Amaro amore

André, studente francese di filosofia, sbarca a Salina con la sorella Camille. In cerca di sole e di informazioni sul passato della madre, siciliana approdata anni prima sulla stessa isola, incontrano Santino, un ragazzo del luogo che vive di pesca e di mare. Tra i tre nasce subito una profonda complicità che li innamora, attira e respinge. A ostacolarli è la madre di Santino, vedova e amante che nasconde un segreto doloroso e inconfessabile. Diversi anni prima il marito l’aveva tradita proprio con la madre di André e Camille, che come una nemesi tornano a chiedere il conto di quell’amore clandestino. Ignari della relazione di sangue che li lega a Santino, seguiranno il loro destino, scampandolo o subendolo.
Opera prima di Francesco Henderson Pepe, Amaro amore è una storia di formazione e di iniziazione, erotica ed esistenziale, che aspira alla sospensione e alla indeterminazione di Antonioni. L’avventura amicale e sentimentale dei giovani protagonisti, instabili come i loro pochi anni, non trova però nel paesaggio lunario e astratto delle Eolie la bellezza misteriosa delle immagini. Indeciso tra dramma verista e tragedia eschilea, da cui mutua l’eredità della colpa, il regista annaspa su scogliere ripide e ‘percorsi ardui’ insieme ai suoi attori (fa eccezione Yorgo Voyagis), mai credibili e affioranti continuamente sotto la pelle del personaggio. Qualcosa non funziona in Amaro amore e mette a disagio lo spettatore, chiamato a empatizzare con una materia narrativa che non infila un progetto stilistico adeguato. Amaro amore non batte i sentieri aspri del naturalismo, non sceglie la trasfigurazione fantastica del reale o la soluzione opposta, quella del melodramma, preferendo l’apologo hollywoodiano dove tutto è troppo pulito e imprigionato nella levigatezza e nell’improbabilità.
Esemplificative le sequenze carnali, in cui i corpi immaginano come potrebbe essere il sesso tra un uomo âgée e una giovane donna, tra una ragazza e un ragazzo, tra un ragazzo e un ragazzo. L’imbarazzo deriva proprio dal percepire questo sforzo di immaginazione che non si sostanzia mai in immagine. È una questione di linguaggio e il ridicolo scaturisce sempre dall’uso di un’espressione inappropriata al contesto nel quale si esprime. Francesco Henderson Pepe mette in scena figure che si dibattono in uno spazio bianco, senza scrittura, senza colore per dire (e giustificare) la tensione interiore che rendeva indimenticabili le ricerche di Anna sullo ‘scoglio’ vulcanico di Lisca Bianca. I personaggi percorrono l’isola e si fanno osservare. Puri oggetti scopici privi di interiorità, di storia, di emozioni. 