescivendolo ad abnegare la sua identità e integrità pur di ottenere il pass per la Casa tanto bramata.
Notevole è l’apparato musicale firmato nientedimeno che da Alexandre Desplat. Con tonalità e melodie da genere fiabesco, che apparentemente si addicono più a un “Paese delle meraviglie”, la colonna sonora si dimostra strumento efficiente e rarefatto nel caratterizzare l’oggetto dei desideri e degli “incubi” di Luciano; così che risulta efficace e pertinente la rappresentazione della casa del Grande Fratello come il magico luogo dei sogni.
Matteo Garrone, regista romano, sembra riconfermare una profonda e artistica affezione per la città di Napoli: degno di attenzione (sia da parte del regista che dello spettatore) non è solo il protagonista Luciano, ma tutta un’ identità sociale e popolare, contraddistinta da una marcata ideologia. Essenzialmente, come il precedente Gomorra, anche Reality vuole essere un film critico, una sottile e persistente denuncia del successo facile: male culturale e collettivo.
Una recente dimostrazione cinematografica della fama fatua e fugace ci è stata data da Roberto Benigni nell’ultimo film di Woody Allen,” To Rome with Love”; ma il Luciano di Garrone si presenta in uno stadio incipiente e contingente del successo: così se la satira di Allen si mostra arguta e pungente, quella di Garrone è sensibile e amara, decisamente più pessimistica.
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pepito1948
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martedì 2 ottobre 2012
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gf= grande flop
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"Ho sempre pensato a Luciano…come ad un moderno Pinocchio, un personaggio con un’innocenza ed un candore infantili”. E forse, diciamolo, anche un tantino di cialtroneria. La citazione è di Garrone che cambia registro ed insegue le orme di Luciano-Pinocchio che, convinto da un Lucignolo rappresentato da un’orda sgangherata di parenti ed amici, si lascia spingere, dopo un falso provino, verso un Paese dei Balocchi dove tutto è apparentemente rutilante, catalizzante, abbacinante di esaltante successo e pervaso dal tintinnio di monete d’oro; non solo nella Reggia dei sogni, ma anche nelle sue propaggini spontanee (come nella festa in onore dell’ex eroe tornato dalla fatidica impresa pieno di gloria).
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"Ho sempre pensato a Luciano…come ad un moderno Pinocchio, un personaggio con un’innocenza ed un candore infantili”. E forse, diciamolo, anche un tantino di cialtroneria. La citazione è di Garrone che cambia registro ed insegue le orme di Luciano-Pinocchio che, convinto da un Lucignolo rappresentato da un’orda sgangherata di parenti ed amici, si lascia spingere, dopo un falso provino, verso un Paese dei Balocchi dove tutto è apparentemente rutilante, catalizzante, abbacinante di esaltante successo e pervaso dal tintinnio di monete d’oro; non solo nella Reggia dei sogni, ma anche nelle sue propaggini spontanee (come nella festa in onore dell’ex eroe tornato dalla fatidica impresa pieno di gloria). Carrozze principesche e grilli osservanti fanno parte del contesto della GF (Grande Favola). Pinocchio, nonostante gli ammonimenti di una fatina che non ha poteri magici se non quello, molto meno efficace, del buon senso, si disfa dei suoi averi e della sua piccola realtà di pescivendolo e le sue pupille costantemente dilatate non vedono altro che immagini di ciò che non sarà mai, sprofonda nel GF (il Grande Fantainganno) al punto da “diventare” il suo sogno etero-indotto dai GF (Grandi Farabutti) e da allontanarsi dalla realtà vera, sbiadita, senza tintinnii e senza carrozze, trasformandosi in un’entità artificiale come i robottini che compra e vende truffaldinamente tramite le vecchiette di zona (finchè non compare la GF, cioè la Guardia di Finanza). E la mente si distacca dal corpo e dalla vita reale, come il senno di Orlando fuggito sulla Luna. Preannunciato ed evidente l’apologo sul Grande Fratello quale capostipite di prodotti infingardi e dopanti della peggiore televisione, consapevole che il suo canto delle sirene continuerà ad attrarre fatalmente i tanti disperati o illusi che non sanno sognare ad occhi chiusi. Garrone, debordando dal suo stile asciutto e diretto, realistico e incisivo, ha mischiato vari generi con l’intento non di condannare ma di denunciare attraverso la commedia, la farsa, la favola, il surreale ed il realismo popolare un fenomeno social/mediatico che, seppure in fase calante, non cessa di sfornare pochezza e stupidità, generando nel contempo pericolose illusioni che alla prova dei fatti possono portare alla perdita del senso della realtà. Realtà vista dalla parte dei vinti, dei perdenti e non dei vincitori, dei venditori di sogni