luxlux
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lunedì 1 ottobre 2012
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respiro internazionale
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film ben riuscito e di notevole impatto, racconta i mali dei nostri tempi senza sconti e abbellimenti. Ottimo il cast ben diretto da Garrone, la storia scivola via nel primo tempo, mentre lascia spazio ad una certa cupezza nella seconda parte, forse un po' lunga. Nell'insieme gran bel film.
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scatterbrain
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domenica 30 settembre 2012
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parabola del sogno a buon mercato e conseguenze
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In una Napoli anacronistica, squisitamente intrisa di tradizione e così dannatamente autentica, vive Luciano, padre di famiglia con una spiccata propensione alla teatralità. Tra le piccole truffe per sbarcare il lunario ed i siparietti occasionalmente offerti ai clienti della pescheria di sua proprietà scorrono ordinariamente le sue giornate, finché, inaspettatamente, per via dell’insistenza dei suoi familiari, non decide di prendere parte ad un provino che gli potrebbe valere l’accesso alla nota trasmissione televisiva del “Grande Fratello”. Da quel momento in poi la sua vita cambierà tragicamente ed irrimediabilmente, l’ossessione dovuta all’attesa che la propria aspettativa venga colmata gli imporrà di alterare la propria realtà rimpiazzandola con quella fittizia del reality show.
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In una Napoli anacronistica, squisitamente intrisa di tradizione e così dannatamente autentica, vive Luciano, padre di famiglia con una spiccata propensione alla teatralità. Tra le piccole truffe per sbarcare il lunario ed i siparietti occasionalmente offerti ai clienti della pescheria di sua proprietà scorrono ordinariamente le sue giornate, finché, inaspettatamente, per via dell’insistenza dei suoi familiari, non decide di prendere parte ad un provino che gli potrebbe valere l’accesso alla nota trasmissione televisiva del “Grande Fratello”. Da quel momento in poi la sua vita cambierà tragicamente ed irrimediabilmente, l’ossessione dovuta all’attesa che la propria aspettativa venga colmata gli imporrà di alterare la propria realtà rimpiazzandola con quella fittizia del reality show.
Una pellicola, questa, che in un periodo storico che mortifica le vocazioni spingendo i più alla rassegnazione del vivacchiare, diventa un atto di limpida denuncia alla onnipresente scatola dei sogni che tutti i giorni e ad ogni ora offre immagini completamente difformi dal reale “vero”. “Never give up”, l’esortazione sciorinata irresponsabilmente da chi è stato generosamente adottato dal teleschermo, diventa per il protagonista più che un mantra una psicosi. Il sogno si tramuta nell’anti-sogno, la speranza concepisce la disperazione, la determinazione conduce alla follia.
In un teatro a cielo aperto quale solo Napoli poteva offrire, il film risulta credibile e godibile per la genialità dei suoi (non chiamateli) personaggi, definibili un fluire di disadorno ed incorrotto candore in netta contrapposizione con la materia del tema di fondo, impregnato, invece, dall’inganno e dalla mistificazione che si nasconde dietro il piccolo schermo. Compassione e sgomento sono le sensazioni evocate dall’(anti-)eroe, vittima ed al tempo stesso carnefice di sé stesso, perso irrimediabilmente nel limbo di chi lascia il territorio di chi osserva per dirigersi irresponsabilmente e sfacciatamente in quello di chi viene osservato. In un racconto dove le tinte dell’antinomia tra realtà e reality sono le indiscusse protagoniste tutto si chiude con una risata alienata ed alienante che risuona nel più assordante silenzio lasciando un senso di vuoto colmabile esclusivamente da un funambolesco esercizio di riflessione.
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(di ablueboy)
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beppe baiocchi
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domenica 23 giugno 2013
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qualcuno mi sta osservando
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Napoli, Luciano è un pescivendolo, un uomo comune che invogliato dalla famiglia a fare i provini del Grande Fratello, cade in una forte depressione non riuscendo più a capire i confini di ciò che è reale e ciò che non lo è.
Garrone dipinge un affresco della società moderna italiana (di un livello culturale medio-basso). Vada chiarito che questo non è un film denuncia sul Grande Fratello in se, ma il regista vuole mostrarci una decadenza culturale di una società. Il Reality che Garrone vuole metterci in mostra è quello di una società profondamente colpità da fenomeni socio-culturali legati a doppio filo con il dualismo di essere e apparire.
