writer58
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domenica 30 ottobre 2011
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eros e thanatos
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Il film "Faust" del regista russo Sokurov, opera conclusiva di una tetralogia dedicata al potere, mi ha lasciato impressioni contrastanti: mi è parso un lavoro eccezionale da un punto di vista pittorico, un insieme di quadri potenti che paiono mutuati dalla scuola fiamminga, con particolare riferimento a Peter Bruegel "il vecchio" -alcune sequenze appaiono riprese da composizioni come "Il trionfo della morte" e "La torre di Babele" sia nella rappresentazione degli ambienti, sia nell’affollamento dei corpi quasi sovrapposti e ammucchiati gli uni sugli altri- e che esprimono con straordinaria pregnanza una sensazione di disfacimento e morte incombenti. Tuttavia, al di là di questi meriti incontestabili, a cui va aggiunta la ricostruzione visionaria di una Germania tardo settecentesca che pare la parente stretta di quella medioevale e che contiene molteplici segni di dissoluzione –dalle foglie morte che tappezzano i sentieri di campagna, ai corpi straziati dalle autopsie, alle strade fangose e claustrofobiche-, la pellicola mi è parsa tuttavia una proposta difficilmente assimilabile, che oppone resistenza al piacere della visione.
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Il film "Faust" del regista russo Sokurov, opera conclusiva di una tetralogia dedicata al potere, mi ha lasciato impressioni contrastanti: mi è parso un lavoro eccezionale da un punto di vista pittorico, un insieme di quadri potenti che paiono mutuati dalla scuola fiamminga, con particolare riferimento a Peter Bruegel "il vecchio" -alcune sequenze appaiono riprese da composizioni come "Il trionfo della morte" e "La torre di Babele" sia nella rappresentazione degli ambienti, sia nell’affollamento dei corpi quasi sovrapposti e ammucchiati gli uni sugli altri- e che esprimono con straordinaria pregnanza una sensazione di disfacimento e morte incombenti. Tuttavia, al di là di questi meriti incontestabili, a cui va aggiunta la ricostruzione visionaria di una Germania tardo settecentesca che pare la parente stretta di quella medioevale e che contiene molteplici segni di dissoluzione –dalle foglie morte che tappezzano i sentieri di campagna, ai corpi straziati dalle autopsie, alle strade fangose e claustrofobiche-, la pellicola mi è parsa tuttavia una proposta difficilmente assimilabile, che oppone resistenza al piacere della visione.
Il "Faust" di Sokurov sembra immerso in un odore fetido che avvolge come una cappa mefitica la vicenda narrata: i personaggi paiono in lotta costante per occupare uno spazio privilegiato sullo schermo, sono impegnati nell’attraversare spazi angusti da cui riemergono a fatica, la ricerca di conoscenza e la fame di sensazioni del protagonista assomiglia alla battaglia per la sopravvivenza di un animale impegnato a contendere una carogna ad altri predatori.
Lo stesso Mefistofele è rappresentato come un essere deforme, privo di sesso, con un codino attorcigliato posto tra le natiche, impregnato di sporcizia e attratto dalle immagini sacre che bacia lubricamente sulla bocca. Il patto col diavolo (l’anima in cambio di una nottata d’amore con la bella Gretchen) sembra depotenziare l’aspirazione di Faust verso l’infinito e la conoscenza e ridurre la sua ricerca all’ambito della materia e dei piaceri della carne.
Il film rappresenta efficacemente questa pulsione famelica e repellente (Eros e Thanatos fusi insieme all’interno dello stesso orizzonte vitale, la perdizione come unico strumento per accedere all’assoluto), ma, nel farlo, costruisce un congegno che seduce l’occhio e insieme allontana lo spettatore, come se l’autore ci proponesse uno specchio che restituisce un’immagine deformata e ripugnante di ciascuno di noi.
Nessun valutazione in stellette, il film non si presta a giudizi estetici standardizzati.
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(di pepito1948)
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osteriacinematografo
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giovedì 9 febbraio 2012
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delirante viaggio nell'abisso dell'anima
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Il Faust di Sokurov è un’opera maestosa, devastante, che rimane incollata alle sinapsi di chi ne asseconda le mosse. Il film è l’ultima parte della tetralogia (Moloch-Taurus-Il sole-Faust) del regista russo, e, per quanto rappresenti probabilmente il minimo comune denominatore dell’opera nel suo complesso, ha una vita e un respiro propri, peraltro intensissimi.
Faust è un dottore, uno scienziato ottocentesco di cui non si riconoscono i meriti; il suo studio è in realtà una lercia macelleria; vive e si muove nell’indigenza, nella sudicia lordura di tuguri freddi e cadenti, e la sua professione mal pagata non è sufficiente a sfamarlo e sopravvivere.
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Il Faust di Sokurov è un’opera maestosa, devastante, che rimane incollata alle sinapsi di chi ne asseconda le mosse. Il film è l’ultima parte della tetralogia (Moloch-Taurus-Il sole-Faust) del regista russo, e, per quanto rappresenti probabilmente il minimo comune denominatore dell’opera nel suo complesso, ha una vita e un respiro propri, peraltro intensissimi.
