Matteo Garrone ha fatto centro ancora una volta, confermando il suo mostruoso talento di cineasta (credo che, oggi, siano pochi NEL MONDO i registi capaci di una tale padronanza del linguaggio cinematografico). Come già il precedente "Gomorra", "Reality" non è un film di denuncia (d’altra parte, anche se volesse esserlo, mancherebbero gli interlocutori: a chi la faccio, la “denuncia”, se non c’è nessuno che ascolta la mia denuncia?). Dunque, cos’è "Reality"? Volendo per forza trovare un genere, potrebbe appartenere – come del resto tutti i film di Garrone – al genere della “fiaba nera”. Non è certamente un film sulla noiosissima questione essere-apparire (è Garrone stesso, nel film, a giocare con questi luoghi comuni privi di significato); non è nemmeno un “affresco sociale” (come si diceva un tempo) sui quartieri degradati di Napoli: i protagonisti di Reality non sono nemmeno gli “ultimi”, casomai i penultimi (Garrone ci mostra un magnifico carrello della spesa pieno…). Certo, il linguaggio narrativo di Garrone ci rimanda un po’ a Eduardo, un po’ alla grande tradizione neo-realistica (ancora la realtà! Ma non sarà un’ossessione!?), e l’interpretazione, al limite del sovrumano, fornita dall’intero cast fa completamente dimenticare allo spettatore il meccanismo della finzione: uscendo dalla sala non ho avuto l’impressione (normalmente presente, anche se spesso “sospesa”) di vedere degli attori che recitavano in un film, ma di vedere uomini e donne che stavano REALMENTE (a ridajje!!) vivendo ciò che accadeva sullo schermo.
"Reality", il cui schema fiabesco-narrativo richiama evidentemente a Pinocchio (come dichiarato dallo stesso Garrone), non racconta una storia di “alienazione sociale” (che l’Italia sia ormai terzo mondo è dato per assodato) ma è, più semplicemente, la storia di una discesa agli inferi. Il protagonista, Luciano (“che porta luce”, sarà un caso?), rivive nella sua vera vita proprio quel “big brother” che non ha in realtà niente a che vedere col “reality” televisivo, sviluppando, alternandoli, mostruosi deliri di persecuzione (mi osservano!) e di onnipotenza (lo vedi, quel passo l’ho inventato io, me l’hanno copiato!). Per un beffardo paradosso, Luciano vive sulla sua pelle il “fratello maggiore” (corretta traduzione di “big brother”) proprio perché lui, in realtà, non è ancora giunto “all’ultimo stadio”, quello della completa nullificazione propria invece dei veri “ospiti della casa” ma è, anzi, ancora un “uomo” nel senso sociale del termine: quando serve è un attore (della naturale attorialità dei napoletani) e sa divertire, è immerso in modo tutto sommato armonico nel suo contesto, è amato dalla sua famiglia, benvoluto, aperto, e quando vuole sa anche farsi rispettare. Ma, come Pinocchio, vorrebbe di più: è attratto fatalmente dal paese dei balocchi. Il meccanismo patologico agisce adesso: proprio perché Luciano è un uomo reale, viene aggredito dalle sue ossessioni, si sente perennemente inadeguato perché, “da un momento all’altro potrebbero chiamarmi!”. Dopo avere assistito distrattamente alla Via Crucis attorno al Colosseo (la più colossale messa in scena di tutti i tempi, un successo bimillenario!), Luciano finalmente reagisce: decide di andare direttamente sul set (è un set, mica una casa!) del Grande Fratello, per VEDERLI DA VICINO. Da vicino, spogliati della mediazione narrativo-televisiva, quei miserabili corpi immersi nell’acquario che tanto aveva invidiato gli appaiono finalmente per quello che sono: niente.
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cava6
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mercoledì 10 ottobre 2012
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finale
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sono daccordissimo sulla tua pertinente recensione,ma io il finale non lo interpreto come una soluzione verso la redenzione(nel senso che il protagonista si accorge dell'evanescenza dei corpi -protagonisti del grande fratello),quanto piuttosto la discesa definitiva negli inferi della follia.da cui come un novello josef k.no ha piu' possibilita' di risalire.perdiamo dunque ogni speranza o noi che entriamo nel fantasmagorico mondo catodico .
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marezia
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domenica 21 ottobre 2012
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finale corretto
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Il finale è IL SOGNO che si avvera nella FANTASIA del protagonista il quale può o non essere partito proprio per Roma oppure esserci andato DAVVERO per un pellegrinaggio e, in questa situazione, aver sognato di lasciare la folla per raggiungere gli studi oppure, raggiunti gli studi, di essere penetrato negli ambienti della casa tant'è che, mentre i ragazzi fanno quello che vogliono, lui, NON VISTO, si aggira VERAMENTE COME SE FOSSE UN FANTASMA. Ma ci vuole tanto per capirlo?
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beppe baiocchi
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domenica 23 giugno 2013
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scusa però...
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Hai fatto una premessa. Cito:Reality" non è un film di denuncia, Non è certamente un film sulla noiosissima questione essere-apparire. Ma se non è questo cosa è? Perchè cade in depressione Luciano? Pare ovvio che il Reality Grande Fratello è il pretesto per analizzare un tale dilemma nella vita vera, non come elemento di costume (grande fratello), ma come problema socio-culturale. Io non condivido poi la tua considerazione sul finale, secondo me infatti Luciano non va sul set del GF e capisce che i varii concorrenti non sono niente e ci ride su, ma invece ha rasentato il fondo della sua follia, si sente appagato, finalmente di essere entrato in quella casa, che per lui non è finzione, ma realtà.
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