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Napoli, Luciano è un pescivendolo, un uomo comune che invogliato dalla famiglia a fare i provini del Grande Fratello, cade in una forte depressione non riuscendo più a capire i confini di ciò che è reale e ciò che non lo è.
Garrone dipinge un affresco della società moderna italiana (di un livello culturale medio-basso). Vada chiarito che questo non è un film denuncia sul Grande Fratello in se, ma il regista vuole mostrarci una decadenza culturale di una società. Il Reality che Garrone vuole metterci in mostra è quello di una società profondamente colpità da fenomeni socio-culturali legati a doppio filo con il dualismo di essere e apparire. Luciano (un grandissimo Aniello Arena) infatti spinto da questo fenomeno cade in una discesa nella follia, e vive lui stesso, nella sua testa, un reality, credendo di essere costantemente controllato, niente riescono a fare gli amici, la moglie, la famiglia, a volte anche loro complici della sua disperazione.
I toni sono quelli del dramma, con una vena di commedia grottesca, nera, che nonostante la pesantezza di un tema quanto mai delicato riesce a tenere lo spettatore incollato allo schermo, grazie anche a una fotografia eccezzionale, colorata, ma che via via, procedendo nel film come l'animo di Luciano si incupisce, grazie a un cast di bravi attori, tra tutti il già citato Aniello Arena, e il sempre bravo Nando Paone (ah gli attori di teatro) e la buona mano del regista.
Un film difficile da descrivere, ma che ha dalla sua la forza di far comprendere esattamente allo spettatore di ciò di cui parla, forse proprio perchè è una storia popolare (nel senso che parla di gente comune). Sicuramente da vedere
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sirio
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sabato 20 ottobre 2012
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fisiognomica dell'idolo
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Cosa è l'idolo? E'un qualcosa che ti entra nel cervello e che progressivamente si sostituisce alla tua persona, che ti seduce con il miraggio del successo, della sicurezza economica o della fama imperitura per mostrarti, una volta che ne sei diventato succube, la tua impotenza e la tua incapacità.
Questo è quello che capita a Luciano, di imbattersi suo malgrado in un idolo che per nostra fortuna da poco è svanito, il Grande Fratello, un programma televisivo che, da scuola di aspiranti volti-per-lo-schermo (vedi Pietro Taricone o Flavio Montrucchio) è progressivamente scivolato nel più terribile trash, in una rassegna totalmente autoreferenziale di corpi statuari nullafacenti, di personaggi sempre più anonimi alla spasmodica ricerca di un attimo di notorietà, di un nulla che si alimenta del suo essere nulla e che non può che generare il nulla.
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Cosa è l'idolo? E'un qualcosa che ti entra nel cervello e che progressivamente si sostituisce alla tua persona, che ti seduce con il miraggio del successo, della sicurezza economica o della fama imperitura per mostrarti, una volta che ne sei diventato succube, la tua impotenza e la tua incapacità.
Questo è quello che capita a Luciano, di imbattersi suo malgrado in un idolo che per nostra fortuna da poco è svanito, il Grande Fratello, un programma televisivo che, da scuola di aspiranti volti-per-lo-schermo (vedi Pietro Taricone o Flavio Montrucchio) è progressivamente scivolato nel più terribile trash, in una rassegna totalmente autoreferenziale di corpi statuari nullafacenti, di personaggi sempre più anonimi alla spasmodica ricerca di un attimo di notorietà, di un nulla che si alimenta del suo essere nulla e che non può che generare il nulla.
Ma per Luciano questo diventa una ragione di vita, un tarlo che prima lo spinge a vendere il suo negozio, quindi gradatamente lo pervade fino all'idea delirante che gli sceneggiatori del programma spiino i suoi movimenti.
Il delirio di Luciano sfocia prestissimo nell'assurdo: arriva ad infilarsi nei condotti di areazione per raggiungere l'ex-concorrente, con la speranza che la sua vicinanza gli infonda la sicurezza; arriva a interrogare due vecchiette al cimitero convinto che siano emissarie del programma che lo spiano, e nel segreto della sua casa ricostruisce un finto confessionale nel quale si esercita a quello che secondo lui dovrà dire.