Faust è un dottore, uno scienziato ottocentesco di cui non si riconoscono i meriti; il suo studio è in realtà una lercia macelleria; vive e si muove nell’indigenza, nella sudicia lordura di tuguri freddi e cadenti, e la sua professione mal pagata non è sufficiente a sfamarlo e sopravvivere.
Faust conosce profondamente la scienza medica, ma la sua sete di sapere è implacabile, e si tramuta in oscura inquietudine, nel momento in cui perde il senso dell’esistenza , smarrendo se stesso e la propria integrità morale; i suoi movimenti d’improvviso non si placano più, quasi fossero premonitori di un futuro di dannazione.
Faust incontra così l’usuraio, un deforme, strisciante e terreno Mefistofele, che insinua il male nella mente del dottore, senza compiere nulla di sovrannaturale, ma semplicemente utilizzando i trucchi del miglior illusionista e suggerendo in modo infido idee, atteggiamenti a chi li stava già maturando.
Il male e l’inferno di Sokurov si sviluppano in terra, sono il frutto del malevolo approccio culturale delle persone alla vita, persone cui spesso è sufficiente un buon complice o un valido pretesto per porre in essere quegli atti che la viltà non consentirebbe loro di sviluppare autonomamente.
E così Faust segue lo spregevole usuraio fra i vicoli labirintici di strutture fatiscenti, fra sentieri e selciati che si accavallano e si moltiplicano incessantemente, su e giù per ripide ed umide scale in pietra che sembrano avere una continuità insolubile e pari alla brama del dottore. Quelle costruzioni claustrofobiche, tumultuose, nauseanti provocano un senso di smarrimento, un impatto visivo di tale potenza da disturbare l’equilibrio e la respirazione dello spettatore. Quelle stesse strutture ammassate rappresentano forse la coscienza di Faust, il contorto percorso esistenziale che egli compie dentro di sé, fino a non scorgere più il punto di partenza, fino a perdersi nel delirio e nella corruzione che guadagnano terreno mattone dopo mattone, sequenza dopo sequenza.
Faust uccide un uomo, armato dal purulento aguzzino, s’invaghisce di Margaret, sorella della vittima, e il suo desiderio si trasforma e cresce esponenzialmente, fino a divenire incontrollabile, l’unico motivo possibile, l’eterno, implacabile tormento, un mostro tale da valere l’anima stessa, che il dottore vende all’usuraio, cedendo all’eterna depravazione.
Più si sprofonda nell’abisso della perdita di sé, e più le immagini si fanno distorte, e la messa a fuoco cede spazio ai contorni sghembi di un Faust allucinato, avvelenato da una overdose della sua stessa brama. I colori tetri e le tinte fosche sostengono la frenesia di discesa del protagonista, e il filtro giallo e quasi sulfureo riempie lo spazio -rotto soltanto dalla luce della vacillante innocenza di Margaret- e invade il campo visivo, calando su di esso come un abbraccio mortifero.
Il paesaggio assume contorni danteschi, e l’inferno in terra di Sokurov s’inoltra senza sosta fra rocce e geyser, mentre la coscienza e l’anima di Faust si protendono verso la prospettiva di un vagabondaggio solitario, liquefacendosi e sfumando oltre l’orizzonte di un eterno e incontrovertibile errare.
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rosmersholm
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sabato 5 novembre 2011
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Il valore del film di Sokurov non sta nel "messaggio". E dubito fortemente che abbia senso analizzarerne in questo senso il plot. Qualcuno paragona il film ai suoi precedenti letterari che utilizzano il linguaggio scritto. Quello di Sokurov non è un libro ma un'opera d'arte audiovisiva che utilizza un linguaggio specifico che è il senso profondo dell'opera stessa. Se si cerca di decifrarlo da un punto di vista "filosofico" si commette un errore d'ingenuità. L'immagine e il suono dell'opera, i suoi colori, fotografia, montaggio, ecc. trasmettono un'emozione fisica, dire quasi espressionistica, che travalica la ricerca di un significato razionale. Ci si deve porre di fronte ad un'opera come questa, come di fronte ad un quadro o, se vuole, come all'ascolto di di una grande musica (magari contemporanea).
