cinefoglio
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domenica 10 marzo 2019
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istantanea di io sono li
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Il mese di marzo della piattaforma ArteKino Festival è stato dedicato al primo lungometraggio di finzione del giovane Andrea Segre, già autore di documentari come Il Sangue Verde (2010) e Mare Chiuso (2012), coinvolgendoci nella toccante storia di Li, cinese emigrata in Italia in cerca di un futuro migliore per sé e per suo figlio.
Io Sono Li (2011) ci proietta nel mondo dei «non visti», di tutte quelle persone che, arrivate nel Bel Paese, private di una vera libertà da parte di una immensa macchina di trafficanti e commercianti, sono costrette a lavorare chi nel cucito industriale, chi al servizio in un bar di provincia, private della privacy sotto il giogo del debito da ripagare.
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Il mese di marzo della piattaforma ArteKino Festival è stato dedicato al primo lungometraggio di finzione del giovane Andrea Segre, già autore di documentari come Il Sangue Verde (2010) e Mare Chiuso (2012), coinvolgendoci nella toccante storia di Li, cinese emigrata in Italia in cerca di un futuro migliore per sé e per suo figlio.
Io Sono Li (2011) ci proietta nel mondo dei «non visti», di tutte quelle persone che, arrivate nel Bel Paese, private di una vera libertà da parte di una immensa macchina di trafficanti e commercianti, sono costrette a lavorare chi nel cucito industriale, chi al servizio in un bar di provincia, private della privacy sotto il giogo del debito da ripagare.
In questo contesto Shun Li, interpretata da una posata Zhao Tao, comincia a prestare servizio in un’osteria nella laguna di Chioggia nell’attesa di poter riabbracciare suo figlio, inserendosi ed integrandosi perfettamente nella vita peschereccia e pensionata dei «soliti» del bar.
In particolare, a caratterizzare la parentesi chioggese, sarà la conoscenza e l’amicizia con Bepi, pescatore anche lui emigrato dalla Jugoslavia da molti anni ormai, interpretato da un poetico e sensibile Rade Šerbedžija che sosterrà l’animo di Li con versi in rima e panoramiche gite con la barca.
La pellicola si dimostra una valida opera prima di finzione (tra cui vanta un premio a Venezia), che dipinge, come un quadro di macchiaioli, lo spirito e la tenacia di Li in un paesaggio meditativo e disteso, immagine e colore di un mondo nascosto ma accolto dalla speranza di un’integrazione possibile ed un finale edulcorato ed ottimista.
07/03/2019
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gianleo67
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domenica 30 settembre 2018
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canzone per zhao
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Una giovane immigrata cinese, costretta a lavorare in un'osteria di Chioggia per riscattare il ricongiungimento con il figlio rimasto in patria, intrattiene una relazione platonica e affettiva con un anziano pescatore croato da tempo in Italia. La delicata poesia del loro legame umano viene bruscamente interrotta dal rigido codice etico del caporalato cinese, preoccupato solo di mantenere il basso profilo e l'alto rendimento dei propri lavoratori-schiavi. Nel bellissimo titolo di questo esordio nel cinema di finzione del documentarista Segre, la doppia semantica di una affermazione di identità e di una collocazione geografica che mantengono nella genericità del nome e dell'avverbio tanto l'adesione ad un riconoscibile stereotipo etnico quanto lo sradicamento di una condizione esistenziale che si fa paradigma universale della migrazione forzata ai tempi della globalizzazione.