Arriva perfino a configurare il programma televisivo come un dio giudice che premia i suoi eletti accogliendoli nel paradiso di plastica e lustrini di Cinecittà e che punisce i malvagi che non aiutano i poveri che chiedono l'elemosina: avallato da un'inconsapevolmente mefistofelica Claudia Gerini (impegnata in un delizioso cameo) giunge al disperato tentativo di redimersi ed entrare quindi a far parte degli Ammessi-Alla-Casa attraverso il dono ai poveri dei mobili di casa, per sprofondare nell'abisso dell'annuncio della separazione dalla moglie.
E la moglie sembra aver la meglio: lo aiuta, gli sta vicino nel lungo e difficile percorso di distacco dalla sua religione televisiva, e sembra che tutto vada per il meglio: Luciano si converte ad una vera religione, il Cristianesimo, sorride mentre serve il cibo alla mensa dei poveri, arriva alla Via Crucis papale al Colosseo.
Ma tutto è solo una finta, è una subdola strategia del pressante idolo: scappa dalla celebrazione religiosa, si infila in una onirica Cinecittà e, preda di un delirio nel quale non ci comprende più dove sia la realtà e dove la fantasia, entra finalmente nella Casa. Vede gli schermi dai quali la gente viene sorvegliata, assiste alle scenette idiote ed all'esibizione di corpi statuari immersi in un nulla, poi entra nella casa, ma nessuno si accorge di lui.
E alla fine, in una risata tanto schizofrenica quanto irreale, entra a far parte del suo stesso paradiso, senza telecamere che lo riprendano.
Fisiognomica dell'idolo.
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andyzerosettesette
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domenica 30 settembre 2012
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la "reality" televisiva e gli arcaismi di napoli
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Premiato a Cannes (quasi) come "Gomorra", Reality condivide con quest'ultimo soprattutto l'ambientazione napoletana e la partecipazione di attori non particolarmente conosciuti (ad eccezione forse di Nando Paone, visto in "Benvenuti al Sud", e di Claudia Gerini e Paola Minaccioni presenti però solo in due cameo), oltre che una certa tendenza a raccontare le contraddizioni di un Sud arcaico e culturalmente povero. Per il resto Matteo Garrone ha scelto di allontanarsi dal tema della criminalità, evitando di sfruttare un filone che poteva essere in un certo senso più "facile", e si è lanciato sulla satira di costume realizzando una commedia amara e grottesca che estremizza volutamente le degenerazioni del rapporto fra finzione e realtà, fra spettatori e mondo dello spettacolo, e degli effetti perversi che l'illusione di una facile notorietà televisiva può avere sul (fragile) equilibrio psichico dell'uomo della strada, più "uomo senza qualità" che uomo qualunque".
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Premiato a Cannes (quasi) come "Gomorra", Reality condivide con quest'ultimo soprattutto l'ambientazione napoletana e la partecipazione di attori non particolarmente conosciuti (ad eccezione forse di Nando Paone, visto in "Benvenuti al Sud", e di Claudia Gerini e Paola Minaccioni presenti però solo in due cameo), oltre che una certa tendenza a raccontare le contraddizioni di un Sud arcaico e culturalmente povero. Per il resto Matteo Garrone ha scelto di allontanarsi dal tema della criminalità, evitando di sfruttare un filone che poteva essere in un certo senso più "facile", e si è lanciato sulla satira di costume realizzando una commedia amara e grottesca che estremizza volutamente le degenerazioni del rapporto fra finzione e realtà, fra spettatori e mondo dello spettacolo, e degli effetti perversi che l'illusione di una facile notorietà televisiva può avere sul (fragile) equilibrio psichico dell'uomo della strada, più "uomo senza qualità" che uomo qualunque".