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Il valore del film di Sokurov non sta nel "messaggio". E dubito fortemente che abbia senso analizzarerne in questo senso il plot. Qualcuno paragona il film ai suoi precedenti letterari che utilizzano il linguaggio scritto. Quello di Sokurov non è un libro ma un'opera d'arte audiovisiva che utilizza un linguaggio specifico che è il senso profondo dell'opera stessa. Se si cerca di decifrarlo da un punto di vista "filosofico" si commette un errore d'ingenuità. L'immagine e il suono dell'opera, i suoi colori, fotografia, montaggio, ecc. trasmettono un'emozione fisica, dire quasi espressionistica, che travalica la ricerca di un significato razionale. Ci si deve porre di fronte ad un'opera come questa, come di fronte ad un quadro o, se vuole, come all'ascolto di di una grande musica (magari contemporanea). La sensazione di disagio, fatica, angoscia con la quale si esce dalla visione del film, quasi che ci si senta invasi e fisicamente sporcati da esso, sono il segnale della sua grandezza. Nessun "messaggio" (per quello bastano le tante schifezze italiane). Bisogna lasciare crescere il film dentro di noi, lo si può rivedere, se si vuole rileggendo qualche antecedente letterario. Ma non si chieda ad un opera d'arte cinematografica come questa di adempiere alla stessa funzione di una fiction o di un libro...
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flavia58
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martedì 1 novembre 2011
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ni
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Sokurov ha posto in essere tutta la sapienza di un ottimo regista : dal taglio raffinato dell'inquadratura, alla scelta dei personaggi, all'atmosfera volutamente sospesa, alla polvere del tempo su di un tempo senza confini : il che trova precisi contrappunti in ambienti dove il Medioevo si stempera nell'Ottocento, per finire nel grunge post-atomico dei dialoghi finali. Per scene ed inquadrature le critiche hanno scomodato Bosch e Bruegel, ma vi si ravvisa dell'ossianico e l'evocazione degli scritti di Tolkien... In realtà Sokurov è un intellettuale e, come tale, sa attingere, non v'è dubbio. Quel che, a parer mio, lascia perplessi è il target "filosofico" (il messaggio): tutto è reso alla perfezione,soprattutto il senso di affastellamento fisico e mentale, di cose, persone, idee, sensazioni, tempo, spazio, simboleggiante il "grande scherzo" che è la vita, l'affannosa ricerca, da parte dell'uomo, di risposte, punti fermi, verità ed ordine del sapere.
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Sokurov ha posto in essere tutta la sapienza di un ottimo regista : dal taglio raffinato dell'inquadratura, alla scelta dei personaggi, all'atmosfera volutamente sospesa, alla polvere del tempo su di un tempo senza confini : il che trova precisi contrappunti in ambienti dove il Medioevo si stempera nell'Ottocento, per finire nel grunge post-atomico dei dialoghi finali. Per scene ed inquadrature le critiche hanno scomodato Bosch e Bruegel, ma vi si ravvisa dell'ossianico e l'evocazione degli scritti di Tolkien... In realtà Sokurov è un intellettuale e, come tale, sa attingere, non v'è dubbio. Quel che, a parer mio, lascia perplessi è il target "filosofico" (il messaggio): tutto è reso alla perfezione,soprattutto il senso di affastellamento fisico e mentale, di cose, persone, idee, sensazioni, tempo, spazio, simboleggiante il "grande scherzo" che è la vita, l'affannosa ricerca, da parte dell'uomo, di risposte, punti fermi, verità ed ordine del sapere.
Io che non sono un'intellettuale mi chiedo se quest'opera, tecnicamente e stilisticamente così virtuosa, aggiunge qualcosa alla ricerca speculativa stessa, e non ponga piuttosto lo spettatore tra due terribili pareti : il nichilismo e lo sconforto di una strada senza uscita. Il gioco ruffiano della luce e dei colori polverosi sottolineano questa colossale sparizione dei contorni, la totale ambivalenza del tutto, l'abbacinamento dell'impotenza. In un momento storico come quello attuale c'è da chiedersi se un intellettuale debba impiegare tanto sforzo alla rappresentazione del nulla.
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[+] ottima recensione
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[+] nichilismo e disperazione
(di pepito1948)
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[+] un mondo che si rispecchia in una lavagna oscura
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[+] è la terza volta che provo a lascirti un messaggio
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sblob
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venerdì 4 novembre 2011
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un pippone sì ma magnifico
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Comincia con il sesso maschile, un pene avvizzito e grigio di un cadavere nel cui corpo tra le viscere le mani di Faust scavano avidamente. Termina con il sesso femminile, una pallida vagina coperta da peluria dorata di una giovane vergine e di nuovo le mani di Faust che esplorano il candido ventre con insaziabile bramosia. Al centro sta il corpo sgraziato e privo di sesso appartenente a questa sottospecie di Mefistofele aguzzino e usuraio che si trascina dietro l'inconsolabile Faust in una lunga marcia, un pellegrinaggio, un'interminabile salita al Calvario le cui stazioni sono contrassegnate dalle pulsioni umane.
Il colore della pellicola è tutto sui toni freddi, è sinistro, sulfureo.
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Comincia con il sesso maschile, un pene avvizzito e grigio di un cadavere nel cui corpo tra le viscere le mani di Faust scavano avidamente. Termina con il sesso femminile, una pallida vagina coperta da peluria dorata di una giovane vergine e di nuovo le mani di Faust che esplorano il candido ventre con insaziabile bramosia. Al centro sta il corpo sgraziato e privo di sesso appartenente a questa sottospecie di Mefistofele aguzzino e usuraio che si trascina dietro l'inconsolabile Faust in una lunga marcia, un pellegrinaggio, un'interminabile salita al Calvario le cui stazioni sono contrassegnate dalle pulsioni umane.