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Una giovane immigrata cinese, costretta a lavorare in un'osteria di Chioggia per riscattare il ricongiungimento con il figlio rimasto in patria, intrattiene una relazione platonica e affettiva con un anziano pescatore croato da tempo in Italia. La delicata poesia del loro legame umano viene bruscamente interrotta dal rigido codice etico del caporalato cinese, preoccupato solo di mantenere il basso profilo e l'alto rendimento dei propri lavoratori-schiavi. Nel bellissimo titolo di questo esordio nel cinema di finzione del documentarista Segre, la doppia semantica di una affermazione di identità e di una collocazione geografica che mantengono nella genericità del nome e dell'avverbio tanto l'adesione ad un riconoscibile stereotipo etnico quanto lo sradicamento di una condizione esistenziale che si fa paradigma universale della migrazione forzata ai tempi della globalizzazione. Se nel ricercato parallelo tra la solitudine condivisa tra una madre in attesa di ricongiungersi col figlio lasciato all'anziano padre ed un padre ormai anziano che ricerca la propria indipendenza lontano dalla famiglia di un figlio per il quale si sente un ingombro, rappresentano il facile approccio di una drammaturgia esemplare, le tematiche care ad un autore da sempre attento alle molteplici declinazioni sociali dei fenomeni migratori trovano la felice sintesi di un realismo poetico che, senza sottrarsi allo squallore della realtà, ricerca nella spiritualità di culture diverse (il rito del poeta cinese e la poesia dell'esule croato) una corrispondenza d'amorosi sensi che si fa riscatto dalle miserie umane ed affermazione di valori universali; il filo conduttore di una antropologia dei sentimenti che le confidenze intime di una tradizione orale e le foto di famiglia di un'infanzia sul mare servono da sole a documentare. Come nella traccia in over voice della suggestiva poesia finale, in cui l'allegoria di geometrie non euclidee esemplifica le insondabili strade di un destino di errori e sofferenze, vita e morte, purificazione e rinascita, così gli eventi accidentali di storie distanti conducono i due protagonisti al crocevia geografico dell'antica via della seta, il fondale scenografico di calli sospese tra storia e letteratura, tra i ricorsi di di un sincretismo culturale che ritorna al punto di partenza e le baruffe chiozzotte di una cultura provinciale di maldicenze e ottusità, tra il ritorno alle origini di genti lontane cresciute sul mare e la dolorosa separazione tra una figlia ed un padre putativo che le spietate regole delle vessazioni sociali riescono per sempre ad allontanare. Un esempio di cinema già maturo, dove alla puntuale ricognizione dei luoghi nostrani di una globalizzazione economica fondata sullo sfruttamento e l'autarchia, si alterna una dimensione religiosa preziosa e incorruttible, disseminata dei simboli di una spiritualità profonda che rivive ogni volta negli ex voto di rosse lanterne fluttuanti sull'acqua e che ritorna alla terra e al mare nell'orrida pira dell'ultima, grande lanterna che la sua più fedele seguace accende in onore dell'unico vero poeta che ha avuto in sorte di conoscere. Contributi tecnici di prim'ordine ed un casting mai così indovinato che arruola, oltre ad uno stuolo di azzeccati vitelloni del Nord Est (Battiston, Citran, Paolini), la docissima e bellissima Zhao Tao ed il fascinoso apolide giramondo Rade Šerbedžija. Palmares giustamente pletorico tra cui 3 premi (Premio Fedic, Premio Lanterna Magica e Premio Lina Mangiacapre) al Festival di Venezia 2011 ad Andrea Segre e David di Donatello 2012 per la migliore protagonista femminile.
E Marco Polo li fregò: doge, moglie, turchi, idee, partì da Chioggia ed arrivò non più giù di Bari, non più giù di Bari, poi disse "ho visto orienti magici", ma almeno aveva avuto della fantasia; i veneziani che applaudivano solo invidia e ipocrisia.
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louisedominici
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domenica 7 gennaio 2018
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inconscio omaggio a zurlini?
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Bellissimo film che, personalmente, ho visto come un omaggio, conscio od inconscio a Valerio Zurlini ed al suo film La prima notte di quiete. Stesso mare, stessa atmosfera invernale ovattata, stessi quattro amici al bar, stesse passeggiate solitarie lungo il molo, stessi poeti, stesso fuoco purificatore, seppur tragico. Anche le due donne, seppur diverse fisicamente sono accomunate da una identica tristezza interiore che l’amore avrebbe potuto salvare. Ma ahimè, la felicità non è di questo mondo (cinematografico). Ma va bene così. Un altro finale, magari melò, sarebbe stato del tutto inopportuno e forse anche ipocrita. Rimane, alla fine, mentre scorrono le scritte di chiusura, la piacevole sensazione, non detta, ma percepita, di un futuro migliore per Li, anche se per amore del figlio ha dovuto rinunciare all’amore di un uomo.