da rigattiere che gettano ami e reti con miserabili esche fatte di visibilità, facili guadagni, miraggi di successo e gloria. Garrone è riuscito nell’intento? No, perché non bastano il macchiettismo (che pesca nel solito folklore napoletano), l’occhiolino a Fellini senza averne la sublime creatività, il contrasto tra esplosione cromatica dei trionfi fiabeschi e l’ombrosità della montante follia per trasmettere al di là dei tanti bozzetti il degrado sociale prodotto dal più periglioso dei poteri occulti. Si sorride ma non si avverte il dramma che fa da sfondo alla vicenda, come avveniva nelle commedie agrodolci dei grandi registi come Loy, Scola, Monicelli ed altri. Nel minestrone dei generi prescelto manca un legante, che è il grottesco, capace di incidere a fondo sulla realtà della sofferenza e della povertà (anche di idee, di ideali nobili) con l’arma della ridicolizzazione, dell’ironia, della provocazione. Così come manca –per istintiva associazione- ciò di cui è intriso il Truman shaw, cioè la poesia, elemento spesso connesso alle fiabe ed ai sogni; ma forse è irriverente il paragone con un’opera di tutt’altra levatura artistica. Comunque apprezzabile la scelta del protagonista Aniello Arena–un detenuto ergastolano con una certa esperienza teatrale alle spalle- e la rappresentazione di una Napoli fosca, paesana ed un po’anonima ma sempre pulsante di vita. E di sogni.
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moulinsky
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martedì 2 ottobre 2012
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siamo tutti coinvolti
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Ci aveva quasi convinto Garrone d'essere precipitato dentro questa storia così quasi per caso, rivoltando la macchina da presa dalle nuvole che stava osservando, distratto, in attesa di chissà quale drammatica ispirazione, fino a intravvedere una carrozza e poi due sposi e poi gli invitati e poi uno in particolare, come un qualunque "regista di matrimoni" che pensa di avere talento. Ci aveva quasi convinto d'essere anche noi dietro quella macchina da presa, troppo coatti e cafoni i protagonisti perché anche solo per un momento potesse scapparci di pensare d'essere noi i soggetti da riprendere, non quelli seduti al buio che osservano e giudicano e sghignazzano e prendono le distanze. E così rassicurati di non c'entrarci per nulla assistere alle avventure disavventure di un mentecatto che rapito da un sogno folle distrugge la sua vita, la sua famiglia, il posticino che gli spetta, cara grazia, nel mondo reale.
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Ci aveva quasi convinto Garrone d'essere precipitato dentro questa storia così quasi per caso, rivoltando la macchina da presa dalle nuvole che stava osservando, distratto, in attesa di chissà quale drammatica ispirazione, fino a intravvedere una carrozza e poi due sposi e poi gli invitati e poi uno in particolare, come un qualunque "regista di matrimoni" che pensa di avere talento. Ci aveva quasi convinto d'essere anche noi dietro quella macchina da presa, troppo coatti e cafoni i protagonisti perché anche solo per un momento potesse scapparci di pensare d'essere noi i soggetti da riprendere, non quelli seduti al buio che osservano e giudicano e sghignazzano e prendono le distanze. E così rassicurati di non c'entrarci per nulla assistere alle avventure disavventure di un mentecatto che rapito da un sogno folle distrugge la sua vita, la sua famiglia, il posticino che gli spetta, cara grazia, nel mondo reale. Ciotola, si chiama lo "strunzo", e già nel nome c'è il destino di chi è costretto in questo mondo a mendicare se solo prova a scostarsi di un pixel dal quadratino illuminato male che gli è stato concesso e che pure difende, lavorando onestamente pare e al contempo architettando risibili truffe, non per mantenere la famiglia che sono tutti assai pasciuti ma per elevarsi socialmente secondo le istruzioni d'uso che di questo nostro mondo danno altri, quelli che comandano, quelli che siedono in poltrona e decidono chi e che cosa e ridono davvero: andare un pomeriggio all'aquafan, cose così, riempire d'altri oggetti ancora il suo appartamento mentre intorno il palazzo è fatiscente e per arrivare a sedersi finalmente davanti al tivù c'è bisogno di salire a piedi le scale di un antro che pare infernale. Perciò un provino sostenuto per compiacere 'a creatura trasforma lui, il Ciotola, in una creatura abbietta, divorato da sogni più pericolosi del semplice desiderio del denaro che avvelena gli altri membri della famiglia: il sogno della fama, il sogno di elevarsi e spinti dal successo volare al di sopra degli altri, dei miserabili che non hanno neanche la fortuna d'essere quel tipo di personaggio che la tv impone ammaestra reclama. E' che