Il colore della pellicola è tutto sui toni freddi, è sinistro, sulfureo. Se dallo schermo emanasse un odore sarebbe quello dello zolfo, dei gas intestinali, degli aliti mefitici, dei corpi in decomposizione e delle camere da letto che non hanno preso aria. Soltanto in Margherita c'è colore e luce, soprattutto luce, una luce intensa, abbagliante forse unica possibilità di avere una risposta certa, la soddisfazione di una fame vorace, l'appagamento di un desiderio di infinita conoscenza che è negata all'uomo costretto tra un inizio e una fine. Come i vicoli angusti, dove Faust si ritrova schiacciato tra la gente, le uscite farsesche dei soliti burloni che si incastrano sull'uscio di casa senza decidersi a dare la precedenza a uno di loro, oppure infine come lo stretto passaggio nella natural burella del bellissimo paesaggio vulcanico dove il lungo cammino di Faust troverà compimento.
E all'ingresso della sala cinematografica non ci starebbe male un cartello con su scritto: lasciate ogni speranza voi ch'entrate perché non si può affrontare a cuor leggero il Faust di Goethe unito alla direzione di Sokurov. Se nel leggere l'opera di Goethe ci si affida alla guida di un abile narratore, nel caso del film di Sokurov ci si deve abbandonare nostro malgrado alla guida di un demonietto isterico e inarrestabile per un tortuoso e sporco, lurido girovagare. Non è certo come la visita all' Ermitage in Arca russa dove ad accompagnare il visitatore tra le sale e le epoche era un eccentrico ma quantomeno gestibile diplomatico russo. Qui bisogna fare i conti con gli sbalzi umorali di un personaggio che ricorda il Gollum di Tolkien (il mio tesssoro per essere chiari). Non è cosa da poco e non facilita il fatto che il regista russo operi un po' di maniera, ma la ricchezza estetica e la potenza visiva delle immagini ripaga della fatica fatta e, come per tutte le grandi opere, il senso si ottiene dal tutto, non dalla giustapposizione in sequenza di eventi e azioni. Perché aspettare che sia finito il film prima di uscire? Perché il paesaggio islandese del finale è una goduria immensa tra ribollire di sorgenti termali, spruzzi di geyser e l'infinito landscape glaciale.
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omero sala
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giovedì 1 dicembre 2011
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spiazzante, disagevole, inquietante, duro, livido,
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Fin dalle prime inquadrature l’impatto è sconcertante: la cinepresa spazia nel cielo infinito e plana lentamente sopra una fumosa città annidata in un vallone compresso fra un mare grigio e una montagna ferrigna, scivola fra i muri scrostati di una strada tortuosa, penetra in un tugurio sordido e freddo, indugia sul dettaglio del pene bluastro di un cadavere in decomposizione che Faust sta dissezionando mentre spiega al suo importuno discepolo che fra quei visceri maleodoranti non può trovare spazio l’anima.
Tutto il film si snoda poi in spazi opprimenti, fra straducole strette, portici e sottopassi bui, piazze inclinate, passaggi angusti (con corpi che si accalcano), case sghembe, stanze strette e basse ingombre di masserizie inutili e popolate da un brulicume di topi, scale avvitate e ripide, porte sospese che si aprono nel vuoto.
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Fin dalle prime inquadrature l’impatto è sconcertante: la cinepresa spazia nel cielo infinito e plana lentamente sopra una fumosa città annidata in un vallone compresso fra un mare grigio e una montagna ferrigna, scivola fra i muri scrostati di una strada tortuosa, penetra in un tugurio sordido e freddo, indugia sul dettaglio del pene bluastro di un cadavere in decomposizione che Faust sta dissezionando mentre spiega al suo importuno discepolo che fra quei visceri maleodoranti non può trovare spazio l’anima.
Tutto il film si snoda poi in spazi opprimenti, fra straducole strette, portici e sottopassi bui, piazze inclinate, passaggi angusti (con corpi che si accalcano), case sghembe, stanze strette e basse ingombre di masserizie inutili e popolate da un brulicume di topi, scale avvitate e ripide, porte sospese che si aprono nel vuoto.
Ad accrescere il disagio ci sono le scelte registiche con inquadrature storte, piani obliqui, movimenti di macchina confusi, deformazioni ottiche, sfuocature, viraggi verso un monocromo verde marcio, primi piani esasperanti. I personaggi si accalcano nel quadro (quattro terzi) e lo riempiono accavallandosi spesso innaturalmente gli uni sugli altri, indaffarati in movimenti e gesti inutili e collocati in una contiguità imbarazzante, in una continua ressa confusa, in una puzzolente promiscuità greve e tetra che mette a disagio e suscita repulsione. I gesti e le posture sono innaturali. I dialoghi sono incongruenti, le riflessioni illogiche, i vaniloqui incomprensibili e vani, i discorsi - infarciti di teatrali e innaturali citazioni goethiane - appaiono assurdi, improbabili, scoordinati.
