Io sono Li |
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Un film di Andrea Segre.
Con Zhao Tao, Rade Serbedzija, Marco Paolini, Roberto Citran, Giuseppe Battiston.
continua»
Drammatico,
durata 100 min.
- Francia, Italia 2011.
- Parthénos
uscita venerdì 23 settembre 2011.
MYMONETRO
Io sono Li ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |
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La laguna di Chioggia come sfondo a quest'esordio.
di Great StevenFeedback: |
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lunedì 5 gennaio 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
IO SONO LI (IT/FR, 2011) diretto da ANDREA SEGRE. Interpretato da ZHAO TAO, RADE SERBEDZIJA, MARCO PAOLINI, GIUSEPPE BATTISTON, ROBERTO CITRAN
Esordio nella fiction di Segre, prolifico documentarista veneto dal 2003, e un debutto così dovrebbe essere consigliabile a qualunque cineasta, affermato o meno, intenzionato a buttarsi nel progetto, più ambizioso di quanto si creda comunemente, di dirigere una storia narrativa in immagini audiovisive. Protagonista del film è Shun Li, colta operaia cinese che emigra a Chioggia dove va a lavorare in un bar vicino alla costa adriatica. Viene subito sfruttata e ricattata dai capi della comunità asiatica locale per farle firmare i permessi che le consentano di far approdare in Italia l’amatissimo figlioletto di otto anni. Non è ben vista nemmeno dagli abituali frequentatori del locale, tranne da uno: lo sloveno Bepi, che da trent’anni risiede nella cittadina veneta, dove fa il pescatore usando grandissime reti e si diletta in componimenti poetici. Nasce fra Li e Bepi un’amicizia sincera ed intensa, ma entrambe le comunità cercano ostinatamente di osteggiare questo rapporto, finché Bepi, trasferitosi da un parente presso una cascina campestre, muore di malattia. Per Li è un colpo allo stomaco di una portata insopportabile, tanto che decide di incendiare la palafitta che il pescatore di origini slovene utilizzava come rifugio per il pesce appena pescato. Un’opera che racconta di una relazione platonica fra un uomo e una donna (ha qualche cosa in comune, in questo senso, col film di Sofia Coppola Lost in Translation – L’amore tradotto, del 2003), la quale fa da promotore eccezionale e straordinario ad una critica al razzismo fra bianchi e cinesi (e qui salta all’occhio un ulteriore richiamo cinematografico, e precisamente al capolavoro di Clint Eastwood Gran Torino, uscito nel 2008), senza ricorrere a demagogie dimostrative né ad accademismi rappresentativi di nessuna sorta. Semmai c’è qualche caduta non del tutto perdonabile nel poeticismo, specialmente quanto la sceneggiatura cerca di superare i pregiudizi etnici usufruendo di versi certamente suggestivi e soavi ma non privi d’una certa ruffianeria illustrativa che sa un po’ di artificioso. Ma è solo una delle poche pecche di un piccolo capolavoro di nicchia che sa farsi apprezzare anche dal critico più esigente e intransigente per la bellezza della messinscena, la fotografia toccante e sognante (curata da Luca Bigazzi) e la regia che, pur mantenendosi dentro una sobrietà ricercata e ammirevole, racconta episodi di vita vissuta e di sofferenza con una maestria che sfiora il sublime, accennando a temi particolarmente alti come la fiducia nel diverso e l’accettazione degli amici per come sono. Segre centra pienamente il bersaglio e merita un dieci e lode come regista, perché non è facile passare dal documentario alla finzione filmica con facilità, e lui ha saputo superare questo complesso passaggio con la bravura di un cineasta navigato che conosce più o meno tutte le forme di espressione che la settima arte fornisce a chiunque voglia praticarla come professione. Z. Tao è perfetta nell’interpretare la dolce e sensibile barista cinese che scrive lettere al figliolo lontano sperando di riabbracciarlo presto (come poi accade) e impara l’italiano basilare per sapersi destreggiare coi coloriti avventori del bar in cui esercita (i sottotitoli in italiano sono stati adoperati tanto per i dialoghi in cinese quanto per i discorsi che si svolgono in stretto vernacolo veneto), mentre R. Serbedzija (già apparso in produzioni importanti come La tregua e Eyes Wide Shut) incarna con amore, passione e simpatia immacolata un personaggio per certi versi contraddittorio ma senza dubbio adorabile per la veridicità dei suoi sentimenti e il suo desiderio di diversificarsi dalla comune ignoranza e di dissociarsi dalla violenza consueta proprio agli intolleranti, ai leghisti e a chiunque professi pregiudizi razziali. L’andamento della pellicola è generalmente tranquillo e pacifico, e s’infiamma solo due volte (e questa pacatezza è un punto enorme a suo favore): nella scena della rissa all’ingresso del bar e nel finale, in cui la morte costituisce un paradossale punto d’aggancio fra il defunto Bepi e Li, rinsaldando e riconfermando ulteriormente quell’amicizia che ha affrontato e sfidato a viso aperto quelle carogne (sia italiane che straniere) atte a contrastare e dividere due individui splendidamente umani che insieme potevano risultare estremamente scomodi. David di Donatello alla Tao per la migliore attrice protagonista e per il migliore film dell’Unione Europea. Il pubblico non ha premiato in maniera saliente questo film con un successo quantomeno decente, ed è un vero peccato, perché si tratta di un lavoro di prim’ordine che andrebbe propagato come minimo per insegnare agli omofobi più cocciuti come si fa a farsi migliorare e arricchire dalle diversità.
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