Nel raccontare la storia di un pescivendolo di Napoli, non certo benestante ma neppure in forti ristrettezze economiche, che si convice progressivamente di essere stato selezionato per entrare nella casa del "Grande Fratello" e che rovina progressivamente la propria esistenza e quella dei propri familiari a causa di questa ambizione / illusione di cambiare la propria vita, Garrone non sembra voler indulgere a facili moralismi, anche se la tesi di fondo dell'autore del film fra le righe si legge eccome e sembra basarsi sulla contrapposizione modernità/tradizione. La "salvezza" dalla sua condizione "malata" di teledipendente che ha smesso di vivere per preparare il suo atteso ingresso nel mondo dello spettacolo, viene offerta infatti al protagonista cercando di farlo rientrare nella dimensione del "reale" anche attraverso la religione, uno degli elementi "tradizionali" e arcaici della Napoli di Garrone, in certa misura inquinati dall'arrivo del nuovo e del moderno. Che infatti non è sviluppo economico vero, ma è essenzialmente consumismo, civiltà dell'effimero e del cattivo gusto: studi televisivi, ipermercati, parchi acquatici, outlet della moda e ristoranti kitsch per matrimoni faraonici sono i non luoghi del mondo contemporaneo che rappresentano nel film il lato (tristemente) moderno di Napoli, moderno ma comunque "sottosviluppato" perchè immerso in una povertà più culturale che materiale. Proprio Napoli, più "evocata" in alcune atmosfere che davvero mostrata, è la vera protagonista del film, essendo ancora una volta sintesi estrema e abbondante degli italici mali.
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pier70
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martedì 9 ottobre 2012
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alla ricerca di una ciotola di senso
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Luciano, cognome da servo affamato dell'antica commedia, un mestiere duro e di poco pregio, una casa di perduto decoro, una famiglia che si cerca rotolando nei paradisi calati come Ufo dall'esterno magico e mitico (la discoteca, il parco dei matrimoni, l' aquapark, il centro commerciale), un piccolo giro di truffe. Ma tutto ciò non gli basta. Cerca oltre, cerca altro. Una divinità, una luce, una magia. Crede -è proprio il caso di dirlo - di trovarla nei provini del Grande Fratello. Ma il reality, intriso invece di cinica e terrena realtà, non lo accoglie. Non importa, ci andrà lui, da solo, non visto (naturalmente: la celebrità non si cura dell'uomo della strada), e si gratificherà di esserci, di star dentro quel tempio plastificato che brilla nella notte insensata.
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Luciano, cognome da servo affamato dell'antica commedia, un mestiere duro e di poco pregio, una casa di perduto decoro, una famiglia che si cerca rotolando nei paradisi calati come Ufo dall'esterno magico e mitico (la discoteca, il parco dei matrimoni, l' aquapark, il centro commerciale), un piccolo giro di truffe. Ma tutto ciò non gli basta. Cerca oltre, cerca altro. Una divinità, una luce, una magia. Crede -è proprio il caso di dirlo - di trovarla nei provini del Grande Fratello. Ma il reality, intriso invece di cinica e terrena realtà, non lo accoglie. Non importa, ci andrà lui, da solo, non visto (naturalmente: la celebrità non si cura dell'uomo della strada), e si gratificherà di esserci, di star dentro quel tempio plastificato che brilla nella notte insensata. Con stile personalissimo, lucido e mai moralizzante, agendo di fioretto in una città che è sia iper - Napoli che l'Italia tutta d'oggi, Garrone ci racconta chi siamo e cosa sogniamo, in una sorta di (conato di) boom eterno e mai soddisfatto, impossibilitati ad essere noi stessi perché incapaci di avere sogni veramente nostri. Il sogno di Luciano, in fondo, non è 'sbagliato': è un sogno, appunto, finalmente, e questo, oggi, è già molto.
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alberto sorge
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lunedì 8 ottobre 2012
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realtà superflue
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La televisione vista dal cinema.
Vista 'al' cinema.
Partendo da un tema non certo originale e già 'calpestato' da registi mitologici come Woody Allen, Nanni Moretti e tanti altri, Garrone riesce comunque a costruire una favola nera che evade dalla concezione assolutista che vede il cinema come contenitore perfetto e quasi aristocratico nel quale masticare tempi e convenzioni riguardanti il piccolo schermo.
La tv è l'immagine deformata e deformante della realtà.
Uno specchio rotto dell'irrealtà.
Il film inizia con un finale.
Un matrimonio paradossale, dove il ceto medio diventa ancora più piccolo, fustigato dalla sua stessa pochezza.
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La televisione vista dal cinema.
Vista 'al' cinema.
Partendo da un tema non certo originale e già 'calpestato' da registi mitologici come Woody Allen, Nanni Moretti e tanti altri, Garrone riesce comunque a costruire una favola nera che evade dalla concezione assolutista che vede il cinema come contenitore perfetto e quasi aristocratico nel quale masticare tempi e convenzioni riguardanti il piccolo schermo.