Quando si esce dall’opprimente atmosfera della città, ci si ritrova in lande spoglie, boschi contorti e nudi, forre selvagge, pietraie tetri, valloni opprimenti e claustrofobici. La sensazione di gelo è persistente e assoluta: l’unico elemento di calore che ritroviamo in centotrentaquattro minuti di terrificante freddo è dato dalle immagini infernali di un geyser che vomita getti di acqua calda inutili nella desolazione di un paesaggio polare.
Una sequenza dopo l’altra, anche lo spettatore viene risucchiato in quella atmosfera persistente di lividume freddo e si ritrova immerso al punto di percepire fisicamente il gelo e il lerciume, la fame e la nausea, il disagio e l’angoscia.
Faust attraversa la sua dolorosa vicenda sbigottito, senza i furori tragici e la pulsione eroica che gli assegna il suo mitizzato epos. Ha la fame materiale del pane e della carne, non quella cerebrale della conoscenza assoluta; non ha la sete astratta del veder realizzati i suoi immateriali ideali politici, morali ed estetici, ma viene mosso dalla sete fisica del corpo liscio e caldo di una donna, incerto fra la carnalità e l’idealizzazione, fra la trasfigurazione solarizzata della passione e la curiosità dell’ispezione vaginale.
La tentazione - a fine spettacolo - è quella di cercare rimandi, ispirazioni, maestri.
Viene in mente - confusamente - il cinema di Murnau e di Dreyer, ma anche quello di Ingmar Bergmane Tarkovskij; i quadri di Jan Wermeer, Hieronymus Bosch e Pieter Bruegel il Vecchio; e la Commedia di Dante.
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[+] splendidi aggettivi anche se nella loro negatività
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g. romagna
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martedì 27 marzo 2012
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faust
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Faust, medico indigente, è un uomo che si interroga su Dio, sulla morte, sull'essenza del bene e del male. Non sa trovare prospettiva in vita, non sa dare un senso a ciò che vede e nemmeno le Sacre Scritture riescono a dargli risposta. Un giorno, recatosi da un usuraio per dare in pegno un anello, conosce un uomo, che si rivela essere un demone inviato da Satana (Mefistofele, secondo il racconto di Goethe) per prendersi cura di lui. Incomincia qui il cammino di Faust lungo la via della scoperta del peccato e dell'esistenza di un senso e di una salvezza divina. In una rissa in osteria, Faust uccide inavvertitamente un soldato, poi si innamora della sorella. Ella viene a sapere che Faust è l'omicida, ma l'attrazione tra i due permane.
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Faust, medico indigente, è un uomo che si interroga su Dio, sulla morte, sull'essenza del bene e del male. Non sa trovare prospettiva in vita, non sa dare un senso a ciò che vede e nemmeno le Sacre Scritture riescono a dargli risposta. Un giorno, recatosi da un usuraio per dare in pegno un anello, conosce un uomo, che si rivela essere un demone inviato da Satana (Mefistofele, secondo il racconto di Goethe) per prendersi cura di lui. Incomincia qui il cammino di Faust lungo la via della scoperta del peccato e dell'esistenza di un senso e di una salvezza divina. In una rissa in osteria, Faust uccide inavvertitamente un soldato, poi si innamora della sorella. Ella viene a sapere che Faust è l'omicida, ma l'attrazione tra i due permane. Il demone nel mentre osserva, e provvede a tessere le sue trame... Un film tanto difficile quanto meraviglioso, in cui il tema del bene e del male, del peccato, della redenzione e della salvezza divina vengono elevati con una sensibilità ed una profondità teologica con pochi eguali nella storia del cinema (forse solo Il Settimo Sigillo di Bergman). Sia Faust che Margarete (la donna di cui si innamora) odiano la propria madre: ella la odia per il suo atteggiamento dispotico volto a mantenere la figlia lontana dal peccato, ma, per contrappasso, proprio da tale comportamento sorge il peccato, il non onorare la propria genitrice, come il quinto comandamento prescrive. La fede è amore, e "l'amore non conosce dovere", come lo stesso Faust le dice. Per il protagonista invece è dal peccato che nasce l'amore, dall'omicidio. Ma è un vero peccato? No, perchè l'uccisione è fortuita, è Satana stesso a tenere tutto in mano. L'amore sorto da questo evento, benchè creato ad hoc dal demonio, può non corrompersi: i due si incontrano, ella dice di sapere che è stato Faust ad uccidere il fratello e, prima dell'annuncio entrambi vengono pervasi, in una scena meravigliosa, da una grande luce: è il segno che tra i due può sorgere un vero amore, privo di doveri, un amore che sia redenzione. E' il demone però che ormai tiene in mano tutto, e sul sentimento prevale il desiderio carnale, la voglia di possederla per una sola notte, per soddisfare la quale Faust decide di vendere definitivamente la propria anima al diavolo. Non c'è più salvezza, i due si prendono, si stringono, precipitano nell'acqua, quell'acqua che scoppia in un geyser al termine del film, a simboleggiare forse l'esplosione del peccato che ha portato alla perdizione. Faust a questo punto si illude di aver vinto sul demonio e sulla morte, di essersi elevato alla stregua di Dio, di essere divenuto Dio stesso, colui che tutta sa e tutto può, al punto tale da pensare di aver ucciso il demone. Pura illusione: è in realta il demonio che si è impadronito di lui, che lo ha fatto morire, che gli ha portato via la salvezza e lo ha reso dominatore del nulla, l'immenso nulla della morte con la cui raffigurazione si chiude la sua parabola. Un lavoro di una complessità estrema, che, come ogni opera complessa ben riuscita, si presta ad essere maneggiata con grande libertà interpretativa, a patto che si riesca a cogliere l'immenso sforzo che si cela nello studio di qualsiasi dettaglio che il regista ha compiuto. La telecamera scorre, distorce, illumina od oscura in accordo con l'atmosfera del momento, e Sokurov la usa come un pennello, dipingendo ad ogni fotogramma un quadro che si fa opera d'arte a sè stante, come già aveva sperimentato in Madre e Figlio. Maestoso.