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Bellissimo film che, personalmente, ho visto come un omaggio, conscio od inconscio a Valerio Zurlini ed al suo film La prima notte di quiete. Stesso mare, stessa atmosfera invernale ovattata, stessi quattro amici al bar, stesse passeggiate solitarie lungo il molo, stessi poeti, stesso fuoco purificatore, seppur tragico. Anche le due donne, seppur diverse fisicamente sono accomunate da una identica tristezza interiore che l’amore avrebbe potuto salvare. Ma ahimè, la felicità non è di questo mondo (cinematografico). Ma va bene così. Un altro finale, magari melò, sarebbe stato del tutto inopportuno e forse anche ipocrita. Rimane, alla fine, mentre scorrono le scritte di chiusura, la piacevole sensazione, non detta, ma percepita, di un futuro migliore per Li, anche se per amore del figlio ha dovuto rinunciare all’amore di un uomo. Film assolutamente da vedere.
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stefanocapasso
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venerdì 20 ottobre 2017
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il linguaggio universale dei sentimenti
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Li è una giovane donna cinese emigrata in Italia. L’organizzazione che le ha pagato il viaggio ed il permesso di soggiorno la tiene n condizioni molto vicine alla schiavitù. Dovrà lavorare quanto basta per ripagare il debito e permettersi di poter far venire il figlio di 8 anni al quale scrive regolarmente lettere e poesie.
Da Roma viene traferita a Chioggia per lavorare in un bar frequentato per lo più dai pescatori locali. Uno di questi, Bepi, riuscirà ad entrare in confidenza con Li, scatenando il chiacchiericcio dei locali e le conseguenze dell’organizzazione cinese che controlla Li.
Io sono Li di Andrea Segre è un film che mi è piaciuto molto.
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Li è una giovane donna cinese emigrata in Italia. L’organizzazione che le ha pagato il viaggio ed il permesso di soggiorno la tiene n condizioni molto vicine alla schiavitù. Dovrà lavorare quanto basta per ripagare il debito e permettersi di poter far venire il figlio di 8 anni al quale scrive regolarmente lettere e poesie.
Da Roma viene traferita a Chioggia per lavorare in un bar frequentato per lo più dai pescatori locali. Uno di questi, Bepi, riuscirà ad entrare in confidenza con Li, scatenando il chiacchiericcio dei locali e le conseguenze dell’organizzazione cinese che controlla Li.
Io sono Li di Andrea Segre è un film che mi è piaciuto molto. Vista da una prospettiva insolita l’ambientazione di Chioggia accompagna bene i versi dell’antico poeta cinese che fanno da filo conduttore del film. Tra l’altro gli stessi veri usati da Battiato in un suo album.
E’ un film sull’amore, e sulle culture che possono essere vicine o molto lontane a seconda del linguaggio che si parla. La giovane donna cinese, e l’anziano uomo croato hanno in comune la condizione di migranti, il silenzio e la solitudine proprie della loro condizione. E amano la poesia, che li collega alla malinconia degli affetti che sono per entrambi lontani. Quando parlano il linguaggio dei sentimenti anche due persone, due culture, così lontane possono entrare in un contatto profondo e il sentimento di amore che li avvicina è puro, delicato, con l’unica necessità della comprensione e della condivisione. Anche quando il pregiudizio culturale li allontanerà, il sentimento resterà intatto.
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great steven
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lunedì 5 gennaio 2015
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la laguna di chioggia come sfondo a quest'esordio.
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IO SONO LI (IT/FR, 2011) diretto da ANDREA SEGRE. Interpretato da ZHAO TAO, RADE SERBEDZIJA, MARCO PAOLINI, GIUSEPPE BATTISTON, ROBERTO CITRAN
Esordio nella fiction di Segre, prolifico documentarista veneto dal 2003, e un debutto così dovrebbe essere consigliabile a qualunque cineasta, affermato o meno, intenzionato a buttarsi nel progetto, più ambizioso di quanto si creda comunemente, di dirigere una storia narrativa in immagini audiovisive. Protagonista del film è Shun Li, colta operaia cinese che emigra a Chioggia dove va a lavorare in un bar vicino alla costa adriatica. Viene subito sfruttata e ricattata dai capi della comunità asiatica locale per farle firmare i permessi che le consentano di far approdare in Italia l’amatissimo figlioletto di otto anni.