La tv è l'immagine deformata e deformante della realtà.
Uno specchio rotto dell'irrealtà.
Il film inizia con un finale.
Un matrimonio paradossale, dove il ceto medio diventa ancora più piccolo, fustigato dalla sua stessa pochezza.
L'elegante pianosequenza che apre la pellicola cattura uno spicchio di esistenza meschina.
Donne sciupate nella loro bellezza andata e uomini volgari e rozzi, incapaci di manifestare pensieri e parole degni di accento.
Gli auguri, la torta nuziale. E tanto basta.
In un Universo a tratti felliniano danzano senza armonia nani, obesi e ballerine, tutti spinti da un desiderio di cartapesta che si sfalda in un istante.
La salvezza è il desiderio di apparire. Di diventare un Qualcuno in un microcosmo popolato da migliaia di signori Nessuno, infelici e stanchi di se stessi. E di ciò che sta attorno.
La gente 'normale' è brutta, sporca e a tratti cattiva.
I personaggi famosi sono tutto. E hanno tutto.
Perché non diventare come loro? Perché non provarci?
Abiti circensi e povertà. Lusso sfrenato e case grandi come ripostigli.
L' Eldorado di Luciano è ricoperta da pailettes, luci e telecamere.
Luciano ci prova. Almeno ci prova. E questo lo fa sentire diverso dagli altri. Un po' migliore. Un po' felice.
Lui è la gente del suo quartiere. La gente è lui.
E il suo essere personaggio in cerca d'autore lo colloca in una posizione di privilegio. Effimera.
Il teatro è l'altro tema cardine del film.
La recitazione accentuata dei protagionisti ricorda le maschere di De Filippo e, come detto, la scomposizione della realtà tante volte scritta e mostrata da Pirandello.
Cinema. Televisione. Teatro.
E nel mezzo il niente.
Una pescheria, un amore che forse non è amore. Vicoli stretti. Parenti strettissimi.
La tristezza di essere luoghi comuni.
Ed anche la famiglia è un luogo comune.
Nonne, nipoti, zii, cugini. Tutto è finto. Anche la vita.
Solo Mary, la moglie di Luciano, presenta dei tratti realistici che confondono e 'addomesticano' gli spettatori.
Solo lei si ferma. Riflette. Capisce.
Perché gettare via il poco per arrivare ad avere il niente?
Ma l'ambizione è follia.
E'un teleomando che proietta immagini di donne bellissime e di uomini muscolosi.
Balli, canti, scherzi.
Finzione.
E nel tragitto iperscrutabile che vede Luciano diventare un altro se stesso, ecco che piomba la paura di vivere e morire senza essere ricordati.
E nel suo arrivismo si cela un qualcosa di patologico. Di terribile. Di frustrante.
Scappare da una casa per abitarne un'altra.
Un labirinto di inganni che trova la sua indegna esplicitazione nel finale onirico, quasi decadente.
Intrappolato in un ambiente che non dà all'esterno.
Che una volta spento diventa il nulla che è sempre stato.
AS
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mchicapp
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giovedì 25 ottobre 2012
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il kitsch nell'epoca dei reality
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fin dalle prime sequenze il film rivela il suo intento: raccontare la genesi, la catarsi e anche la nemesi del kitsch dei nostri tempi. cosa è il kitsch, da dove nasce, cosa produce e da chi è prodotto, questo in sostanza il nocciolo del film. il kitsch delle prime immagini è quasi surreale: una vistosissima carrozza, trainata da cavalli vistosamente bardati, percorre una normalissima strada provinciale, con le macchine, i cartelli, le segnalazioni che si possono trovare in ogni strada provinciale. quel che sembra una decontestualizzazione, neanche troppo ben riuscita, si rivela ben presto per quello che è: una descrizione fedele di una realtà di sottoploretariato urbano. la carrozza è, infatti, una carrozza adibita ad accompagnare novelli sposini nella sede del loro rinfresco nuziale e quel che sembrava strano, bizzarro, curioso trova una sua spiegazione e una sua collocazione.