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[+] complimenti quoto
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maria cristina nascosi sandri
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martedì 13 dicembre 2011
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un uhr-faust cinematografico
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Il FAUST di Sokurov,
Leone d’oro 2011 a Venezia, finalmente nelle sale
di Maria Cristina NASCOSI SANDRI
Arriva finalmente nelle sale l’ultimo capolavoro, in ordine di tempo, di Aleksandr Sokurov, quello che chiude una tetralogia di grande valore, tema gli effetti corruttivi del Potere, iniziata con gli studi di Adolf Hitler ("Moloch", 1999), proseguita con Vladimir Lenin ("Il Toro", 2000) e l’imperatore giapponese Hirohito ("Il Sole", 2004).
L’opera è ispirata, più o meno liberamente, all’uhr-Faust di Goethe, il Faust ‘primario, originale’, benché, in ordine di tempo, il primo grande testo sull’argomento, risalga a quasi due secoli prima, di mano di Christopher Marlowe, il grande antagonista (o alter ego? ) contemporaneo di Shakespeare: entrambi erano nati, infatti, nel 1564.
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Il FAUST di Sokurov,
Leone d’oro 2011 a Venezia, finalmente nelle sale
di Maria Cristina NASCOSI SANDRI
Arriva finalmente nelle sale l’ultimo capolavoro, in ordine di tempo, di Aleksandr Sokurov, quello che chiude una tetralogia di grande valore, tema gli effetti corruttivi del Potere, iniziata con gli studi di Adolf Hitler ("Moloch", 1999), proseguita con Vladimir Lenin ("Il Toro", 2000) e l’imperatore giapponese Hirohito ("Il Sole", 2004).
L’opera è ispirata, più o meno liberamente, all’uhr-Faust di Goethe, il Faust ‘primario, originale’, benché, in ordine di tempo, il primo grande testo sull’argomento, risalga a quasi due secoli prima, di mano di Christopher Marlowe, il grande antagonista (o alter ego? ) contemporaneo di Shakespeare: entrambi erano nati, infatti, nel 1564.
Leone d’oro all’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Faust è poesia per gli occhi, raffinatezza recitativa di grande impatto.
Negli intenti del regista - che lo ha dichiarato in conferenza stampa a Venezia, la sera della vittoria – il film riflette gli sforzi continuati da parte sua, tramite un ‘tema classico’ quanto mai, quello dell’uomo che patteggia col demonio per il raggiungimento della Conoscenza, di comprendere l’essere umano, le sue forze interiori ed i suoi lati più oscuri.
Grande era il timore di Sokurov per l’uscita nelle sale non solo italiane, timore, per fortuna, rivelatosi infondato.
Girato nei castelli della Repubblica Ceca, ed in Islanda, Faust è interpretato da attori tedeschi per precisi intenti filologico - performativi del regista.
Davvero un capo d’opera da non perdere.
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toro sgualcito
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domenica 13 novembre 2011
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lento con strettoie, andante diabolico con fetori
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Entrare nel Faust di Sokurof è come entrare in una di quelle grigie budella che, nel film, il dr.Faust estrae da un cadavere per le sue ricerche sul corpo umano. Corpo, inteso come materia biologica orizzontale: il cervello al pari di una scoreggia sono elementi di pari dignità scientifica. Il dr.Faust di Sokurof attorciglia il pensiero scientifico illuminista allo slancio romantico della ricerca di un riscatto che possa dare senso alla misera condizione umana. Infatti la ricerca della conoscenza della vita attraversa il film fino alla fine e le ultime parole che nel finale Sokurof fa gridare al dr.Faust ne sono testimonianza. Wagner, l'aiutante del dr.Faust, che invece cerca l'anima tra le viscere del corpo umano rimane intrappolato nel pensiero illuminista e si avvia alla disperazione.