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IO SONO LI (IT/FR, 2011) diretto da ANDREA SEGRE. Interpretato da ZHAO TAO, RADE SERBEDZIJA, MARCO PAOLINI, GIUSEPPE BATTISTON, ROBERTO CITRAN
Esordio nella fiction di Segre, prolifico documentarista veneto dal 2003, e un debutto così dovrebbe essere consigliabile a qualunque cineasta, affermato o meno, intenzionato a buttarsi nel progetto, più ambizioso di quanto si creda comunemente, di dirigere una storia narrativa in immagini audiovisive. Protagonista del film è Shun Li, colta operaia cinese che emigra a Chioggia dove va a lavorare in un bar vicino alla costa adriatica. Viene subito sfruttata e ricattata dai capi della comunità asiatica locale per farle firmare i permessi che le consentano di far approdare in Italia l’amatissimo figlioletto di otto anni. Non è ben vista nemmeno dagli abituali frequentatori del locale, tranne da uno: lo sloveno Bepi, che da trent’anni risiede nella cittadina veneta, dove fa il pescatore usando grandissime reti e si diletta in componimenti poetici. Nasce fra Li e Bepi un’amicizia sincera ed intensa, ma entrambe le comunità cercano ostinatamente di osteggiare questo rapporto, finché Bepi, trasferitosi da un parente presso una cascina campestre, muore di malattia. Per Li è un colpo allo stomaco di una portata insopportabile, tanto che decide di incendiare la palafitta che il pescatore di origini slovene utilizzava come rifugio per il pesce appena pescato. Un’opera che racconta di una relazione platonica fra un uomo e una donna (ha qualche cosa in comune, in questo senso, col film di Sofia Coppola Lost in Translation – L’amore tradotto, del 2003), la quale fa da promotore eccezionale e straordinario ad una critica al razzismo fra bianchi e cinesi (e qui salta all’occhio un ulteriore richiamo cinematografico, e precisamente al capolavoro di Clint Eastwood Gran Torino, uscito nel 2008), senza ricorrere a demagogie dimostrative né ad accademismi rappresentativi di nessuna sorta. Semmai c’è qualche caduta non del tutto perdonabile nel poeticismo, specialmente quanto la sceneggiatura cerca di superare i pregiudizi etnici usufruendo di versi certamente suggestivi e soavi ma non privi d’una certa ruffianeria illustrativa che sa un po’ di artificioso. Ma è solo una delle poche pecche di un piccolo capolavoro di nicchia che sa farsi apprezzare anche dal critico più esigente e intransigente per la bellezza della messinscena, la fotografia toccante e sognante (curata da Luca Bigazzi) e la regia che, pur mantenendosi dentro una sobrietà ricercata e ammirevole, racconta episodi di vita vissuta e di sofferenza con una maestria che sfiora il sublime, accennando a temi particolarmente alti come la fiducia nel diverso e l’accettazione degli amici per come sono. Segre centra pienamente il bersaglio e merita un dieci e lode come regista, perché non è facile passare dal documentario alla finzione filmica con facilità, e lui ha saputo superare questo complesso passaggio con la bravura di un cineasta navigato che conosce più o meno tutte le forme di espressione che la settima arte fornisce a chiunque voglia praticarla come professione. Z. Tao è perfetta nell’interpretare la dolce e sensibile barista cinese che scrive lettere al figliolo lontano sperando di riabbracciarlo presto (come poi accade) e impara l’italiano basilare per sapersi destreggiare coi coloriti avventori del bar in cui esercita (i sottotitoli in italiano sono stati adoperati tanto per i dialoghi in cinese quanto per i discorsi che si svolgono in stretto vernacolo veneto), mentre R. Serbedzija (già apparso in produzioni importanti come La tregua e Eyes Wide Shut) incarna con amore, passione e simpatia immacolata un personaggio per certi versi contraddittorio ma senza dubbio adorabile per la veridicità dei suoi sentimenti e il suo desiderio di diversificarsi dalla comune ignoranza e di dissociarsi dalla violenza consueta proprio agli intolleranti, ai leghisti e a chiunque professi pregiudizi razziali. L’andamento della pellicola è generalmente tranquillo e pacifico, e s’infiamma solo due volte (e questa pacatezza è un punto enorme a suo favore): nella scena della rissa all’ingresso del bar e nel finale, in cui la morte costituisce un paradossale punto d’aggancio fra il defunto Bepi e Li, rinsaldando e riconfermando ulteriormente quell’amicizia che ha affrontato e sfidato a viso aperto quelle carogne (sia italiane che straniere) atte a contrastare e dividere due individui splendidamente umani che insieme potevano risultare estremamente scomodi. David di Donatello alla Tao per la migliore attrice protagonista e per il migliore film dell’Unione Europea. Il pubblico non ha premiato in maniera saliente questo film con un successo quantomeno decente, ed è un vero peccato, perché si tratta di un lavoro di prim’ordine che andrebbe propagato come minimo per insegnare agli omofobi più cocciuti come si fa a farsi migliorare e arricchire dalle diversità.