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fin dalle prime sequenze il film rivela il suo intento: raccontare la genesi, la catarsi e anche la nemesi del kitsch dei nostri tempi. cosa è il kitsch, da dove nasce, cosa produce e da chi è prodotto, questo in sostanza il nocciolo del film. il kitsch delle prime immagini è quasi surreale: una vistosissima carrozza, trainata da cavalli vistosamente bardati, percorre una normalissima strada provinciale, con le macchine, i cartelli, le segnalazioni che si possono trovare in ogni strada provinciale. quel che sembra una decontestualizzazione, neanche troppo ben riuscita, si rivela ben presto per quello che è: una descrizione fedele di una realtà di sottoploretariato urbano. la carrozza è, infatti, una carrozza adibita ad accompagnare novelli sposini nella sede del loro rinfresco nuziale e quel che sembrava strano, bizzarro, curioso trova una sua spiegazione e una sua collocazione. è tutto esagerato, tutto sopra le righe, tutto finto, come la parrucca che, ad un certo punto, il nostro protagonista indossa per animare la festa e divertire gli invitati. una volta in qualche matrimonio si usava leggere una lettera con cui il papa augurava lunga vita e prosperità agli sposi. non capitava in tutti i matrimoni e, quando accadeva, faceva sempre un certo effetto, ma la lettera papale non era nulla rispetto all'effetto della comparsa nella sala del rinfresco di un personaggio culto, come solo un vincitore del grande fratello riesce ad essere,materializzatosi all'improvviso per fare i suoi auguri agli sposi. il personaggio culto sorride, ripete il tormentone del suo motto, si fa fotografare in mezzo agli sposi, poi scappa via di corsa. in un'altra zona della sede del rinfresco c'è un altro matrimonio, con diversi sposi e diversi invitati, totalmente indistinguibili da quelli del primo. ed è lì che il personaggio culto si dirige velocemente: stessi auguri agli sposi, stesso tormentone, stesso sorriso, stessa posa nelle fotografie. e così scopriamo un altro tassello del kitsch: la stereotipia e l'inconsistenza di certi personaggi culto sono irrimediabilmente kitsch, certi personaggi culto sono kitsch, tanto da far sospettare che, se non fossero kitsch, non diventerebbero mai personaggi culto.
la condizione di vita di un personaggio appare invidiabile agli occhi di un qualsiasi povero diavolo e, se il povero diavolo viene spesso elogiato per le sue qualità di intrattenitore, poytrebbe iniziare ad affacciarsi un sogno: quello di diventare un personaggio culto. in fondo cosa ci vuole? basta partecipare a un reality. si diventa famosi, si guadagnano tanti soldi. che sogno! basta vita grama, basta piccole truffe perché i proventi di una pescheria, di cui si è proprietari, non sono sufficienti. sembra al protagonista facilissimo poter realizzare questo sogno. allo spettatore sembra solo un sogno ridicolo. ridicolo e kitsch. il pescivendolo di napoli, protagonista del film, non è forest gump e andrà incontro a delusioni e sconfitte. ecco un altro aspetto del kitsch: esistono dei sogni che sono veri, sono sogni belli, sono sogni che spingono in avanti e poi ci sono i sogni kitsch. i sogni kitsch sono fasulli, portano alla pazzia e alla rovina. sono sogni a cui sarebbe meglio rinunciare, ma certe lusinghe sono peggiori delle sirene di ulisse. chissàse il canto delle sirene possa essere considerato kitsch, il pescivendolo è comunque, a suo modo, una specie di eroe. e, come tutti gli eroi che si rispettino, un eroe vittorioso.
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[+] bravo
(di sirio)
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xoting
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martedì 9 ottobre 2012
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realtà allo specchio
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La realtà può essere insopportabile vista da dentro, fatta di truffe e di sogni che non ci sono, di sopravvivenze difficili, confusionarie, rassegnate, deformi, rumorose. Ma può diventare, e diventa, una specie di sogno se vista dal buco della serratura. Nulla di diverso dal normale maleducato scorrere della vita globalizzato nelle immagini di ragazzi che fanno sesso dentro “la casa”. Ma questa realtà è promossa al rango di “reality” ed è per questo che diventa l’oggetto di un desiderio devastante tanto da fare perdere la testa. Questo è l’assurdo; la realtà guardata è in effetti molto meno variegata di quella da cui viene vista ma è resa “interessante” solo dalla risonanza che può avere, capace di generare personaggi in qualche modo famosi.