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Entrare nel Faust di Sokurof è come entrare in una di quelle grigie budella che, nel film, il dr.Faust estrae da un cadavere per le sue ricerche sul corpo umano. Corpo, inteso come materia biologica orizzontale: il cervello al pari di una scoreggia sono elementi di pari dignità scientifica. Il dr.Faust di Sokurof attorciglia il pensiero scientifico illuminista allo slancio romantico della ricerca di un riscatto che possa dare senso alla misera condizione umana. Infatti la ricerca della conoscenza della vita attraversa il film fino alla fine e le ultime parole che nel finale Sokurof fa gridare al dr.Faust ne sono testimonianza. Wagner, l'aiutante del dr.Faust, che invece cerca l'anima tra le viscere del corpo umano rimane intrappolato nel pensiero illuminista e si avvia alla disperazione. Emblematica anche l'affermazione del dr.Faust "...pazienti curati a morte", riferendosi alle disumane cure che suo padre medico somministra gratuitamente ai poveri. Per questo film Sokurof sceglie il più pittorico formato 4:3 (più quadrato) e un cromatismo prevalentemente freddo, ma numerosi sono gli interventi sull'immagine. Belli i momenti nei quali allunga le immagini, le inclina o usa una sorta di effetto grandangolo ma solo ai bordi. Oppure satura, rallenta e sovraespone i fotogrammi. I richiami alla pittura sono evidenti, ma più che ai fiamminghi per l'iconografia lo accosterei alla pittura olandese del XXVIII sec.(es. Vermeer, Rembrandt) anche se il cromatismo lo sposta più avanti nel romanticismo: giusta contraddizione. Nella seconda metà il film diventa via via più intenso e anche più originale nello stile, Sokurof è più libero e a al film giova moltissimo. Le scene dell'incontro segreto tra il dr.Faust e Gretchen nella casa di lei sono un capolavoro. Purtroppo il resto del film resta su un tono più basso. Al di la del doppiaggio poco riuscito, i dialoghi mi sono parsi di livello inferiore al tenore della storia. Non è cosa da poco per un film così complesso. Molto bravi gli attori principali. La parte musicale resta piuttosto tradizionale, forse qualche idea in più questo film l'avrebbe meritata. Faust di Sokurof è un film originale, che evita il lirismo e con molta attenzione alle immagini. E nonostante l'opprimenza delle situazioni non si può parlare nemmeno di angoscia perché l'ironia lampeggia continuamente. Quando raccolgo il film tutto assieme però c'è sempre qualcosa che scivola via come le frattaglie che il dr.Faust estrae dalla pancia di un cadavere. Tuttavia merita certamente la visione e dona momenti di imprevista magia.
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weach
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venerdì 8 giugno 2012
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àgàpe del yin e dello yang
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a danza avvelenata del male ?
Il viaggio?
Seduti sui carboni ardenti?
Lontani dalla luce alla ricerca dell'anima?
Il movimento energetico proposto, a tratti, si condensa in immagini surreali ; in altri in dialoghi intensi e struggenti;altrove disperdendosi nelle vibrazioni musicali che interrompono silenzi ingombranti; manche in percorsi magici potenti. Opera da assaporare senza fretta , offrendo la nostra disponibilità , negandoci eccessive distrazione.
Preferisco immaginare la pellicola come " il viaggio"!!!!!!!!!
ll nostro.
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a danza avvelenata del male ?
Il viaggio?
Seduti sui carboni ardenti?
Lontani dalla luce alla ricerca dell'anima?
Il movimento energetico proposto, a tratti, si condensa in immagini surreali ; in altri in dialoghi intensi e struggenti;altrove disperdendosi nelle vibrazioni musicali che interrompono silenzi ingombranti; manche in percorsi magici potenti. Opera da assaporare senza fretta , offrendo la nostra disponibilità , negandoci eccessive distrazione.
Preferisco immaginare la pellicola come " il viaggio"!!!!!!!!!
ll nostro........viaggio dell' uomo è imprevisto, imprevedibile, pieno di trappole ;chi si addormenta nel viaggio non veda il film perché chi perderà l'attenzione e non potrà sopportare le pause introspettive proposte dalla regia.
Cercando di non banalizzare dobbiamo un tributo a questo grande regista russo per la sua forza interiore nell' andare contro corrente, con la determinazione di chi sempre è tentato dal capire, decifrare l'essenza della vita . Da questo mondo soporifero Sokurov vorrebbe risvegliarci !! Ma non siamo andati troppo lontani e ..........dentro una palude dove è oramai impossibile districarsi ?
Mentre si dipana il film , due anime differenti si confrontano quella pittorica estetica e quella filosofica introspettiva.
Quale prevale ? Nessuna delle due perché si compenetrano facendo vibrare nelle nostre coscienze un film che merita tutta la nostra attenzione e rispetto : complimenti .