nella sua follia avrebbe ragione il Ciotola a non arrendersi mai, non sapendo che resistere non serve a niente se le regole sono già stabilite, anche trascorso il ragionevole tempo di un'attesa. Cos'ha di meno dell'ex concorrente che pare vivere in una favola, tra masse stordite e adoranti che aspirerebbero persino essere lui, cioè il niente, quello che già loro sono e non sanno? Qual è la differenza se ci si comporta cristianamente solo perché sotto l'occhio di Dio? Cos'ha soprattutto Ciotola in meno dell'attore che lo rappresenta, sottratto addirittura al buio delle patrie galere e illuminato dalla luce della grazia cinematografica? Forse il talento, vorremmo rispondere. Ma perché davvero necessita il talento, radiocomandati alla tv come nel cinema come nel mondo reale al quale ogni reality spergiura d'ispirarsi e che invece la realtà avvelena? E il talento è allora qualcosa che si possiede per dono divino o piuttosto si coltiva con lo studio, con la pazienza, con la tenacia, con il tempo, con il supporto di buoni maestri e di giudici imparziali, nella ricerca e nella rinuncia, sì anche volontaria non solo obbligata, alla vita? Altrimenti se è come pare soltanto questione di culo, di averlo o di darlo, è giusto che ognuno continui a sognare il suo incubo, mentre filma matrimoni credendosi un dio.
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no_data
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martedì 2 ottobre 2012
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alterazione della realtà
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indubbiamente è un film fatto bene, solo che io l'ho trovato molto pesante e faticoso da seguire per tutta la durata. Una cosa che appesantisce i film di Garrone è proprio l'uso rindondante, eccessivo del dialetto che oltre a dover ricorrere in alcune scene ai sottotitoli (!!!! per un film italiano trasmesso in italia !!!!) rende la visione più difficoltosa (ad esempio io sono uscito con un forte mal di testa dalla sala, anche grazie alla mania tipica napoletana della confusione del parlare a toni sempre forti ecc !!).
Il personaggio del protagonista è una figura insopportabile (ben interpretato da Aniello), che francamente con il proseguo della storia innervosisce sempre di più con questa sua mania x il reality (GF) che gli procura un'alterazione della realtà .
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indubbiamente è un film fatto bene, solo che io l'ho trovato molto pesante e faticoso da seguire per tutta la durata. Una cosa che appesantisce i film di Garrone è proprio l'uso rindondante, eccessivo del dialetto che oltre a dover ricorrere in alcune scene ai sottotitoli (!!!! per un film italiano trasmesso in italia !!!!) rende la visione più difficoltosa (ad esempio io sono uscito con un forte mal di testa dalla sala, anche grazie alla mania tipica napoletana della confusione del parlare a toni sempre forti ecc !!).
Il personaggio del protagonista è una figura insopportabile (ben interpretato da Aniello), che francamente con il proseguo della storia innervosisce sempre di più con questa sua mania x il reality (GF) che gli procura un'alterazione della realtà ... una metamorfosi che lo trasformerà in una persona diversa, totalmente lontana dalla realtà e che non verrà più nemmeno riconosciuto dalla famiglia e che lui personalmente non si accorgerà più dei suoi cari perchè questa sua follia è come se lo avesse dotato di paraocchi che gli consentono solo la visione del reality escludendo tutto il resto della sua vita, spogliandolo del suo io. Alla fine resta un involucro invasato che vive solo per poter entrare nella casa del GF e fino a quando non riuscirà a realizzare il suo scopo non sarà contento.
riassumendo il film è un buon prodotto solo che è affaticante e pesante da seguire
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enrico omodeo sale
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lunedì 1 ottobre 2012
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il carcerato che fa il carcerato
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Garrrone ha una sua poetica, molto originale, e la porta avanti senza paura. Il piano sequenza iniziale è bellissimo: ci introduce nello splendore caciarone (anche architettonicamente) della Napoli dei giorni nostri. Uno sguardo dall'alto verso il basso, che si conclude in uno sfarzoso matrimonio kitsch. Luciano, il protagonista, è seguito dalla camera a mano con un pedinamento "zavattiniano"; molto spesso viene inquadrato ai margini dell'immagine, mentre lo sfondo appare sfocato, metafora della percezione della realtà del protagonista, che dopo la spinta iniziale, entra e subisce l'incubo del Grande Fratello orwelliano, che spia e controila (a suo giudizio) ogni azione della sua vita.