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La realtà può essere insopportabile vista da dentro, fatta di truffe e di sogni che non ci sono, di sopravvivenze difficili, confusionarie, rassegnate, deformi, rumorose. Ma può diventare, e diventa, una specie di sogno se vista dal buco della serratura. Nulla di diverso dal normale maleducato scorrere della vita globalizzato nelle immagini di ragazzi che fanno sesso dentro “la casa”. Ma questa realtà è promossa al rango di “reality” ed è per questo che diventa l’oggetto di un desiderio devastante tanto da fare perdere la testa. Questo è l’assurdo; la realtà guardata è in effetti molto meno variegata di quella da cui viene vista ma è resa “interessante” solo dalla risonanza che può avere, capace di generare personaggi in qualche modo famosi. Basterebbe mettere uno specchio dietro il buco della serratura e chi guarda vedrebbe un mondo incredibilmente più ricco, colorato, matto e interessante come è l’area partenopea e tutto il suo incredibile modo di vivere e sopravvivere. Garrone fa proprio questo. Ruota il punto di vista e fa diventare spettacolo chi guarda lo spettacolo. Ma l’emozione che ne scaturisce però è di angoscia per un mondo, ed una tv, che peggiora a vista d’occhio dove contano solo dati d’ascolto influenzati, per lo più, dalle numerose fasce meno capaci di discernere e reagire. Il film potente e forte nella narrativa, complice un dialetto che vanta secoli di tradizione teatrale, perde decisamente ritmo scorrendo verso una fine quasi ovvia e naturale in cui i personaggi capiscono di fare parte “loro” di un teatrino che li riporta dove sono partiti. Ed è qui che si consuma il dramma. Nella mancata occasione. Perché quella di entrare nella casa del GF e vivere osservati è stata considerata “l’occasione” della vita come se davvero lo fosse. Eccellente la regia e l’interpretazione. Grave la situazione di case borboniche di antico splendore divenute fatiscenti, tristi e malsane dimore. Un patrimonio che si distrugge sotto occhi ignoranti; e questa è la realtà. Quella vera purtroppo.
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francisdeckhaunt
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venerdì 5 ottobre 2012
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la società dell'apparenza
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Luciano è un pescivendolo che, dopo aver superato la prima selezione ad uno dei provini per entrare nella casa del Grande Fratello, diventa ossessionato dal reality e comincia a sentirsi costantemente osservato e sotto controllo. L'ultimo film di Matteo Garrone racconta, attraverso una piccola storia, la grande realtà del nostro paese, in cui la presenza di falsi dei (i concorrenti del Grande Fratello idolatrati fino allo stremo sono solo un esempio) altro non rappresenta che una società in decadenza in cui l'unica cosa importante è l'apparenza. Reality è un manifesto dei nostri giorni, nonostante sia ambientato in una Napoli per certi versi anacronistica, che descrive con il meccanismo della tragicommedia (impossibile non farsi due risate dal retrogusto amaro in vari punti del film) la speranza di una vita migliore che, paradossalmente, rovina quella che il protagonista già ha.
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Luciano è un pescivendolo che, dopo aver superato la prima selezione ad uno dei provini per entrare nella casa del Grande Fratello, diventa ossessionato dal reality e comincia a sentirsi costantemente osservato e sotto controllo. L'ultimo film di Matteo Garrone racconta, attraverso una piccola storia, la grande realtà del nostro paese, in cui la presenza di falsi dei (i concorrenti del Grande Fratello idolatrati fino allo stremo sono solo un esempio) altro non rappresenta che una società in decadenza in cui l'unica cosa importante è l'apparenza. Reality è un manifesto dei nostri giorni, nonostante sia ambientato in una Napoli per certi versi anacronistica, che descrive con il meccanismo della tragicommedia (impossibile non farsi due risate dal retrogusto amaro in vari punti del film) la speranza di una vita migliore che, paradossalmente, rovina quella che il protagonista già ha. Luciano, infatti, perde la testa sperando in una telefonata che gli annunci la sua entrata nella casa. Entrata che, stando al finale del film, in un modo o nell'altro avrà luogo. Garrone fa centro così nella scelta degli attori e dei personaggi (felliniani in alcuni tratti) come in quella dell'ambientazione. Una menzione speciale va alle musiche minimaliste e poetiche di Alexandre Desplat.
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