Il faust di Aleksander Sokurov,libera trasposizione della tragedia di Johann Wolfgang Goethe ,é piuttosto incursione filosofica sulle aspettative dell'essere umano, rappresentate come qualcosa di veramente imperfetto come il mondo che lo permea.La scelta Aleksander Sokurov,nell'ambito della sua ricerca esistenziale sul potere , stigmatizza le dinamiche dell' essere umano che scivolano all'interno di un groviglio esistenziale .
Il contrasto della pellicola di Sokurov fra una ricerca estetica esasperata ed un ambientazione opaca, piena di sporcizia, quasi melmosa è la caratterizzazione che di primo acchito traspare del film .Ma è il gioco maligno, perfido,disperato ,nichilista il vero vestito del film .
Lo studio medico del dott. Faust è ,quasi stanza di tortura, con strumenti sacrificali tipici del medioevo, uno studio dove la morte e la violenza contaminano ogni inquadratura. Un Dio pervadente è ovunque come il suo interlocutore ossessivo Il diavolo,ma a volte abbiamo bisogno di totem ed ecco apparire il nostro diavolo personificato che assume le sembianze di un 'orribile vecchio deforme che elargisce comunque potere, di vita ,di morte e di ossessione .
La bruttezza e l'orrore del mondo che vengono rappresentati da Aleksander Sokurov, hanno in se un potente contenuto pittorico, molto studiato a tavolino , con una fotografia spesso surreale , onirica introspettiva.. Disse Aleksander Sokurov prima del festival di Venezia:"sarò a Venezia ma è un film transeuropeo...........essere in gara non era la mia massima aspirazione, trovo che la moderna competitività sia fuori dai miei canoni." ......".la vendita del film è importante..altrimenti non potrei continuare il discorso che ho già aperto con il pubblico.".......ancora ........"poi se aggiungiamo che è un film europeo, con attori europei e che racconta una storia europea, è logico che il pubblico sia parte integrante del progetto: parlo della loro storia. della filosofia e cultura."
Le interpretazioni esegetiche e teatrali dei protagonisti,una fotografia che predilige colori "tenebrosi",un 'angoscia funerea che non concede spazio all'ironia o al sentimento,una libera trasposizione della tragedia di Johann Wolfgang Goethe espressione della la profondità e personalità di una regia fuori dagli schemi e sempre libera nell' interpretare : tutte queste ingredienti fanno il film.
Il viaggio nella contaminazione dell'essere prosegue con intensità introspettiva lasciando lo spettatore appollaiato su se stesso nel tentativo di decifrare messaggi che la regia forse tiene ben celati: del resto la centralità dello spettatore che osserva e rielabora è la chiave unica per non far disperdere un'opere cinematografica.
La salvezza dell'anima si è persa inevitabilmente il nostro ex medico è oramai all'interno del suo girone dantesco.
Per concludere questo lavoro cinematografico è lontano da Faust di Goethe ,ma anche dalle filmografie che hanno caratterizzato la regia di Sokurov; come qualcuno ha detto è un poco un film "alieno " che tenta la su strada di leggere l'infinito contatto dell' uomo con la parte negativa di cui è parte, un contatto ,senza tempo, originale,dentro al viaggio dell' uomo che rende l'anima al diavolo.
Il tema del "Patto con il male" è stato ampiamente trattato in molte filmografie :vedi il dott. Parnassus l'uomo che voleva ingannare il diavolo Devil.s Advocate, Dorian Gray , oppure oppure Rosmarie Baby di Roman Polanski. La figura del diavolo ,Mr Nick., interpretata da uno speciale Tom Weit, non ha nulla da invidiare alle interpretazioni del maligno di Robert Deniro in Angel Hert né a quella di Pacino in "Devil's Advocate.
Preferiamo ricordare Parnassus l'uomo che voleva ingannare il diavolo,per la regia di Terry Gilliam , anche sceneggiatore unitamente a Charles McKeown, film che fu girato interamente fra Londra e Vancouver con un pieno di fantasia e creatività.
Ma come è il diavolo nel nostro Faust??
Affatto intrigante, per nulla accattivante.........Non ci tenta proprio: è solo oscuro ,onirico, destabilizzante , senza speranze, ha un lento incedere ossessivo .
Il Faust di Aleksander Sokurov ci ricordare che non siamo all'interno di una spettacolarizzazione del conflitto esistenziale dell'uomo ;piuttosto , al cospetto di una sorta di girone dantesco dove la speranza sembra perdere ogni senso:è una grande sofferta ricerca dentro.
Quindi ,con il giusto spirito di chi accetta di assaggiare il dolore , affrontiamo quest'opera che spero,non aumenti ulteriormente la nostra propensione al delirio.
Rivedo il giudizio espresso senza l'adeguata riflessione è lo riposiziono nel suo rango di alto profilo ; vale piuttosto quattro importanti stelle d'oro.
buona visione
weach illuminati
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