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sandro palombella
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lunedì 31 marzo 2014
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un grande film italiano!
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E’ uno dei film italiani più interessanti sul tema dell’immigrazione. Coinvolgente, poetico ed emozionante, racconta con delicatezza la storia di Shun Li e di Bepi. La prima viene trasferita a Chioggia, una piccola cittadina della laguna veneta, per lavorare come barista in un’osteria. Le sue condizioni di lavoro sono al limite della schiavitù: non può fare amicizia con persone non cinesi e tira avanti con il solo scopo di raccogliere i soldi necessari per far venire in Italia suo figlio. Bepi, invece, è un pescatore di origini slave, soprannominato dagli amici “il Poeta”, da anni frequenta quella piccola osteria. Il loro incontro è una fuga poetica dalla solitudine, un dialogo silenzioso tra culture diverse, ma non più lontane.
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E’ uno dei film italiani più interessanti sul tema dell’immigrazione. Coinvolgente, poetico ed emozionante, racconta con delicatezza la storia di Shun Li e di Bepi. La prima viene trasferita a Chioggia, una piccola cittadina della laguna veneta, per lavorare come barista in un’osteria. Le sue condizioni di lavoro sono al limite della schiavitù: non può fare amicizia con persone non cinesi e tira avanti con il solo scopo di raccogliere i soldi necessari per far venire in Italia suo figlio. Bepi, invece, è un pescatore di origini slave, soprannominato dagli amici “il Poeta”, da anni frequenta quella piccola osteria. Il loro incontro è una fuga poetica dalla solitudine, un dialogo silenzioso tra culture diverse, ma non più lontane. È un viaggio nel cuore profondo di una laguna, che sa essere madre e culla di identità mai immobili. Ma l’amicizia tra Shun Li e Bepi turba le due comunità, quella cinese e quella chioggiotta, che ostacolano questo nuovo viaggio, di cui forse hanno semplicemente ancora troppa paura. Più riuscito del film di Crialese Terraferma. Splendida la fotografia di una Chioggia plumbea e melanconica.
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alessandro vanin
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martedì 24 dicembre 2013
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un piccolo capolavoro
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Io sono Li è un bellisissimo film ambientato nella laguna di Chioggia immersa in una nebbia senza tempo dove però col bar gestito dai cinesi si nota che il mondo che cambia. Putroppo la tenera amicizia tra Li e Bepi viene ostacolata sia dai molti cinesi che da molti italiani. Bravi tutti gli attori Zao Tao, Rade Sherbedgia. Roberto Citran, Marco Paolini, Giuseppe Battiston (in un inconsueto ruolo di cattivo) e Andrea Pennacchi Splendida la fotografia di Luca Bigazzi Un piccolo capolavoro
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no_data
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venerdì 13 dicembre 2013
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italia-cina made in italy
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Italia-Cina... made in Italy
Di questi giorni ci si aspettava scene di schiavitù!
Però le emozioni pervadono le scene - peraltro una bella fotografia - e sembra che sbocci l'amore, ma non ci sono le condizioni.
E' una storia dei nostri giorni che riecheggia in senso opposto le storie di otto secoli fa. Insomma una questione antropologica!
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no_data
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sabato 7 settembre 2013
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ottimo film
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cavatore
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venerdì 9 agosto 2013
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semplicità e umanità non sono ingenuità, ma coragg
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Stupisce leggere recensioni mediocri su questo film.
Evidentemente i censori hanno visto questo capolavoro senza aprire il canale che dagli occhi passa all'anima.
Atteggiamento ormai molto diffuso, purtroppo, il cinismo e l'aridità conquistano sempre più seguito, ma chi è ancora capace di aprirsi alla commozione non deve perderlo.
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