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Garrrone ha una sua poetica, molto originale, e la porta avanti senza paura. Il piano sequenza iniziale è bellissimo: ci introduce nello splendore caciarone (anche architettonicamente) della Napoli dei giorni nostri. Uno sguardo dall'alto verso il basso, che si conclude in uno sfarzoso matrimonio kitsch. Luciano, il protagonista, è seguito dalla camera a mano con un pedinamento "zavattiniano"; molto spesso viene inquadrato ai margini dell'immagine, mentre lo sfondo appare sfocato, metafora della percezione della realtà del protagonista, che dopo la spinta iniziale, entra e subisce l'incubo del Grande Fratello orwelliano, che spia e controila (a suo giudizio) ogni azione della sua vita. Il pescivendolo Luciano mollta tutto per inseguire il sogno del successo, trovando paradossalmente la propria libertà solo nella scena finale, dove la prigione di una casa si trasforma nel coronamento del suo sogno (unica luce nel buio della metropoli, come si vede nello zoommone finale). Straordinaria la scelta del regista di scegliere un carcerato (che somiglia vagamente al principe Totò e parla come Troisi) per interpretare il ruolo di un carcerato. Già, perchè se si è preda della fobia del reality, anche la grande Napoli può apparire piccola come una casa dove non si può uscire e dove ad ogni angolo ci sono degli occhi telecamera che ti osservano (la famiglia allargata, la piazza, il bar).
La seconda parte del film è molto dura, lo spettatore soffre e si affeziona al protagonista, compatendolo soprattutto nelle inquietanti scene di eccessiva generosità.
Ciliegine sulla torta, la colonna sonora e la fotografia surreale che ricordano un pò il grande cinema di Fellinii.
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renato volpone
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domenica 30 settembre 2012
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napoli bella napoli
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Luciano Ciotola vive serenamente la sua esistenza di pescivendolo, con una bella moglie, delle graziose figliole e tutta una famiglia intorno. Per sopravvivere, ma anche per permettersi qualche piccolo lusso, ha attivato una truffa nella vendita a domicilio di mini robot da cucina. L'ambiente intorno, colorato e quasi alla "Almodovar", lo induce a presentarsi alle selezioni del grande fratello e, dapprima solo per gioco, poi diventa una vera fissazione che lo porta ad andati "fuori di capa". Con sullo sfondo i quartieri poveri di Napoli, si sviluppa questo racconto che non si capisce bene dove voglia andare a parare. Da un lato vengono fuori tutti i preconcetti sui napoletani e sui meridionali in genere, dall'altro un mondo televisivo "buono" miraggio per tanti giovani.
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Luciano Ciotola vive serenamente la sua esistenza di pescivendolo, con una bella moglie, delle graziose figliole e tutta una famiglia intorno. Per sopravvivere, ma anche per permettersi qualche piccolo lusso, ha attivato una truffa nella vendita a domicilio di mini robot da cucina. L'ambiente intorno, colorato e quasi alla "Almodovar", lo induce a presentarsi alle selezioni del grande fratello e, dapprima solo per gioco, poi diventa una vera fissazione che lo porta ad andati "fuori di capa". Con sullo sfondo i quartieri poveri di Napoli, si sviluppa questo racconto che non si capisce bene dove voglia andare a parare. Da un lato vengono fuori tutti i preconcetti sui napoletani e sui meridionali in genere, dall'altro un mondo televisivo "buono" miraggio per tanti giovani. Nel primo caso il film non fa ridere, ne riesce a drammatizzare mai la situazione, nell,altro caso, invece, il regista non prende una posizione netta contro il mezzo televisivo, accennandone appena gli aspetti negativi. Resta il pubblico, il target cui un reality fa riferimento, ma qui viene fuori l'anima buona della gente, troppo buona, la solidarietà, il sostegno, piuttosto che l'arrivismo o l'accecamento del successo. Senza mai prendere una posizione vera il regista attualizza un film che forse poteva andar bene dieci anni fa, annoia per la lentezza delle scene e offende l'intelligenza di un popolo, quello napoletano, che sicuramente non è così remissivo.
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